Perché il contagio è un sintomo.
L’infezione è nell’ecologia.
Paolo Giordano*
«Che paese lento!» disse la Regina. «Qui, invece, devi
correre più che puoi, per restare nello stesso posto».
Lewis Carrol**
1 Tempo e scissione
La primavera della pandemia ha gettato sul mondo una luce diversa, fermando il tempo e consentendo di guardare in volto quel che non si vuol vedere: la civiltà capitalistica sta distruggendo il ramo su cui è seduta.
Dopo la epocale sospensione del tempo, quando i fiumi sono apparsi più limpidi, l’aere più terso ed il vitale manto di ozono guarito dalla ferita inferta dall’umano, è bastato poco, l’estate, il calo del contagio, il roboante ed ingannevole tam tam mediatico, per tornare, ancora una volta volutamente ignari, all’agire fine a sé stesso, al produrre produzioni, al mito della crescita steso come opaco velo tra l’umanità e la Terra.
Ripartenza, rilancio, le parole d’ordine per ricominciare la corsa, nell’impossibilità di poter sostare e, finalmente, domandarsi, sollevando lo sguardo, cosa impedisce di immaginare iance di cambiamento per una civiltà che si avvia alla la distruzione, cosa spinge il capitalismo occidentale verso una costante ed apparentemente inarrestabile accelerazione, ammantata da un dire ideologico (la crescita! L’economia! Il lavoro!) che cela motivazioni di altra natura.
Mi chiedo se la frenesia che caratterizza l’epoca presente possa essere interpretata come una particolare forma di isteria, ovvero se il modello psicoanalitico di spiegazione dell’agire nevrotico possa essere utile suggestione per una comprensione del fenomeno della “accelerazione” sociale tipica della civiltà tardo capitalistica.
Nel presente articolo, trasferendo sul piano sociale le scoperte di Freud e Breuer, ipotizzo che, come i sintomi nevrotici delle pazienti curate dai due medici viennesi rinviavano a complessi mnestici dolorosi sepolti nella memoria eppure ancora agenti nel presente, così l’insensato turbinio dell’epoca attuale possa rinviare ad antichi traumi che congelano l’agire sociale in un presente che gira su sé stesso in una apparente eterna ripetizione ove il tempo accelerato è, anche, paradossalmente, fermo rispetto a qualunque possibile evoluzione. Per quanto sia consapevole del fatto che effettuare un “salto” dall’individuale al sociale possa apparire privo di fondamento scientifico e che lo stesso Freud non accettava l’ipotesi di un “inconscio collettivo” , ritengo che collegare un agire sociale palesemente insensato, quantomeno nell’evidente corsa verso l’autodistruzione, ad un fenomeno patologico di tipo isterico, possa essere uno mezzo narrativo utile a comprendere il senso degli eventi dell’epoca presente, al di là di una concezione positivistica del conoscere. Una “narrazione” che, anteponendo la ricerca di senso attraverso l’apres coup storicistico alla scissione tra soggetto e oggetto tipica dello scientismo occidentale, intende fondare la relazione tra soggetto e Mondo richiamandosi alla visione di un universo le cui parti sono interconnesse in Tutto unico.
Accostandosi al pioneristico lavoro di Sigmund Freud e Josef Breuer, gli Studi sull’isteria1 pubblicati a Vienna nel 1895, è possibile cogliere l’origine della patologia isterica in traumi rimossi non integrati nella coscienza del paziente. Così si esprimono in proposito i due scienziati viennesi: «A prima vista sembra straordinario che eventi vissuti tanto tempo prima debbano seguitare ad agire così intensamente che il loro ricordo non vada incontro a quel processo di estinzione cui sono, in fin dei conti, sottoposti tutti i nostri ricordi»2.
Gli isterici, insomma, come è noto, per Freud e Breuer, soffrono di ricordi, ma di una specie di ricordi «le cui esperienze sono completamente assenti, scisse dalla memoria cosciente dei pazienti»3.
