Cinzia Mammoliti
Runa Editore. Roma 2015
Il titolo di questo libro si presenta come una catalogazione diagnostica certa, che scaturisce da un modo di pensare settoriale e specialistico sviluppatosi negli ultimi anni nell’ambito degli interventi “psi….” in particolare a livello istituzionale. Tuttavia Cinzia Mammoliti, criminologa e docente di criminologia, dà al lettore la possibilità di ascoltare il discorso di una persona perversa. Realizza un’intervista con Paolo un giovane uomo con una diagnosi di narcisismo perverso, accertata dall’equipe di specialisti di un ospedale penitenziario. Paolo accetta l’incontro con la criminologa soltanto perché, così, potrebbe ottenere uno sconto di pena per l’accusa di maltrattamenti e istigazione al suicidio della sua convivente.I titoli dei capitoli del libro, Giochi di potere…, Carne da macello…, Confessioni…, punteggiano la storia di Paolo, che racconta in modo crudo, realistico fin nei minimi particolari i suoi godimenti e le sue relazioni con le donne. I contenuti sono forti, intensi e ci si sente un po’ messi alla prova, perché continuare a leggere tante atrocità? Forse perché le spiegazioni che Paolo fornisce rispetto al suo agire svelano e confermano, se fosse necessario, il pensiero di Freud e Lacan sulla perversione. E ancora, considerando che il perverso non va dall’analista perché non ha alcun interesse di cambiare la sua posizione rispetto al modo di godere, questa lettura potrebbe diventare una buona occasione per avvicinarsi, in qualche modo, al pensiero di un perverso che racconta di sé.
Paolo incontra tante donne, si innamora soltanto due volte. L’epicentro della sua costellazione femminile è Arianna, bella e ingenua, ma anche sottovalutata. Le donne, per lui, sono materne o mignotte. Quelle materne danno un amore gratuito e accudente, proprio come una madre, non creano dipendenza e al letto mettono i limiti. Non si può fare tutto. Le mignotte ti tirano fuori quanto hai di peggiore e poi te lo ritorcono contro, però sono loro che servono a portare le altre sul palmo della mano.
Il perverso non sa cosa sia il limite e Paolo vive senza limiti. Cerca corpi in quanto carne, la carne è muta, non ha linguaggio. Così va avanti la storia con Arianna, tra angherie, violenze e soprusi che alimentano l’illusione di una fusione simbiotica con una donna, ma Arianna comincia a parlare e mette Paolo con le spalle al muro. Non c’è più un corpo di cui godere a proprio piacimento, allora la perversione rovescia e il desiderio del soggetto diventa desiderio di generare l’angoscia nell’Altro. Paolo fa sì che Arianna subisca un TSO. Lei diventa Docile come un agnellino. Si tratta, però, di una docilità apparente, di una resa che la porterà all’autodistruzione passando per una gravidanza non voluta seguita dal riconoscimento di una inidoneità genitoriale e infine un tentativo di suicidio.
Paolo continua la cronaca puntuale della sua vita in balia della pulsione, una pulsione diretta, negativa che ferisce e distrugge senza lasciare spazio ad altro, come se altro non esistesse. Sollecitato, allora, dall’intervistatrice, a riconoscere un qualche tratto di crudeltà nel suo agire si lascia andare al racconto della sua infanzia. Il padre non lo voleva, era violento e si ubriacava. La madre era depressa e tentava continui suicidi, così lui si ritrova ad essere collocato ovunque. Nessuno lo voleva tenere con sé. Cresce nervoso, irascibile, caratteriale come dicono gli altri, ma lui afferma di essere stato soltanto un disperato e chiede «Tu lo sai cosa significa cercare lo sguardo di tua madre e vedere solo nebbia?»
La nebbia non fa vedere la strada, i limiti della strada e così Paolo ha vissuto la sua vita senza limiti, mentre Arianna, come ci dice C. Mammoliti, non ha potuto riconoscere i suoi limiti prima di distruggersi per amore.
Tiziana Ortu