Un marito e una moglie fanno l’amore con grande trasporto. Nel frattempo il loro bambino esce dal box in cui dormiva, si arrampica sulla finestra per guardare affascinato la neve che cade, e precipitando muore. La donna a distanza di un mese non riesce a riprendersi e il marito, che è anche uno psicoterapeuta, decide di curarla anche se i protocolli della professione lo sconsigliano. Inizia così un percorso altamente perturbante per lo spettatore, che lo accompagnerà per tutta la durata del film. I protagonisti, partono già dannati, annientati da una disattenzione provocata da un amplesso, con la psicosi dietro l’angolo. Non passa neanche un giorno che già gli animali parlano. Come in un brutto cartone animato, o come nei deliri degli psicotici.
Lars Von Trier sembra avere avuto, in quegli anni, un vero e proprio “breakdown psicotico”: ciò lo ha portato, in un geniale tentativo di autocura, a realizzare nel 2009 Antichrist. Un film altamente perturbante, diretto da un regista in “breakdown”, non poteva essere trattato da un esperto di “Cinema e Psicoanalisi” in maniera tradizionale. Ho provato a commentare quindi il film in linea con le emozioni disturbanti trasmesse da Lars Von Trier, dividendo il commento in capitoli, così come il regista danese ha fatto nel film. Spero che l’esperimento risulti fruibile anche da chi non conosce la biografia di Lars Von Trier (da ora LVT) e/o di Andrej Tarkovskij (da ora AT).
Prologo
Dedicato ad Andrej Tarkovskij
Sempre iniziare dalla fine. Eh sì quando un film ti ammalia e ti spiazza, irrita e disturba, ogni particolare non è ininfluente. E allora partiamo da questa dedica finale, apparentemente così astrusa e fuori luogo. Una dedica che ha fatto imbufalire all’unanimità la critica di Cannes. Dedica a cui i detrattori si attaccano per demolire LTV, così come gli adulatori la tralasciano, perché non capiscono, dato che non c’è nulla dello stile di AT in questo film.
Capitolo primo
Due padri e una sola madre
C’era una volta una madre folle che partorì due gemelli da padri diversi. Il padre di Lars la mollò subito e non volle più vedere né lei né Lars, quello di Andrej invece se ne scappò in guerra dove perse una gamba. Tornato a casa, nonostante la zoppia se ne riscappò di casa e bonanotte ai sonatori, e pure ad Andrej. Insomma i pargoli crebbero senza padri ma con una madre folle che per zittirli li portava sempre al Cinema.
Capitolo secondo
Lutto libero (Cit.)
La mamma si dissolse in celluloide durante una proiezione. I due gemellini si salutarono senza affetto e andarono diritti a conoscere i loro padri. Lars riuscì a ritrovare suo padre sul letto di morte, giusto in tempo per mandarlo a fanculo e decidere di diventare regista. Andrej scoprì che il padre era poeta, volle somigliargli, diventò un poeta del cinema. Ebbe anche la balzana idea di somigliargli in tutto, quindi sposò una donna folle, mise al mondo un figlio, Ignat – chissà che fine ha fatto – e dopo poco si separò.
Capitolo terzo
Antichrist
Lars non si sposò mai, né ebbe mai l’intenzione di convivere con alcuna. Fosse mai commettesse l’errore di mettere al mondo un disgraziato come Ignat per poi separarsi e vagare solo, zoppo e castrato, in qualche bosco. Andrej muore a Parigi, tra atroci sofferenze per via del tumore partito dalla prostata, durante il montaggio del suo ultimo film Sacrificio. Di cosa parla Sacrificio? In breve parla di un tizio troppo idealista che, per salvare la sua famiglia, e forse il mondo intero, sogna che deve scoparsi una strega. Lo fa, il mondo si salva ma lui diventa scemo, lo portano via con la camicia di forza – mentre il figlio recita passi della Bibbia – e crepa in ospedale solo come un cane. Col cazzo, dice Lars, che io faccio una famiglia, metto al mondo un figlio che legge la Bibbia mentre crepo con un tumore alla prostata (o al cervello).
Capitolo Quarto
Il Caos regna
LVTriprendedadovehalasciatoATlastregalafafuoriprimacheleifacciafuoriluidellaserietrovailsignoreprimacheluitrovitecioèèlafolliadacuisiliberaLVTasuomodoforseèstatointerapiamanondaunfreudianomagariuncognitivistavistoiltipoditerapeutamoltopocoortodossoadessoqualchecognitivistamirompeicoglionimasonoipotesisulmomentodepressivodiLVTvissutoinquegliannicheforseunacertaterapihapeggioratocertamenteilfemminileèpsicoticoperquestoledonneleschifaerapsicoticopilfemmiidiATmaluinonharottoglischemisièfattodivoraredalfemminileedallamalattianonostntesenedifendessecomesievinceintantisuoifilmalloraladedicaadATèperchèLVTriprendedadovel’altrohamollatoperchèdivoratodallastregafemminilepsicoticcolcazzocheiofacciolastessafineetibruciodopochemihaicastratopertroppotroppoamorequestoèilmotivodelladedicanontantolostiledelfilmchenonc’azzeccanacippaconATne’conLinchsemmaic’èqualcosadiJodoroskjquestoèilcompitodell’artistasublimareilpropriofemminilepsicoticoinun’operad’arteancheLynchècosìpureFellinieracosìepoiluic’avevalamammaromagnolaeinfattivoleval’haremmaquestaèun’altrastoriaottoemezzo.
Epilogo
Un film invalutabile causa discontinuità (break). Tra momenti di rara bellezza e altri comici – la volpe parlante è immondizia pura – o inutilmente disturbanti, raggiunge comunque lo scopo di entrarti nella pelle, farti riflettere e discutere. Il raziocinio propenderebbe per la sufficienza stiracchiata, ma la mano sinistra che ha scritto il commento vuole che si dia un voto appropriato al film tipico della Crisi e, forse, della Svolta.
Otto e mezzo.