D’altra parte le neuroscienze contemporanee tendono a confermare quanto Freud e Breuer avevano ipotizzato. In proposito lo psichiatra statunitense Bessel van Der Kolk evidenzia come le teorie di Freud sulle origini dei sintomi isterici siano corroborate sperimentalmente alla luce di recenti ricerche sul cervello, effettuate tramite innovativi mezzi tecnologici come la Tomografia a Emissione di Positroni e la Risonanza Magnetica funzionale: «(le indagini sul funzionamento cerebrale condotte attraverso mezzi tecnologici altamente sofisticati, mostrano che, come sostenevano Charcot, Janet e Freud, i sintomi isterici) sono associati alla scoperta che il trauma… si situa all’origine dell’isteria. Questi primi ricercatori parlano delle memorie traumatiche come di “segreti patogeni” o “parassiti mentali”, perché, per quanto chi ne soffre voglia dimenticare qualsiasi cosa sia accaduta, i ricordi continuano a forzare la sua consapevolezza, intrappolando la persona in un presente sempre uguale a se stesso»4.
Per Bessel van der Koll mentre la memoria “ordinaria”, ovvero la memoria non traumatica, è una storia che raccontiamo e che ci raccontiamo, con la possibilità di dare ad essa un senso che riconnetta il passato al presente ed il presente al futuro, la memoria traumatica mostra una specie di congelamento nel tempo ed uno spostamento delle reazioni derivanti da esperienze isolate e alienanti che bloccano l’agire vitale e non consentono un’evoluzione della personalità libera e spontanea né un adeguato rapportarsi a quell’alterità che è relazione con il Mondo. La memoria traumatica, insomma, tende ad alienare il soggetto da sé stesso, operando una scissione tra l’Io reificato e la motivazione inconscia.
2 Alienazione
In maniera molto acuta la sociologa Rahel Jaeggi, in una rinnovata definizione del concetto di alienazione, definita “relazione in assenza di relazione”, nel solco della teoria critica francofortese, chiarisce come una vita vissuta per un fine esterno, così come è quella imposta agli uomini e alle donne della civiltà capitalistico-tecnocratica, dove l’essere umano si fa strumento di scopi non autodeterminati, scissi dalla autonoma motivazione soggettiva, sia da considerarsi, appunto, una vita alienata5.
È esattamente una “relazione in assenza di relazione” quella che caratterizza la scissione da sé, dall’altro, dalla Terra, nell’odierna società tardo capitalistica dove il mito economicistico di una “crescita” sempre più accelerata si caratterizza come negazione della relazione con l’altro da sé e del limite che tale relazione impone. L’individuo accelerato del tempo tardo moderno non vuol guardare in volto il limite ultimo della vita umana e nega, così, la relazione delle relazioni, quella della vita con la morte.
E quando il feticcio della “crescita” illimitata conduce alla reificazione, alla distruzione, persino al rischio di autodistruzione, viene a realizzarsi la situazione di un istinto di morte che si riunifica alla originaria angoscia di morte dell’essere umano di fronte alla Natura, l’aristotelico thaumazein. L’alterità è trasformata in oggetto fino al punto da rendere oggetto lo stesso soggetto, il quale, oppresso da restrizioni irrazionali, subisce quella che Herbert Marcuse definisce “repressione addizionale”6.
Occorre, allora, chiedersi quale circolo vizioso bisogna interrompere allo scopo di frenare la frenetica corsa ed orientarsi verso un differente possibile, un modo diverso di pensare la relazione con il Mondo.
Decidersi a leggere la frenesia dell’epoca presente come sintomo isterico significa provare a riflettere sul senso del presente in relazione al passato ed al futuro, fermandosi ad osservare il sottosuolo dell’attuale volontà di dominio dell’uomo occidentale. È possibile che un indicibile rimosso sia celato dietro la sua presunta onnipotenza inducendolo a congelarsi sulla ripetizione al punto che, mentre una terribile pandemia falcidia milioni di vittime in tutto il mondo, egli, apparentemente ignaro degli accadimenti, si spinge a proclamare una roboante “ripartenza”, vera coazione a ripetere?
Nella corsa alla produzione e alla proliferazione la plastica, nella sua ingannevole indistruttibilità, è il simbolo di un’epoca che volge al suo termine, come ci avverte il ritorno di pestilenze, pandemie, piogge acide, acque reflue che sgorgano da inimmaginabili falde inquinate.
