1 Introduzione
Il lavoro che viene qui presentato ha come obiettivo quello di dimostrare che il tempo nella cura produce benessere mentre il tempo nel virtuale malessere. Ciò verrà dimostrato attraverso un lavoro di ricerca che lo scrivente ha svolto sull’ab-uso di internet da parte della generazione Igen. La domanda che ci si pone. È quella di comprendere quali forme di malessere produce il tempo che si passa in maniera prolungata su internet. Si è scelto di analizzare se i livelli di “depressione” e “rifiuto dei pari” sono più alti in adolescenti che utilizzano i Social Network (d’ora in poi SN) per 29,86 ore medie settimanali1 chiamati in questa sede Digital Hikikomori -DH-)2 contro coloro che usano i Social Network per 16.86 ore medie settimanali (Non Digital Hikikomori -NDH-)3.
1.1 L’Hikimomori come pericolo psicosociale
Il neologismo, di origine nipponica, deriva per unione da due termini, hiku “tirare” e komoru “ritirarsi” e sta ad indicare la situazione di chi ha deciso di ritirarsi dalla vita sociale sino all’estremo isolamento. Infatti gli adolescenti ritirati sociali che sostituiscono i rapporti diretti con quelli mediati da Internet si chiamano appunto “hikikomori”. Il fenomeno nasce in Giappone e la sua origine ufficiale risale attorno al 20006 anche se il primo campanello d’allarme si ha attorno agli anni 80 In Giappone oggi è considerato come il più grande pericolo psicosociale tanto è vero che è stata inoltrata domanda formale all’ONU e all’OMS affinché fosse rubricata nella voce «potenziale piaga sociale che può annichilire intere nazioni». Si sa che il Giappone, più di ogni altra Nazione presente sulla Terra, è il Paese che segue con cura estrema le problematiche sociali della popolazione cercando di intervenire preventivamente. È una sindrome che colpisce soprattutto gli adolescenti, un fenomeno che, fino a qualche anno fa, sembrava non aver colpito l’Italia, ma che invece negli ultimi anni pare essere sbarcato anche da noi, quasi fosse una moda. Il contesto socio economico in cui si è sviluppato l’hikikomori è il seguente, Cifre alla mano, si può dire che il Giappone oggi offre un tasso di disoccupazione pari all1%, i poveri allo 0,3% e gli indigenti allo 0,7%. Sono la seconda potenza economica mondiale come produzione di ricchezza (pari al quintuplo di quella italiana), la vita media delle persone si attesta attorno agli 87 anni per le donne, 82 per gli uomini. Purtroppo però detiene il primato per l’elevatissimo tasso di suicidi: 3.500 circa all’anno. L’isolamento e il confinamento estremo che caratterizza questo fenomeno ha origini ancora molto vaghe e incerte. Alcuni sociologi dell’Università di Tokyo cercano le cause sia nel particolare contesto familiare nipponico (figura paterna assente, madre eccessivamente protettiva) sia in quello sociale (l’eccessiva pressione cui vengono sottoposti i giapponesi, sin dall’adolescenza in nome del successo e dell’autorealizzazione). Dal 2009, in seguito all’uso eccessivo della Rete e al proliferare dei Social Network come forme sostitutive virtuali di relazioni umane “faccia a faccia”, il fenomeno da disturbo si è trasformato in patologia sociale tanto è vero che è aumentato del 356%. In Italia allo stato attuale non esistono stime ufficiali del fenomeno, Il primo articolo è stato scritto il primo marzo 2013 dalla truccatrice italiana, residente a Londra, Rosita Balamonte. Nel suo sito/blog chiamato “abbattoir” così si esprime a proposito: «L’hikikomori è un ragazzo che a un certo punto della sua esistenza decide di isolarsi dal mondo e dalla realtà che lo circonda, si chiude in camera e lì passa le sue giornate. La camera diventa il luogo fisico, dove egli conduce la sua vita, luogo che a poco a poco si ammassa di oggetti, di resti di cibo, di sporcizia, di polvere, quasi come se gli oggetti diventassero essi stessi hikikomori e non potessero più uscire da quel luogo, così come chi li possiede. Oggetti che […] egli vive e osserva solo attraverso un computer. Egli vive di notte, di giorno oscura le finestre, odia la luce. La notte si rifugia nei social network, nei forum, dove incontra altri hikikomori come lui, creando quasi una rete» 4.
E ancora: «L’hikikomori trasferisce nello spazio angusto della sua camera tutta la forza e l’onnipotenza che non riesce ad avere fuori da lì, nella vita vera, quasi come se vivesse dentro un videogioco dove egli è l’eroe, e in quello spazio l’hikikomori crea, inventa, scrive, produce». L’autrice continua dicendo che: «L’hikikomori smette di avere bisogni pratici, non si cura di sé, del suo aspetto fisico, il suo unico bisogno è quello di espandersi mentalmente attraverso la rete, attraverso la scrittura, la pittura, la creatività. La cosa realmente preoccupante di questo fenomeno è che l’hikikomori finisce con l’appassire, perché si nega al sole, alla luce, ai rapporti sociali, e piano piano, deperisce e muore» 5.
Secondo alcuni psicoterapeuti, come la dott. Carla Ricci, autrice del libro Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione 6, in Italia l’hikikomori presenta degli spetti meno marcati ad esempio l’isolamento non è quasi mai totale: gli hikikomori italiani, a differenza di quelli nipponici, si relazionano coi genitori, si vedono di tanto in tanto, con un loro amico. La dottoressa Ricci sostiene la tesi che «questo è dovuto anche a una differente organizzazione della società e della famiglia rispetto al Giappone, dove il fenomeno è visto dalla società come un’onta e qualcosa da nascondere, per cui le famiglie non se ne preoccupano e preferiscono, anzi, agevolare l’esclusione dell’adolescente nel tentativo di nasconderlo al mondo» 7.
Ricci inoltre sostiene: «Quanti di noi non hanno attorno amici che passano la maggior parte della loro vita davanti a un pc? Che se gli chiedi: ehi, usciamo a farci una pizza? Ti rispondono: no, devo ultimare il livello, di non so quale diavolo di gioco di ruolo!8
Ma quali sono i principali sintomi?
-Controllare la Rete, in generale, e Facebook, in particolare, in maniera compulsivo-ossessiva;
-rinunciare alle relazioni sociali per rimanere connessi alla Rete e ai Social Network;
-le uscite fuori casa diminuiscono fino a sparire, le ore davanti a uno schermo aumentano.
