Il sesto faraone
Hans Tuzzi
Bollati Boringhieri, Torino 2016
Siamo ad Alessandria d’Egitto, qualche anno dopo la fine della prima guerra mondiale. La città è un pittoresco crogiolo di razze di lingue e di religioni. Il protettorato inglese esercita la sua influenza in maniera abbastanza soft, ma non di meno il potere poliziesco viene esercitato con notevole severità. Il capitano Johnston ne è l’ottuso interprete, ansioso, come tutti gli inquirenti, di mettere sotto inchiesta la classe dirigente, in questo caso inglese, ricca ed oziosa.
La città nella sua parte occidentale è popolata di ricchi archeologi, commercianti ebrei, marinai e comandanti di navi di ogni ordine e grado, la parte egiziana, invece ,viene illustrata nello sfondo, quasi assente dalle vicende che si dipanano nel libro. Sono quindi i circoli occidentali ed i soci degli stessi gli interpreti di questa vicenda che, nata nelle mollezze dei costumi, nei primordi dell’emancipazione femminile, nel giro oscuro del commercio di droga e di armi, riceve una improvvisa accelerazione allorché viene scoperto il cadavere di un commerciante di reperti archeologici, spesso rubati, e anche, contemporaneamente, strozzino.
In questa strana città, dove si mescolano aspirazioni imperiali, tresche sessuali, furti, tradimenti, commerci leciti e illeciti, capita Baron Vuckcic, montenegrino, ex agente dei servizi segreti austro- ungarici prima della caduta dell’impero, senza soldi e senza patria, ingaggiato da un ricco ebreo per controllare le azioni del genero, direttore generale dell’azienda di trasporti di proprietà della famiglia.
Il delitto dello strozzino-commerciante di anticaglie capita a proposito per mettere in luce le capacità del nostro detective, che si muove rapidamente e con competenza in ambienti a lui estranei, quasi a mostrare la sua capacità, da apolide, di penetrare in tutte le confraternite e le elites aristocratiche.
Vuckic individuerà il colpevole e smaschererà i traffici illeciti che si svolgono tra Alessandria, la Turchia, e i Balcani.
Come in tutti i libri di Tuzzi, l’intreccio è chiaramente subordinato allo studio dei dettagli, specie degli abiti e dei monili, e degli ambienti, ricostruiti con competenza e semplicità, come se il libro fosse scritto esattamente nell’epoca in cui si svolge. Tuzzi assorbe completamente, nella sua ironia leggera, l’ambientazione e lo studio dei meccanismi complottistici che in questa città si svolgono.
Contrariamente al solito, l’irritante abitudine, quasi sempre presente in Tuzzi, di utilizzare nomi altisonanti e complicati che appesantiscono il testo e ne rendono complicata la fruizione, è questa volta ridotta ai minimi termini, mettendo in risalto la prosa elegante e raffinata dell’autore.
Vuckic supera il razzismo dell’ambiente nei confronti degli slavi, degli ebrei , degli arabi , facendo apprezzare sempre più la sua competenza , fino ad ottenere l’aiuto dell’ottuso poliziotto inglese . Alla fine arriva a svelare il movente del delitto ed il suo autore . Ma questa è certamente la parte più ovvia del libro, e forse la più deludente: il meglio è altrove , nella sua prosa pulita ed accattivante e nella sua ironia sottile .
Tuzzi probabilmente non è un grande giallista, ma è sicuramente un grande scrittore.
Gabriele Peruzzi