È forse giunto il tempo, allora, di fermarsi e ascoltare: leggere il ritorno del rifiuto (le isole di plastica negli oceani e nel cibo di cui ci nutriamo) il riemergere della miseria (la pressione di schiere di reietti ai confini dell’Occidente) come sintomo di una nuova epoca, di un destino che bussa alle nostre porte, invitandoci a guardare in volto quel che il filosofo Emanuele Severino considera la follia dell’Occidente: l’errata convinzione che tutto viene dal nulla e nel nulla ritorna e che, per questo, tutto dal nulla può essere separato, per poi essere trasformato, manipolato e, infine, come rifiuto, nel nulla nuovamente gettato.
E se invece considerassimo che, al contrario, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, come indica una visione scientifica dell’Universo che non nega il legame?
Se fondassimo la nostra visione del Mondo sull’idea che tutto resta e viene innanzi come destino di un essere che sta davanti a noi7, ovvero che è quel che è e non può essere quel che non è, né può essere manipolato e distrutto? Potremmo, allora, mutare la nostra concezione del tempo, sottraendoci all’implicito diktat superegoico che ad esso attribuisce l’insensato agire tardo capitalistico ed assegnando alla memoria una funzione integratrice che superi la scissione tra il presente e il passato, che vada oltre la negazione, la dimenticanza del legame tra futuro e passato alla luce di un presente che, con coscienza allargata e spirito immaginifico, possa riconquistare il legame con il Mondo.
3 Negligenza
La dimenticanza definisce la posizione negligente dell’odierna civiltà occidentale.
Così si esprime il filosofo Michele Serres a proposito dell’amnesia contemporanea: «Noi non cessiamo di perdere la memoria degli atti strani cui si dedicavano i preti in angoli bui e segreti dove, in solitudine, vestivano la statua di un dio, la ornavano, la pulivano, la lustravano…le preparavano il pasto e le parlavano interminabilmente, tutti i giorni e tutte le notti, all’alba, al crepuscolo…Amnesici, noi crediamo che adorassero il dio o la dea, scolpiti in pietra o in legno; no, davano alla cosa stessa, marmo o bronzo, la parola, conferendole l’apparenza di un corpo umano dotato di voce. Celebravano, insomma, il loro patto col mondo»8.
In realtà sembra che la civiltà tardo moderna abbia dimenticato per quali ragioni i monaci benedettini si alzino prima dell’alba per cantare mattutini e laudi.
Non serbiamo il ricordo delle preghiere necessarie, né di questi riti perpetui che, a differenza di quel noi intendiamo, non seguono il tempo, lo sostengono. Le loro spalle e le loro voci, di versetti in orazioni, portano i minuti in minuti, lungo la fragile durata che, senza di loro, si spezzerebbe. La religione, nel suo senso etimologico, ripassa, fila, annoda, unisce, raccoglie, lega, rilega, legge o canta gli elementi del tempo. Il termine religione dice esattamente questo percorso, questa rassegna o questo prolungamento il cui contrario ha nome negligenza, quella che non cessa di perdere il ricordo di queste condotte e parole che a noi appaiono strane.
I dotti dicono che il termine religione potrebbe avere due fonti o origini. Secondo la prima significherebbe, attraverso un verbo latino: rilegare. Ci lega gli uni agli altri, assicura forse il legame tra questo mondo e un altro. Stando alla seconda, più probabile, non certa, ma vicina alla precedente, vorrebbe dire riunire, raccogliere, rilevare, percorrere o rileggere.
Ma i dotti non dicono quale termine sublime la lingua contrappone al religioso, per negarlo: negligenza.
La nozione di negligenza fa capire il nostro tempo.
La modernità trascura, assolutamente parlando.
L’amnesia governa l’agire del tempo tardo moderno, oscura la scissione del legame tra soggetto e oggetto: l’oggetto “fa ombra” al soggetto.