Un campanello d’allarme è il restare connessi in Rete durante la notte. I ragazzi spesso invertono il ritmo circadiano, restando svegli la notte e dormendo il giorno, cominciando via via a evitare le relazioni reali, lo sport o altre attività all’aperto. Le modalità di dipendenza dalla Rete sono diverse, in realtà. C’è chi mantiene le relazioni solo online, chi usa i videogiochi senza alcun contatto, chi naviga solitario alla ricerca di informazioni. Qualcuno degli hikikomori, raccontano gli esperti, arriva a rispondere solo se viene chiamato con il nickname che usa in Rete e non con il vero nome. C’è chi si rinchiude per mesi, chi per anni. La studiosa Lidia Baratta dice che Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare il disturbo di Hikikomori, evidenziando anche alcune analogie tra i ragazzi giapponesi e i cosiddetti “mammoni italiani”. Una delle caratteristiche degli hikikomori è lo stretto rapporto con una madre iperprotettiva. L’iperprotezione può rendere il figlio narcisista e fragile allo stesso tempo. Se la realtà non coincide con la sua idea di perfezione, c’è il rischio del rifiuto e del ritiro.
Spesso si parte da una sensazione di vergogna e inadeguatezza per il proprio corpo, che porta anche a creare identità diverse da se stessi in Rete. Su Internet si diventa aggressivi o trasgressivi, al contrario di quello che si è nella realtà incanalando le emozioni represse che non si usano nella vita reale. Si costruiscono personaggi che hanno anche connotati fisici diversi da quelli della realtà. Ragazzi tanto silenziosi nel mondo reale, quanto disinibiti in quello virtuale.
Ma se la Rete diventa la difesa che la mente sceglie di utilizzare, significa innanzitutto che l’adolescente sta cercando di non cedere a un dolore che, per qualità e intensità potrebbe risultare inaccessibile. E in questo caso, rispetto a chi si aliena anche dalla Rete, Internet è un’àncora di salvezza. La Rete non è la causa del ritiro dalla realtà, ma un tentativo estremo di restare agganciati al mondo esterno. Non a caso, c’è chi, navigatore solitario senza contatti, comincia a guarire proprio aprendo un profilo su Facebook. I rischi più grandi da cui si salva un ragazzo immerso nella Rete e ritirato socialmente possono essere dunque il suicidio e il break down psicotico, ovvero la perdita della speranza di riuscire a costruirsi un’identità e un ruolo sociale presentabili al mondo esterno9.
2 Il piano di ricerca
Il percorso metodologico seguito per la stesura del piano di ricerca ha fatto costante riferimento alle fasi fondanti la ricerca e in particolare ai seguenti punti:
-
analisi della letteratura nazionale ed internazionale;
-
formulazione di obiettivi ed ipotesi di ricerca;
-
composizione del campione;
-
individuazione e descrizione degli strumenti utilizzati;
-
criteri per la somministrazione;
-
analisi dei dati;
-
risultati e discussione;
-
conclusioni.
2.1. Analisi della letteratura nazionale ed internazionale
Per la definizione del piano di ricerca è stato importante analizzare la letteratura nazionale e internazionale, Attualmente non esistono sufficienti dati sperimentali in nostro possesso su questo argomento 10 (relazione esistente tra depressione, rifiuto dei pari e immagine di sé nei Digital Hikikomori). Le ricerche sul tema del rifiuto dei pari e sulla depressione 11 sono slegate dal fenomeno dell’Hikikomori. Gottsman (1977) 12 sostiene che il rifiuto dei pari nei confronti dei bambini diminuisce la probabilità di instaurare relazioni normali in quest’ultimi (Gottsman, 1977) 13, ed inoltre il rifiuto dei coetanei ha un ruolo maggiore rispetto ad un isolamento voluto dal bambino nello sviluppo di condotte devianti (Asher, 1983)14. Per ciò che riguarda la depressione si può sostenere che un bambino antisociale con difficoltà scolastiche e rifiutato dal gruppo dei pari, può sviluppare sintomi depressivi. Diverse sono le modalità di espressione della depressione, (Patterson 1982)15 considera più rilevante quella che presenta come sintomo principale la tristezza dovuta a poche competenze sociali e poche amicizie. Nello sviluppo di comportamenti antisociali il gruppo dei pari gioca un ruolo fondamentale. Tale relazione, che inizia durante l’infanzia, predice in un’età più avanzata, un’ampia gamma di rapporti che si possono instaurare, tra cui anche quelli tra adolescenti o adulti devianti. Diverse ricerche hanno indicato che il rifiuto di un bambino con problemi da parte dei pari è associato con lo sviluppo di futuri comportamenti antisociali (Kupersmidt, Coie & Dodge 1990)16. Il bambino rifiutato dai suoi coetanei durante l’infanzia, probabilmente nell’adolescenza si avvicinerà ad un gruppo di pari devianti (Dishion, Patterson, Stoolmer & Skinner,1991)17, con la messa in atto di comportamenti antisociali. I modelli di Patterson, Dishion e Yoerger (2000)18 sull’esordio di condotte aggressive hanno influenzato degli studi dove si evidenzia come ragazzi con esordio precoce di condotte devianti stabiliscono relazioni con i pari devianti e mantengono tali modalità comportamentali, ed anche ragazzi con esordio tardivo che stabiliscono relazioni con pari sviluppano condotte antisociali (Patterson, Forgatch, Yoerger & Stoolmiller, 1998)19.
Parker e Asher (1987)20 propongono due modelli che spiegano la connessione tra il rifiuto dei pari e lo sviluppo di condotte devianti.
Il primo modello evidenzia come il vissuto del rifiuto di un bambino, da parte dei pari, spinga quest’ultimo a sviluppare condotte antisociali. In questo modello, l’insieme del rifiuto dei pari e lo sviluppo di condotte devianti pare essere il risultato di una caratteristica sottostante del bimbo spesso espressa come una propensione a diventare aggressivo. A tal proposito alcuni studi (Coie, Terry, Lerry; Lenox, Lochman & Hyman, 1995)21, hanno rilevato che un bambino rifiutato dai propri amici modifica il proprio comportamento adottando modalità devianti
Inoltre studi (Rubin,Bukowski & Parker,1998)22 indicano come il bambino rifiutato incrementi la sua ostilità e abbassi la sua autostima causando il rafforzamento delle condotte antisociali. A conferma di tale modello alcuni studiosi (Laird, Jordan, Dodge, Petit, & Bates 2001)23 indicano che il rifiuto dei pari normali e l’aggregazione di un bimbo rifiutato con coetanei devianti, sono esperienze comuni in adolescenti antisociali. Il secondo modello presuppone che il rifiuto del gruppo dei pari favorisca il mantenimento, e/o lo sviluppo di condotte antisociali del bambino non accettato. A tal proposito Kupersmith et alii(1990)24 indica che l’esperienza del rifiuto in un bambino causi, in quest’ultimo, il fallimento di sviluppo di competenze sociali o cognitive e le deprivazioni di esperienze positive. Inoltre altri studi (Cairns, Cairns, Neckerman, Gest &Gariepy,1988)25, hanno rilevato che un bambino rifiutato dai coetanei facilmente instaura una relazione con un suo pari dalle caratteristiche simili, e come tale “amicizia” rafforzi comportamenti devianti.
A tal proposito da uno studio (Laird, Jordan, Dodge,Petit e Bates, 2001)26 condotto sulla relazione esistente tra il rifiuto dei pari e lo sviluppo di condotte antisociali, è emerso che i pari indirizzano un bambino a seguire diversi percorsi per lo sviluppo di comportamenti devianti.
Vengono individuati quattro percorsi:
Un percorso che racchiude quei bambini High Externalizing che mostrano durante l’infanzia elevati comportamenti aggressivi, e che continuano lungo l’adolescenza (life-course type).
Una parte di essi hanno vissuto esperienze di rifiuto dal gruppo dei pari durante l’infanzia, mentre gli altri stabiliscono relazioni con un gruppo di pari devianti nell’adolescenza (early-starter). Un altro percorso comprende quei ragazzi High Externalizing che durante l’infanzia mostrano modalità aggressive, ma che le diminuiscono durante l’adolescenza, poiché hanno vissuto meno esperienze di rifiuto e meno contatti con i pari devianti. Si sottolinea in questo percorso come l’esperienza con il gruppo dei pari guidi durante l’adolescenza il ragazzo ad intraprendere traiettorie diverse.
I restanti due percorsi comprendono quei ragazzi che presentano modesti comportamenti devianti e la loro assenza.
Nel primo, ragazzi con moderati problemi comportamentali fondamentale è il ruolo svolto dal rifiuto dei pari e dalla conseguente aggregazione con i pari devianti, che aumentano l’escalation verso comportamenti antisociali seri (late-starter; limitaded duration-type).
Risulta che il rifiuto dei pari è molto correlato con la messa in atto nel corso della preadolescenza di comportamenti fortemente antisociali.
Nell’altro, quello composto da ragazzi che non presentano alcun comportamento aggressivo né nell’infanzia e né durante l’adolescenza, è l’incontro con un gruppo di pari devianti nel periodo adolescenziale che sortisce la nascita di condotte antisociali.
Lo studio rileva l’importanza del gruppo dei pari e il suo ruolo svolto nello sviluppo delle condotte antisociali, attraverso il rifiuto di un bambino aggressivo, e l’aggregazione tra pari devianti.
Inoltre lo studio indica che vi è correlazione tra comportamenti aggressivi nell’infanzia, il rifiuto dei pari durante l’età scolare e l’aggregazione con i pari devianti nella preadolescenza, nella messa in atto di comportamenti antisociali nella adolescenza.
Altro modello proposto per comprendere la funzione del gruppo dei pari nello sviluppo di condotte antisociali è quello che indaga la relazione che s’instaura tra coetanei.
Un bambino problematico che instaura un’amicizia con coetanei devianti, aumenta la possibilità di sviluppare condotte devianti.
Il gruppo dei pari devianti influenza condotte antisociali all’interno di tale relazione poiché esso attua un processo di modellamento e promuove esperienze negative (vandalismo, fuga da scuola ed ecc.) tra i suoi membri. A tal proposito è dimostrato che il gruppo dei pari esercita sui suoi componenti una deviazione dal normale processo di sviluppo, e influenza la messa in atto di condotte devianti e l’uso di sostanze stupefacenti (Dishion, Andrews, & Crosby, 1995 27; Dishion, Capaldi, Spracklen & Li, 1995 28).
Il gruppo dei pari non svolge solo la funzione di incrementare condotte antisociali, ma può fungere da protezione di comportamenti devianti, infatti incrementa le capacità cognitive e sociali dei suoi componenti,e protegge quest’ultimi da esperienze sociali stressanti o negative, fornendo loro supporto emotivo (Rutter, 1990)29.
Per quanto concerne la differenza di sviluppo di condotte antisociali tra maschi e femmine, i pareri sono discordanti. I diversi studi effettuati sull’argomento evidenziano che non c’è differenza tra i generi, e che lo sviluppo di comportamenti devianti sia uguale per entrambi i sessi (Fergusson, et al., 2002)30.
Altri studi invece rilevano delle differenze di genere nello sviluppo di condotte antisociali dovute a diversi fattori, tra cui quelli biologici (menarca precoce in ragazze, presenza di testosterone in ragazzi), esperienze vissute in precedenza, tipi di relazioni (Coie & Dodge, 1998)31.
A tal proposito uno studio ha rilevato che all’interno di un gruppo dei pari le ragazze hanno meno probabilità di assumere un comportamento antisociale durevole, rispetto ai ragazzi. Quest’ultimi possono influenzare le ragazze ad assumere comportamenti antisociali (Caspi & Moffitt, 1991)32. Alcuni studiosi, a tal proposito, indicano che le differenze di sviluppo di condotte antisociali tra i ragazzi e le ragazze evidenziano che queste ultime mettono in atto comportamenti problematici (ad es. l’uso di alcool e di droghe, disturbi dell’alimentazione, depressione o gravidanze in giovane età), quindi non comportamenti propriamente definiti devianti, e solo se esse hanno avuto nell’infanzia storie di aggressività.
I dati in nostro possesso ci dicono che, allo stato attuale, non esistono ricerche sperimentali sul rapporto tra “tempo trascorso nei Social Network”, “rifiuto dei pari” ed “immagine di sé” nei DH (Digital Hikikomori). In Italia, non esistono dati sperimentali su campioni attendibili per numerosità e rappresentatività della popolazione di riferimento.
2.2. Formulazione di obiettivi e ipotesi di ricerca
L’ipotesi generale della ricerca è che quella di comprendere se i livelli di “depressione” e “rifiuto dei pari” sono più alti in adolescenti che utilizzano i Social Network (d’ora in poi SN) per 29.86 ore medie settimanalii (Digital Hikikomori -DH-)33 contro coloro che usano i Social Network per 16.86 ore medie settimanali (Non Digital Hikikomori -NDH-)34. Ed inoltre: qual è la diversa percezione che gli adolescenti HD hanno dell’ immagine del sé rispetto ai NHD.