Quale etica costituisce implicito sfondo al fraintendimento del concetto di “bene” dove il valore è misurato in termini di merce, dove la ricchezza è intesa in termini di Prodotto Interno Lordo mentre il valore della vita diviene irrilevante? L’etica mistificante di un presunto benessere collettivo che non vuol vedere l’altra faccia del mondo da cui trae risorse e, soprattutto, non sa riconoscere la confusione tra un’idea di bene reificato ed invertito nel feticismo della merce e la spinta desiderante del soggetto.
Un occidente somatico sembra negare lo psichico, riversandosi sulle cose. Ma, forse, l’opacità dell’oggetto, serve a nascondere l’impossibilità del soggetto. Forse la produzione di immani quantità di rifiuti serve a coprire la negligenza nei confronti della vita stessa. Al di là del principio del piacere, lo spirito del capitalismo, multiforme e cangiante, vuole divorare ogni manifestazione del destino, triturandola, ingurgitandola e rivomitandola, dopo accurato packaging, come gadget: merce inutile, fluttuante in una spirale che, avvolgendo il tempo del contemporaneo, nega qualsiasi relazionalità.
4 Negligenza: inversione
Eppure, per un altro verso, l’occidente somatico sembra orientarsi verso la negligenza del soma in favore dell’incorporeo. Paradosso solo apparente di due estremi che si toccano nel recidere l’istanza soggettiva che entrambi i termini operano. L’uomo senza inconscio, direbbe Massimo Recalcati. Il soggetto alienato, direbbe Karl Marx.
L’occidente viaggia a tappe forzate verso la scissione del mentale dal somatico: cognizione al posto di esperienza, immagine invece di corpo, dominio della tecnica invece che scelta etica. Distanza, non contatto. Il virus, invisibile massa corporea fantasmaticamente temuta, ha accelerato il processo verso l’incorporeo, verso l’etereo e solitario mondo dell’era digitale.
Un occidente “mentalizzato” sembra negare il corpo desiderante, riversandosi sul “dato immateriale” processato da una ragione algoritmica che innalza il cognitivo a suprema dote umana.
È il corpo, in questo caso, ad essere offuscato. Ancora una volta si tratta di dimenticanza, di negligenza, di scissione. Una scissione che sembra avere radici profonde, permeando lo spirito stesso del capitalismo, nella separazione tra Terra e Cielo che, originando dall’assoluta trascendenza del Dio degli Ebrei, torna nell’etica protestante che, con sguardo acuto, Max Weber individua all’origine del Capitalismo occidentale9.
In realtà sembra che sia proprio l’avvento della produzione in serie capitalistica ad aver radicalmente modificato lo sguardo dell’uomo sul Mondo.
5 Seriazione
La civiltà della tecnica strettamente collegata alla produzione capitalistica considera la maggior parte delle cose con cui ha a che fare come prodotta in serie e questa condizione non riguarda soltanto gli oggetti, ma anche le immagini: trasmissioni televisive, film, comunicazioni si riproducono su decine, centinaia, migliaia di schermi diversi. Le parole, quando circolano attraverso i social network, vengono visualizzate su innumerevoli supporti contemporaneamente. La società delle immagini, insomma, si caratterizza come moltiplicazione dei discorsi tramite mezzi di produzione e di riproduzione del senso. E questo modo di rapportarsi al mondo diviene ancora più pervasivo nell’epoca della distanza. Un’epoca del corpo “in remoto” in cui la produzione e riproduzione di sembianti pervade in profondità la vita di relazione: siano Zoom o Google, siano Whatshapp o Instagram, il turbinio delle immagini che sostituiscono il corpo ci afferrano. Siamo, così, assorbiti dalla prepotenza del significante sul significato. Ma il corpo, il suo desiderio, quale cittadinanza ha nel modo delle immagini?
Nel passaggio all’asse sintagmatico, il senso sostituisce il significato, la verticale paradigmatica diviene evanescente, destituendo l’esistenza di fondamento e di originalità. I “pezzi unici”, le esperienze singole, tendono a scomparire per lasciare il posto alle copie. Anche se, per dirla in maniera più chiara, la novità del nostro mondo non sta tanto nel moltiplicarsi di immagini e copie quanto nella mentalità che il processo di seriazione tende a formare. Perché la caratteristica principale dell’attività industriale è normare la produzione, innanzitutto per ragioni economiche (ma sono veramente economiche? O l’apparenza dell’economico nasconde la negazione del ludico, ovvero di una relazione con sé stessi non strumentale e reificante, dunque non scissa?). E questo non riguarda solo gli artefatti umani, ma anche prodotti reputati come “naturali”. Per esempio, secondo logiche commerciali, molti frutti come le mele o le arance, prima di essere mandati al supermercato vengono fatti passare dentro un anello che ne verifica la misura media: se il frutto non passa, perché troppo grosso o di forma stramba, viene scartato.