Obiettivi
Si vuole verificare se esistono:
differenze significative nelle dimensioni “depressione”, “rifiuto dei pari” e “immagine di sé” nei DH (Gruppo Sperimentale) e nei NDH (Gruppo di Controllo.
In altri termini si cerca di capire se sono più “depressi”, “rifiutati dai pari” e con una “cattiva immagine di sé” i DH rispetto ai NDH
Ipotesi 35
Hp1: esistono differenze statisticamente significative nelle dimensioni “depressione”, “rifiuto dei pari” e “immagine di sé” nei DH (Gruppo Sperimentale) e nei NDH (Gruppo di Controllo).
3. Composizione del campione
I soggetti della ricerca, come da tabella 1 (Composizione del campione), sono complessivamente 800, equidivisi per sesso (M=400, F=400) e per tipologia (DH/ NDH)
Tabella 1
Composizione del campione
Sessotipologia |
M |
F. |
.Totale |
GC |
200 |
200 |
400 |
GS |
200 |
200 |
400 |
Totale |
400 |
400 |
800 |
Il campione, come da tab. 2.
(Composizione del campione – Numerosità campionaria alunni suddivisa per gruppi –Sperimentali/Controllo- e fascia di età) ha un’età compresa tra i 9 e i 17 anni, suddivisa in quattro fasce:
-
9-11
-
11-13
-
13-15
-
15-17
Per ogni fascia di età sono presenti 100 M (50 GC, 50 GS) e 100 F (50 GC, 50 GS).
Tabella 2
Composizione del campione
Numerosità campionaria alunni suddivisa per gruppi (Sperimentali e Controllo) e fascia di età
Fasce di eta |
GC |
GS |
GC |
GS |
Totale |
9-11 |
50 |
50 |
50 |
50 |
200 |
11-13 |
50 |
50 |
50 |
50 |
200 |
13-15 |
50 |
50 |
50 |
50 |
200 |
15-17 |
50 |
50 |
50 |
50 |
200 |
Totale |
200 |
200 |
200 |
200 |
800 |
Il campione è quindi costituito da 2 gruppi, uno sperimentale (DH) ed uno di controllo (NDH) per ciascuna delle condizioni considerate (sesso e fascia di età).
4. Individuazione e descrizione degli strumenti utilizzati
Gli strumenti utilizzati nella ricerca sono stati:
-Child Depression Inventory [CDI] (Kovacs,1985).
Misura gli stati di depressione sperimentati nelle ultime due settimane. La scala è composta da 27 items che indagano un’ampia varietà di sintomi e tratti depressivi. Per ciascun items sono previste tre possibilità di risposta, graduate su una scala da 0 a 2 punti nella direzione di una gravità crescente della sintomatologia.
-Rifiuto dei pari (Caprara e Pastorelli, 1993b).
Corrisponde al grado in cui si è rifiutati dai compagni nel condividere attività ricreative e di studio.
-Differenziale semantico di Osgood: Tecnica di valutazione attraverso la quale si individuano i significati connotativi che i soggetti attribuiscono a determinati concetti.
-Questionario SN. FAM2014 per misurare il tempo trascorso nei Social Network e quindi per stabilire il gruppo di appartenenza relativo a ciascun soggetto (GS-GC).
Sul piano operativo si è preferita la scelta di questi test per la loro rapidità di somministrazione e per la formulazione degli items facilmente comprensibile pur restando garantita la buona fedeltà dei punteggi ottenuti.
5. Criteri per la somministrazione
Tutti i test sopra menzionati sono stati somministrati dallo scrivente, in forma collettiva, durante le ore di lezioni e in giorni diversi, seguendo un ordine di presentazione casuale degli strumenti. La spiegazione per lo svolgimento è avvenuta in base alle istruzioni prestampate sul questionario.
Alla consegna del fascicolo sono sempre state date le seguenti comunicazioni:
-
le risposte sono riservate e non verranno rese note ad altri;
-
non esistono risposte giuste o sbagliate;
-
la risposta immediata e spontanea è la migliore;
-
è possibile avere chiarimenti o spiegazioni sulle domande
Le scale e il questionario sopra menzionati sono stati somministrati dallo scrivente, in forma collettiva, a tutti gli alunni (sia delle classi sperimentali sia di quelle di controllo).
6. Analisi dati
Le analisi statistiche sono state svolte seguendo il criterio “dal generale al particolare”: inizialmente è stato preso in esame l’intero campione formato da 800 soggetti.
Ipotesi sulle differenze delle dimensioni “depressione”, “rifiuto dei pari” e “immagine di sé” tra il gruppo sperimentale e quello di controllo
Per verificare tale ipotesi si è proceduto all’analisi statistica dei dati seguendo 2 fasi.
La prima è coincisa con il computo delle frequenze delle distribuzioni delle risposte ai quesiti proposti mediante l’utilizzo del test non parametrico X2.
La seconda fase di elaborazione invece è stata dedicata alla verifica delle significatività statistiche relativa ai diversi confronti tra le variabili tramite l’uso del test t di Student.
Prima fase
In relazione all’ipotesi circa il calcolo delle frequenze della dimensione (“depressione”, “rifiuto dei pari” e “immagine di sé”) tra il gruppo sperimentale e quello di controllo, come risulta dalle tabelle 3 (“Depressione” /Tipologia), 4 (“Rifiuto dei pari” /Tipologia) e 5 (“Differenziale semantico” /Tipologia) i risultati evidenziano che:
per la dimensione “depressione” un numero elevato di soggetti del GC (f=222) rientra nella categoria “bassa depressione” mentre un altrettanto numero elevato di soggetti del GS (f=220) appartiene alla categoria “alta depressione” come risulta dalla tab. 3.
Il X2 è risultato significativo X2=8.40521 e p. =0.0037.
I risultati quindi indicano che tra le variabili prese in esame c’è relazione: i soggetti che utilizzano i Social Network più di 5 ore al giorno presentano livelli di depressione maggiori rispetto al GC.
Si precisa che per verificare l’ipotesi di cui sopra sono stati considerati tutti i soggetti sia per la variabile tipologia (GS/GC) sia per la variabile depressione (alta/bassa).
Tabella 3
“Depressione” /Tipologia
KX |
“Bassa depressione” |
“Alta depressione” |
Totale |
GC |
222 |
178 |
400 |
GS |
180 |
220 |
400 |
Totale |
402 |
398 |
800 |
X2=8.40521 e p. =0.0037.
Per la dimensione “rifiuto dei pari” un numero elevato di soggetti del GC (f=238) rientra nella categoria “basso rifiuto dei pari” mentre un significativo di soggetti del GS (f=211) appartiene alla categoria “alto rifiuto dei pari” come da tab.4.