Il fatto di avere arance dall’apparenza regolare ci fa pensare ad uno stampo, quasi fossero palline da tennis. Ma, a ben vedere, la normalizzazione non è solo una necessità produttiva perché, se è vero che il commercio, oggi, ha bisogno di “cose” è anche vero che necessita di una loro rappresentazione coerente, e, dei due interessi, il secondo sembra prevalere sul primo. Insomma, sembra che la selezione eseguita dalla filiera distributiva sia, a tutti gli effetti, un’operazione di design, di razionalizzazione normalizzante che progetta il modo in cui noi guardiamo gli oggetti, e in buna sostanza, con cui guardiamo il Mondo.
L’industria, insomma, standardizza la nostra percezione e noi finiamo per trattare un’arancia, scissa dal suo essere quel che è, come fosse un artefatto. Vale lo stesso anche per l’essere umano. L’economico, in quanto mezzo, distrugge il fine. Il soggetto è definitivamente scisso, negletto, perduto nell’era della potenza della tecnica.
Per la società del commercio, un difetto visibile è indizio di qualcosa che non va, poiché essa ha introiettato lo statuto degli oggetti come immagini somiglianti tra loro rendendoci inclini a preferire sempre quello più uguale all’altro. Vogliamo il prototipo di cui quell’oggetto concreto, materiale, corporeo, è una manifestazione. Non accettiamo imperfezioni, piccoli guasti, possibilità di riparazioni, che sostenendo il tempo, potrebbero rinviare al suo scorrere, pur accettandone, nel continuo tentativo di ricucirne le lacune, la sua inesorabile forza di decomposizione.
Cerchiamo, forse, la perfezione dell’idea a cui rinvia l’iperuranio mondo platonico per farci schermo della miseria dell’orrendo reale?
A ben vedere più che di una circostanza storica, l’avvento della civiltà capitalistica sembra essere una forma di nevrosi che cela la scissione dell’immagine dall’oggetto nello sguardo distante e seriale dell’occidentale contemporaneo.
6 Il premoderno
Una visione premoderna del mondo può aiutarci ad accostarci all’oggetto in maniera differente10.
Basti un esempio: nel mondo medioevale la lettura simbolica dell’universo è ben diversa da quella contemporanea. Si tratta di un mondo che può apparire pressapochista per il nostro universo di precisione. Eppure, se ci mettiamo in ascolto, svela un volto affascinante, dove l’aspetto, l’immagine sono concepiti come inerenti alla cosa. Sinolo di materia e forma, così vede l’universo Aristotele.
Per lo sguardo contemporaneo la forma è scissa dalla materia mentre, invece, per la mentalità medievale l’arbitrarietà dei significati, ovvero la posizione relativista che interpreta lo spirito desostanzializzato del tempo tardo moderno, è impensabile. Per noi, oggi, il semaforo rosso significa stop per una scelta convenzionale. Per un uomo medievale, al contrario, il rosso, come tutto il resto, partecipa di un senso stabilito da forze che precedono i patti tra gli uomini, da un essere che è quel che è, a prescindere dalle manipolazioni di chi crede di poter modificare a suo piacimento ciò che viene dal nulla e nel nulla ritorna. Per il mondo medievale ed antico l’aspetto di un oggetto è ancorato all’oggetto mentre, invece, per l’epoca tardo moderna l’aspetto di un oggetto è scisso dall’oggetto stesso, e, anzi, l’aspetto esaurisce l’oggetto, replica della serie di oggetti: l’asse sintagmatico della comparazione, della competizione, della sostituibilità, dell’uno vale l’altro, sopraffà l’asse paradigmatico del significato, della differenza, dell’originalità.