Il X2 è risultato significativo X2= 11.57273 e p. =0.0007.
I risultati quindi indicano che tra le variabili prese in esame c’è relazione: i soggetti che utilizzano i Social Network più di 5 ore al giorno presentano maggiori rifiuti da parte dei coetanei rispetto al GC
Si precisa che per verificare l’ipotesi di cui sopra sono stati considerati tutti i soggetti sia per la variabile tipologia (GS/GC) sia per la variabile rifiuto dei pari (alto/basso).
Tabella 4
“Rifiuto dei pari”/Tipologia
KX |
“Basso Rifiuto dei pari” |
“AltoRifiuto dei pari” |
Tot. |
GC |
238 |
162 |
400 |
GS |
189 |
211 |
400 |
Totale |
427 |
373 |
800 |
X2= 11.57273 e p. =0.0007.
Per la dimensione “Differenziale Semantico” risulta che un numero elevato di soggetti del GC (f=253) rientra nella categoria “buona immagine di sé” mentre un significativo di soggetti del GS (f=218) appartiene alla categoria “cattiva immagine di sé” come da tab.5.
Il X2 è risultato significativo X2= 24.68903 e p. =0.0000.
I risultati quindi indicano che tra le variabili prese in esame c’è relazione: i soggetti che utilizzano i Social Network più di 5 ore al giorno presentano maggiori rifiuti da parte dei coetanei rispetto al GC.
Si precisa che per verificare l’ipotesi di cui sopra sono stati considerati tutti i soggetti sia per la variabile tipologia (GS/GC) sia per la variabile differenziale semantico (buona immagine/cattiva immagine).
Tabella 5
“Differenziale semantico” /Tipologia
KX |
Buona immagine |
Cattiva immagine |
.Totale |
GC |
253 |
147 |
400 |
GS |
182 |
218 |
400 |
Totale |
435 |
365 |
800 |
X2= 24.68903 e p. =0.0000.
Seconda fase
Procedendo nell’analisi sono state sottoposte a test le medie dei gruppi (GS/GC) per le variabili “depressione”, “rifiuto dei pari” e “differenziale semantico”.
I risultati mostrano inequivocabilmente che il GS presenta livelli medi di “depressione”, “rifiuto dei pari” e “differenziale semantico” più alti del GC (vd. tab. 6 Confronto per “Depressione; tab.7 Confronto per “Rifiuto dei pari”; tab. 8 Confronto per “Differenziale semantico”).
Per quanto riguarda la variabile età invece non si riscontrano differenze significative (vd. tab. 9 Confronto per “età”).
Tabella 6
Confronto per “Depressione”
Tipologia |
n |
Mean |
S. D. |
t. |
d. f. |
p. |
GC |
400 |
39.7600 |
9.615 |
– 4.33 |
798 |
0.000 |
GS |
400 |
42.8050 |
10.270 |
– 4.33 |
798 |
0.000 |
Tabella 7
Confronto per “Rifiuto dei pari”
Tipologia |
n |
Mean |
S. D. |
t. |
d. f. |
p. |
GC |
400 |
31.7375 |
7.235 |
– 3.26 |
798 |
0.001 |
GS |
400 |
33.4000 |
7.209 |
– 3.26 |
798 |
0.001 |
Tabella 8
Confronto per “Differenziale semantico”
Tipologia |
n |
Mean |
S. D. |
t. |
d. f. |
p. |
GC |
400 |
38.32 |
2.54 |
– 5.57 |
798 |
0.000 |
GS |
400 |
41.7 |
3.147 |
– 5.57 |
798 |
0.000 |
Tabella 9
Confronto per “età”
Tipologia |
n |
Mean |
S. D. |
t. |
d. f. |
p. |
GC |
400 |
27.2825 |
5.709 |
– 0.89 |
798 |
0.376 |
GS |
400 |
27.6425 |
5.774 |
– 0.89 |
798 |
0.376 |
7. Risultati e discussione
Per quanto concerne la prima fase della prima ipotesi, calcolo delle frequenze della dimensione (“depressione”, “rifiuto dei pari” e “immagine di sé”) tra il gruppo sperimentale e quello di controllo, siamo in grado di concludere che nel campione della ricerca i soggetti HD(GS) presentano livelli di “depressione” e “rifiuto dei pari” maggiori rispetto ai NHD/ GC ed una “cattiva immagine di sé”.
8. Conclusioni
Nella ricerca ci si è posto l’obiettivo di verificare se esistono:
-
differenze statisticamente significative nelle dimensioni “depressione”, “rifiuto dei pari” “immagine di sé” nei DH (Gruppo Sperimentale) e nei NDH (Gruppo di Controllo).
In altri termini si cerca di capire se sono più “depressi”, “rifiutati dai pari” e con una “cattiva immagine di sé” i DH rispetto ai NDH.
-
differenze di genere, cioè se c’è una differenza tra i punteggi dei maschi e delle femmine nelle dimensioni sopra citate ovvero sono più “depressi”, “rifiutati dai pari” e con una “cattiva immagine di sé” i maschi o le femmine?.
Per verificare tali ipotesi, al campione di 800 adolescenti, suddivisi in due sottocampioni, GS e GC sono stati somministrati i test (vd. par.4)
Child Depression Inventory [CDI] (Kovacs,1985).
Rifiuto dei pari (Caprara e Pastorelli, 1993b)
Differenziale semantico di Osgood
Questionario “SN FAM2014
I risultati mostrano che:
HP1
esistono differenze significative tra il campione sperimentale e quello di controllo nella produzione dei livelli di “depressione” e “rifiuto dei pari” (più alti nel gruppo GS) e una “cattiva immagine di sé” (maggiore nel GS).
HP2
Dai dati emersi dalla ricerca è lecito chiedersi come mai gli hikikomori “si offrono” alla Rete. Quali sono le attrattive della Rete? In primo luogo vi sono i Social Network. «La capacità di offrire opportunità molto diverse fra loro è una delle spiegazioni del successo dei social network. Attraverso questi strumenti l’utente può sia sviluppare la propria identità, sia comprendere quella dell’altro. Allo stesso tempo può cercare supporto oppure offrirlo. Non solo, i social network sono in grado di accompagnare l’utente nel proprio sviluppo personale» (Riva, 2010, p. 26)36. Sulla base di queste considerazioni Riva (2010)37 individua nei social network la capacità di aiutare i propri utenti nel soddisfare diverse categorie di bisogni, quali bisogni di sicurezza, bisogni associativi, bisogni di autostima e bisogni di autorealizzazione. Inoltre, i fattori che spingono le persone ad utilizzare i servizi di social network sono molto variegati, in quanto possono essere utilizzati come strumento espressivo condividendo i momenti salienti della propria vita, oppure possono essere utilizzati come strumento professionale a scopo promozionale e persuasivo.