Per l’attuale società tardo capitalistica, la percezione del mondo è sempre più conformisticamente imposta dalle centrali di produzione del senso e della percezione: nuova folle forma di scissione dell’immaginario totalitaristico dal corpo vivente. Una forma d’isteria che vede nella frenesia del proliferare delle immagini assieme alla corsa di un tempo inseguito, più che sostenuto, il sintomo amnestico della negazione di un legame che, se per certi versi, rinvia all’aspetto traumatico dell’insecuritas umana, all’angoscia del reale, per un altro verso chiede l’integrazione delle emozioni collegate a tale trauma e la possibilità di vivere l’esistenza, per dirla con Nietzsche, con la gaiezza del tragico.
Ed è proprio nel tragico che il destino riserva all’esistenza umana, che occorre cercare le ragioni di un diverso rapporto tra uomo e uomo e uomo e natura. In quanto tale l’oltre mondo criticato da Nietzsche, il Nietzsche della scienza gaia, può essere inteso come immaginazione di nuovi orizzonti di significato. Per dirla con il Lacan di Slavoj Zizek: dare forma ad una nuova realtà considerando il trauma, l’esplodere dell’orrido “reale” ove il virus richiama il negletto della morte e dell’insecuritas, come chance di guarigione, oltre la trappola che imprigiona l’essere umano, come un criceto nella ruota, in un presente che si ripete uguale a sé stesso11.
7 Conclusioni e prospettive: unitas multiplex
Non è possibile in questa sede, per ragioni di spazio, affrontare un discorso sul cambiamento rispetto ad una concezione dell’essere umano e del suo rapporto distruttivo con la Terra e con l’altro da sè. Cambiamento che, peraltro, è già in atto in diversi luoghi e momenti della società contemporanea e che affonda le radici in una visione del mondo improntata alla qualità più che alla quantità, alla relazione più che alla scissione, all’estetica come forma dell’etica12. Si pensi al paradigma sistemico che va via sostituendosi in molti campi della scienza al modello meccanicistico e che, in prospettiva ecologica, considera il vivente come una rete interconnessa13. Si pensi, in campo matematico, al paradigma della complessità14, o, ancora, in campo sociale ed economico, all’idea di una civiltà dell’empatia così come propugnata dall’economista Jeremy Rifkin15, o, infine, alla teoria della “risonanza” intesa come diversa modalità di relazione tra individuo e ambiente contrapposta all’alienazione spazio-temporale dell’agire tardo moderno immaginata dal sociologo tedesco Hartmuth Rosa16.
Si tratta orientamenti che possono ricongiungersi in quella tradizione di pensiero “secondaria” che attraversa la cultura dell’Occidente e che il filosofo Rocco Ronchi individua come “il canone minore”17.
Dove l’Uno è molteplice e il molteplice è unità immediata, dove la visione meccanicistica e intrinsecamente dualistica lascia il posto ad una concezione organicistica e unificante della Terra e del Cosmo18, dove il tempo, come nel Nachträglichkeit freudiano, condensa l’essere del soggetto in un presente19 unificante e prospettico fondato sull’ascolto del destino dell’essere che la soggettività inconscia può donare.
Berardo Guglielmi
Sociologo
Note
* Paolo Giordano, Nel contagio. Einaudi, Torino 2020
** Lewis Carrol, Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, Mondadori, Milano, 2011
1 Sigmund Freud, Josef Breuer, Comunicazione preliminare. Meccanismo psichico dei fenomeni isterici, Newton Compton, Roma, 2016, p. 130
2 Ibidem, p. 133
3 Ibidem, p. 134
4 Bessel van der Kolk, Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina, Milano, 2015, p. 204. Il corsivo in parentesi è mio.
5 Rahel Jaeggi, Alienazione, Attualità di un problema filosofico e sociale, Castelvecchi, Roma, 2017, p. 35.
6 Nel saggio Eros e civiltà, Marcuse distingue la repressione fondamentale, ovvero le “modificazioni” agli istinti strettamente necessarie per il perpetuarsi della razza umana, dalla repressione addizionale, conseguenza “di un’organizzazione specifica della penuria e di un atteggiamento esistenziale specifico imposto da questa organizzazione” a scopo di dominio. Cfr. Herbert Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino, 1967, pp. 79-80.