La crescita esponenziale di servizi di social network, come Facebook, Qzone (solo in Cina), Twitter, Instagram, Google – per citare i più utilizzati presenti sul Web – è visibile dalla figura riportata sotto. Secondo altri dati, si stima che a gennaio 2014 gli utenti attivi nei social network siano circa un miliardo e ottocentocinquanta milioni (www.iquii.com).
In questo scenario, bisogna tenere in considerazione come i miglioramenti dell’elettronica, la potenza di calcolo dei microprocessori e conseguentemente la progressiva digitalizzazione dei media tradizionali (televisione, radio, telefonia, ecc.) abbiano dato la possibilità ad altri media di integrare l’esperienza dei social network.
Stiamo parlando dei dispositivi mobili, come i telefoni cellulare di ultima generazione (smartphone), i quali grazie alle loro caratteristiche tecniche permettono di accedere alla rete internet in modalità wireless (senza fili), non solo in casa o in ufficio, ma in qualsiasi contesto esterno, a dimostrazione di come Internet tende a diventare sempre più diffusa e accessibile. Per l’appunto, la telefonia mobile è sicuramente stato il primo mezzo di comunicazione ad essere raggiunto da questo processo.
L’avvento dei cosiddetti smartphone (telefoni cellulari intelligenti) e tablet PC (una tipologia di personal computer), oltre alle funzioni base di un telefono cellulare, integrano molte funzioni multimediali, sono in grado di riprodurre musica, scattare fotografie, registrare video, ma, soprattutto, tramite questi strumenti è possibile accedere alla rete internet. Infatti, oggigiorno tali strumenti vengono adoperati dagli utenti per una vasta varietà di impieghi che vanno dal chiamare al comporre messaggi di testo, svagarsi e impegnarsi attraverso applicazioni di gioco, navigare e soprattutto attività di social networking. Come puntualizza Giaccardi (2013, p. 19)38: «Grazie agli smartphones siamo sempre connessi, anche in mobilità, i media digitali sono letteralmente tutt’uno con lo spazio della nostra vita quotidiana». Infatti, gli ultimi anni sono stati caratterizzati dall’esplosione dei connected device (www.nielseninsights.it) un fenomeno nuovo nel mondo digitale, ovvero lo spostamento sempre più consistente di navigatori Internet dal personal computer (PC) verso i dispositivi mobili (tablet Pc e smartphone). Secondo i dati Nielsen (2012)39 l’accesso online tramite questi dispositivi in Italia conferma tale fenomeno e molte altre ricerche attestano come in Italia vi siano più smartphone che abitanti (www.iquii.com): sono circa 97 milioni le carte SIM attive (ciò non significa 97 milioni di smartphone), ma solo il 41% degli italiani ne è dotato, per una penetrazione dei dispositivi mobili pari al 158%.
L’opportunità/possibilità di essere sempre connessi alla rete Internet in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora della giornata, fanno di questi strumenti mobili uno dei principali mezzi di accesso alle piattaforme di social network, in quanto consentono di accedere e monitorare costantemente il proprio profilo e la propria rete sociale. Secondo alcune ricerche (Salehan, Negahban, 2013)40 più della metà degli utenti attivi su Facebook (https://it-it.facebook.com) accede al proprio profilo tramite strumenti mobili, mentre altri social network come Instagram (https://instagram.com) per esempio, sono esclusivamente disponibili e accessibili solo a coloro che dispongono di tali strumenti (smartphone o tablet PC).
L’importanza di questi apparecchi nella vita quotidiana delle persone si manifesta facilmente da alcuni eventi registrati negli scorsi anni quando all’uscita sul mercato di nuovi dispositivi i-phone (smartphone) si sono registrate lunghe file all’esterno dei centri commerciali o catene di distribuzione. Da Tokyo a Londra, dall’Australia all’Italia, il copione è simile: molti clienti si sono messi in fila in piena notte, a volte con tanto di sdraio, in modo da rendere più “comoda” l’attesa, pronti a sopportare anche 10 ore di coda per accaparrarsi il nuovo dispositivo mobile. Si contano anche più di quattrocento persone nelle lunghe schiere di utenti digitali, molti i giovani, tanti i passanti stupiti di questa insolita fila, ma a loro non sembra interessare: «aspettiamo un cellulare – dicono – così come si aspetta una rockstar» (www.corrieredibologna.corriere.it).
Il forte utilizzo delle piattaforme di social network, è da attribuire, a diverse opportunità offerte agli utenti. Si potrebbe supporre che le persone si iscrivano a siti come Facebook, Linkedin, Google, per le stesse ragioni per cui frequentano gruppi e associazioni nel mondo reale: fare amicizia, interessi professionali, offrire e cercare aiuto di vario genere, incontrarsi con persone che condividono interessi o stili di vita.
In primo luogo, bisogna tenere in considerazione che per accedere presso i siti di social network bisogna creare un profilo personale che l’utente può gestire a proprio piacimento, arricchendolo con informazioni personali, fotografie, video, collegamenti ad altri siti, ecc. L’utente crea e gestisce liberamente il proprio profilo e la propria rete sociale mostrandosi e raccontandosi agli altri utenti online nel modo che più gli è congeniale. Questo processo, chiamato impression management (gestione dell’impressione) è un tentativo di controllare le immagini di sé in interazioni reali o immaginarie. I social network possono essere, quindi, considerati lo strumento ideale per narrarsi, decidendo in prima persona quali ruoli e quali eventi presentare. Questa presentazione di sé è favorita dall’assenza di un’interazione fisica, e di conseguenza le persone devono trovare strategie alternative ed aggiuntive per comunicare virtualmente se stesse. Una delle principali conseguenze è che il soggetto diventa per i propri interlocutori quello che comunica sul proprio profilo.