7 Il termine “destino”, nella sua radice etimologica è rinviabile a ciò che “sta”, è fermo nel suo esistere, non diviene. Non è dunque separabile e manipolabile. Cfr. la voce “destino” ne Il nuovo dizionario etimologico Zanichelli, Zanichelli, Trento 2017. Cfr, inoltre, E. Severino, La filosofia futura, Rizzoli, Milano, 1989, p. 51 e segg.
8 Michel Serres, Il contratto naturale, Feltrinelli, Milano, 1991, p. 64 e segg.
9 Cfr., in proposito, il fondamentale saggio di Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, con particolare riferimento all’Osservazione preliminare, Sansoni, Firenze, 1990.
10 Al fine di comprendere come sia lo sguardo dell’epoca a definire la relazione uomo mondo e come il mondo antico e il mondo medievale avessero una visione “integrata” dell’oggetto, appare di grande interesse il saggio di Riccardo Falcinelli: Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo. Einaudi, Torino, 2017, p. 65 e segg..
11 Cfr. Slavoj Zizek, Il modo giusto di vivere l’isolamento, articolo pubblicato sul numero del 19 aprile 2020 della rivista «L’internazionale». Traduzione di Bruna Tortorella.
12 Si veda, in proposito l’interessante saggio di Edgar Morin Sull’Estetica, Raffaello Cortina, Milano, 2019. Si veda, inoltre, la concezione di un’estetica intesa come “finalità senza fine” e “libertà” in Herbert Marcuse, cit., pp. 194 – 214
13 Cfr. Fritjof Capra, Pier Luigi Luisi, Vita e Natura, Una visione sistemica, Aboca, Sansepolcro (Ar), 2017, p. 87 e segg.
14Ibidem, p. 131 e segg.
15 Cfr. Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, la corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, parte terza, Mondadori, Milano, 2010.
16 Il concetto di “risonanza”, contrapposto a quello di “alienazione” è ben descritto in Hartmut Rosa: Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella modernità, Einaudi, Torino, 2015, p. 108 e segg.
17 Cfr. Rocco Ronchi, Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Feltrinelli, Milano, 2017, p. 15 e segg.
18 Cfr. a proposito di una concezione organicistica della Terra, concepita non come oggetto ma come sistema vivente autopoietico, James Lavelock e la teoria di Gaia, in Fritjof Capra, Pier Luigi Luisi, Vita e Natura, Una visione sistemica, Aboca, Sansepolcro (Ar), 2017, p. 209 e segg.
19 Cfr., Sigmund Freud, L’interpretazione dei sogni, Newton Compton, Roma, 2016, cap. quinto.
Bibliografia
Capra F., Luisi P. L. (2017), Vita e Natura, Una visione sistemica, Aboca, Sansepolcro (Ar)
Falcinelli R. (2017), Cromorama. Come il colore ha cambiato il nostro sguardo, Einaudi, Torino
Freud S., Breuer J. (2016), Comunicazione preliminare. Meccanismo psichico dei fenomeni isterici, Newton Compton, Roma
Freud S., L’interpretazione dei sogni, Newton Compton, Roma
Il nuovo dizionario etimologico Zanichelli, Zanichelli, Trento, 2017
Jaeggi R. (2017), Alienazione, Attualità di un problema filosofico e sociale, Castelvecchi, Roma
Marcuse H. (1967), Eros e civiltà, Einaudi, Torino
Morin E. (2019), Sull’Estetica, Raffaello Cortina, Milano
Rifkin J. (2010), La civiltà dell’empatia, la corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, Milano
Ronchi R. (2017), Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Feltrinelli, Milano
Rosa H. (2005), Accelerazione e alienazione. Per una teoria critica del tempo nella modernità, Einaudi, Torino
Serres M. (1991), Il contratto naturale, Feltrinelli, Milano
Severino E. (1989), La filosofia futura, Rizzoli, Milano
Van der Kolk B., Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina, Milano, 2015.
Weber M. (1990), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze
Zizek S. (2020), Il modo giusto di vivere l’isolamento, in «L’internazionale», 19 aprile