Un altro aspetto curioso riguarda il crescente supporto di questi strumenti nelle pratiche di seduzione e nella nascita di relazioni sentimentali. Le cose sono molto cambiate dall’epoca in cui l’approccio nei confronti di una ragazza era circoscritto all’invito per un ballo lento sotto le note di qualche canzone, in quanto, non vi erano cellulari e non esistevano i servizi di social network. Oggi la possibilità di superare barriere spaziali, controllando la propria identità sociale e la propria immagine, permette di ridurre i problemi legati ad impressioni negative, diminuendo l’impatto dell’aspetto fisico, dello status sociale e socioeconomico sulla possibilità di creare una relazione. Non a caso, capita molto spesso che le fasi iniziali di un corteggiamento avvengano online. La richiesta d’amicizia su Facebook, per esempio, rappresenta una prima azione strategica di corteggiamento che si attua con frequenza in quanto, se accettata, permette agli utenti interessati di rendere il proprio profilo visibile, in modo da favorire un maggior scambio d’informazioni e un contatto comunicativo. L’utente, però, ha la possibilità di creare filtri che influenzano o possono influenzare l’aspetto relativo alla fiducia, elemento base delle relazioni (Giddens, 1994)41. Infatti, da un lato l’assenza di un’interazione faccia a faccia e dall’altro la possibilità di gestire la rappresentazione di sé, allo scopo di fare colpo su una persona, può portare il soggetto a dare un’immagine di sé non del tutto veritiera o conforme alla realtà.
La crescente potenza dei social network è diventata fonte di opportunità aziendale, un importante strumento per comunicare efficacemente con i propri clienti (Riva, 2010)42. L’utente da consumatore passivo d’informazioni assume progressivamente un ruolo attivo grazie alle potenzialità relazionali dei social network. Infatti, la recensione di prodotti online, le discussioni e gli scambi di opinione in merito ad un prodotto o ad un marchio, come puntualizza Riva (2010, p. 139)43: «Ha spinto social network come Facebook e Twitter a creare strumenti, come il bottone mi piace, per permettere la visualizzazione e la condivisione delle preferenze dei propri utenti». La reputazione diviene una variabile d’importanza centrale per l’efficacia delle politiche di comunicazione aziendale.
Oltre l’interesse individuale ed economico, gli utenti dei social network offrono supporto e attività gratuitamente, guidati da un senso di responsabilità sociale nei confronti della propria Rete (Riva, 2010)44.
I social network, dunque, offrono l’opportunità di decidere come presentarsi alle persone che compongono la rete (impression management). A tal proposito, Riva (2010)45 pone una distinzione tra strumenti individuali e strumenti di gruppo utili al perseguimento di tale fine. I primi si distinguono a loro volta in due tipologie. Innanzi tutto il profilo, che consente di descriversi in maniera codificata, cioè rispettando una serie di parametri predefiniti dal social network (attività, interessi, musica preferita, programmi Tv preferiti e così via.); poi la possibilità di condividere contenuti multimediali come foto e video. Per esempio, si possono caricare le foto dei propri viaggi o quelle di amici utilizzando la propria bacheca o quella di un amico per raccontare quello che stiamo facendo o pensando. Invece, i principali strumenti di gruppo per la definizione e descrizione della propria identità sociale sono tre: i gruppi, che favoriscono l’aggregazione di utenti secondo un interesse comune; gli eventi, come feste, concerti o incontri di vario genere che si vogliono segnalare alla propria rete di amici o al proprio gruppo; le applicazioni, che consentono di descrivere in ulteriore dettaglio le caratteristiche della propria identità sociale.
Gran parte delle nostre interazioni sociali sono ormai mediate dalla tecnologia, il cui progressivo diffondersi è stato affiancato da nuove opportunità e strumenti di comunicazione. Marinelli (2011, p. 31)46 osserva come gran parte degli utenti Internet sia stata proiettata in un contesto comunicativo profondamente rivoluzionato rispetto ad un quinquennio fa: «Da realtà fuori di noi (il mondo virtuale, il cyberspazio) Internet e il web sono diventati una nostra appendice […] viviamo agganciati alla connessione Internet (e ai social network) quasi senza soluzione di continuità, in tempo reale e da ogni luogo; accediamo ai contenuti digitali quando lo desideriamo e attraverso i supporti tecnologici che preferiamo». Di fronte a questa pervasività della comunicazione tecnologicamente mediata, Riva (2010)47 individua nell’evoluzione dei nuovi media una trasformazione dei contenuti mediali in vere e proprie esperienze, in cui tale trasformazione potrà favorire nel tempo, o ha già favorito, il superamento dei confini che separano mondo reale e mondo virtuale. È il caso dei social network che «permettono per la prima volta la creazione di reti sociali ibride, contemporaneamente costituite da legami virtuali e da legami reali, dando vita a un nuovo spazio sociale l’interrealtà» (Riva, 2010, p. 117)48. Viene sottolineato, sempre da Riva (2010, p. 117)49, come «da una parte i comportamenti del soggetto nel mondo reale ne influenzino l’identità e la rete sociale nel social network; dall’altra i comportamenti del soggetto nel social network ne influenzano l’identità e la rete sociale nel mondo reale». Le reti virtuali e le reti reali si fondono mediante lo scambio di informazioni fra di esse, questo fa dei social network uno strumento potentissimo per creare, controllare e modificare l’esperienza e l’identità sociale.
Bisogna comunque tenere in considerazione che l’impatto di queste tecnologie sui processi individuali e sociali possono avere conseguenze diverse sugli utenti, il mondo dei social network non è privo di rischi e pericoli.
Vincenzo Cascino
Psicologo, PhD. in Scienze pedagogiche presso Università G. Marconi-Roma, Docente di Psicopedagogia – Dipartimento DAFIST – Università di Genova, Formatore.
Paolo Flora
Esperto di Didattica e Pedagocia Speciale ha coordinato la ricerca.
Note
1 La soglia del tempo di connessione scelta come limite massimo (a 16.86 ore medie settimanali), oltre la quale gli adolescenti diventano DH e al di sotto della quale (29.86 ore settimanali) sono NHD, è in accordo con uno studio condotto da C. Del Miglio, A, Gamba,T. Cantelmi (2000) i cui risultati sono stati pubblicati su Costruzione e validazione preliminare di uno strumento (U.A.D.I.) per la rilevazione delle variabili psicologiche e psicopatologiche correlate all’uso di Internet. Giornale Italiano di psicopatologia, 7(3), pp. 293-306.
2 Tale termine è stato coniato dallo scrivente per indicare gli adolescenti che abusano dei Social Network ìn termini di tempo di connessione
3 Ibidem
4 http://www.abbattoir.it/201203/01/hikikomori-mi-dissolvo-2
5 http://www.abbattoir.it/201203/01/hikikomori-mi-dissolvo-2
6 C. Ricci Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Milano Franco Angeli, 2008
7 C. Ricci op. cit. p. 47
8 C. Ricci op. cit. p. 51
9 http://www.linkiesta.it/hikikomori-italia
10 Per un approfondimento su tale argomento si veda M. Zielinger Non voglio più vivere alla luce del sole. Il disgusto per il mondo esterno di una nuova generazione perduta Roma Elliot, 2008; G. Iadecola, Hikikomori sindrome e disagio scolastico, Pisa, Il Campano, 2012; M. Lofredi, Sindrome di Hikikomori:in Italia 240 mila under 16 affetti da dipendenza da web. Report n.01/2013.Centro Studi e Documentazione FNOMeO; http://www.fnomceo.it/fnomceo/showArticolo2puntOT/id=94183(15.10.2013)
11 Esiste una specifica letteratura sul rapporto tra abuso di Internet e depressione (v. nota n.6)
12 J. M. Gottsman, Toward a definition of social isolation in children. Child Development, n.48, 1977, pp. 513-517.
13 Ibidem
14 S.R. Asher, Social competence and peer status: Recent advances and future directions. Child Developmental, n. 54, 1983, pp.1427-1434.
15 G. R. Patterson, A social learning approach to family intervention: III Coercive family process. Eugene, OR: Castalia. 1982
16 B. Kupersmidt, J.D Coie, K.A. Dodge, The role of poor peer relationships in the development of disorder. In. Asher S.R &.Coie J.D (a cura di), Peer rejection childhood, 1990, pp. 274-308. Cambridge University Press.
17 T.J. Dishion, G.R Patterson., M. Stoolmiller, M. L Skinner. Family, school, and behavioral antecedents to early adolescent involvement with antisocial peers. Developmental Psychology, n. 27, 1991, pp.172-180.
18 G.R.Patterson, T.J. Dishion, K Yoerger, Adolescent Growth in the New Form of Problem Behaviour: Macro-and-Micro-Peer Dynamics, Prevention Science, Vol. 1, No1.2000
19 G. R Patterson, M. S Forghatch, K. L. Yoerger, M. Stoolmiller, Variable that initiate and maintain an early-onset trajectory for juvenile offending, Developmental and Psycophatology, n.10, 1998, pp.531-547.
20 J.G Parker., S. R. Asher, Peer relations and later social adjustment, Psychological Bullettin, n.102, 1987, pp.357-389.
21J.D.C. Coie, R. Terry, K. Lenox, J. Lochamn, C. Hyman, Childhood peer rejection and aggression of stable patterns of adolescence disorder, Developmental and Psychopatology, n. 7, 1995, pp. 679-713.
22 K. H Rubin, W. Bukoswski, J.G. Parker, Peer relations, relationships, and groups, in Damon W., Einserberg N. (a cura di) Handbook of child psychology, vol 3. Social, emotional, and personality development 1998, pp.619-700. New York:Wiley.
22 R.D. Laird , K.Y Jordan., K .A Dodge., G.S. Pettit , J.E. Bates .Peer rejection in childhood, involvement with antisocial peers in early adolescence, and the development of externalizing behavior problems. Developmental and Psycopathology, n.13, 2001, pp 337-354.
23 J.B Kupersmidt, J.D Coie, K.A. Dodge, The role of poor peer relationships in the development of disorder, in Asher S.R & Coie J.D (a cura di), Peer rejection childhood, Cambridge University Press, 1990, pp. 274-308.
24 R.B Cairns, B, D. Cairns, H, J Neckerman, S, D. Gest, J.L. Gariepy, Social networks and aggressive behaviour: Peer support or peer rejection, Developmental Psychology, n. 24, 1998, pp. 515-523.
25 R.D. Laird, K.Y Jordan, K .A Dodge, G.S. Pettit, J.E. Bates, op.cit. n.13, pp 337-354
26 T.J Dishion, D. Andrews, L. Cosby, Antisocial boys and their friends in early adolescence: Relathionship characteristics, quality and interactional process. Child Developmental, n.66, 1995 pp.139-151.
27 T.J., Dishion, D. Capaldi, K. M. Spracklen, F.Li, Peer ecology of male adolescent drug use. Developmental and Psychopathology, n.7, 1995, pp. 803-824.
28 M. Rutter, Psychosocial resilience and protective mechanisms, in Rolf J., Masten A.S., Cicchetti D., Nuechterlein K.H., Weintraub S. (a cura di), Risk and protective factors in the developmental psychopathology. Cambrige University Press.1990
29 D.M Fergusson, J. Horwood, Male and Female offending trajectories, Developmental Psycopatology, n.14, 2002 pp.159-177
30 J. D. Coie, K.A Dodge, Aggression and antisocial behavior, in W.Damon& N.Einserberg (a cura di), Handbook of child psycology, Vol,3. Social, emotional, and personality developmental, pp.55-99, 1998, New York:Wiley.
31 A. Caspi, T. E, Moffitt, Individual differences are accentuated during periods of social change: The sample case of girls at puberty, IN «Journal of Personality and Social Psycology», n. 61, 1991, pp.157-168.
32 La soglia del tempo di connessione scelta come limite massimo (a 16.86 ore medie settimanali), oltre la quale gli adolescenti diventano DH e al di sotto della quale (29.86 ore settimanali) sono NHD, è in accordo con uno studio condotto da C. Del Miglio, A, Gamba T., Cantelmi (2000) i cui risultati sono stati pubblicati su Costruzione e validazione preliminare di uno strumento (U.A.D.I.) per la rilevazione delle variabili psicologiche e psicopatologiche correlate all’uso di Internet, Giornale Italiano di psicopatologia, 7(3), 293-306.
33 Tale termine è stato coniato dallo scrivente per indicare gli adolescenti che abusano dei Social Network ìn termini di tempo di connessione
34 Ibidem.
35 Le ipotesi saranno denominate Hp1, Hp2.
36 G. Riva, I social network, Il Mulino, Bologna 2010
37 G. Riva, ib. p. 26
38 C. Giaccardi, Ripensare i legami. La famiglia nell’era dei social media, in E. Scabini, G. Rossi, (a cura di), op. cit., pp. 19-23. 2013
39 Nielsen: Italia – Global Consumer and Media Insights: http://www.nielsen.com/it/it.html
40M. Salehan, A.Negahban, Social networking on smartphones: When mobile phones become addictive, in Computers in Human Behavior, 29, pp. 2632-2639, 2013.
41A. Giddens A., Le conseguenze della modernità: fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna 1994
42 G. Riva, op. cit
43 Ib., p. 139
44 G. Riva, op. cit
45 Ib.
46A. Marinelli (2011), Socievolezza 2.0. I legami sociali nella network society, in «Sociologia della Comunicazione», n.41-42, pp. 30-50.
47 G. Riva, op. cit
48 Ib., p. 117
49 Ib., p. 139