2017 MASSIMO CACI Il concetto di masochismo in Gilles Deleuze e Carl Gustav Jung

Introduzione

Il presente lavoro vuole illustrare le posizioni del filosofo Gilles Deleuze e dello psicologo Carl Gustav Jung in merito al concetto di masochismo e come questo possa essere considerato dal punto di vista di un processo dinamico di costruzione di una propria identità e di una propria psicologia, e non solo come un atto di perversione. Sia Deleuze che Jung vanno oltre l’aspetto di una concezione concreta e materiale del masochismo, come rappresentazione di una personalità perversa, posta come polarità opposta della esperienza sadica, in quanto esso va oltre l’attribuzione di polo passivo in contrapposizione a un polo attivo di tipo sadico. Gilles Deleuze ha brillantemente dimostrato nel libro Présentation de Sacher-Masoch, che la figura dello scrittore Léopold von Sacher-Masoch ha introdotto nei suoi scritti, il più famoso dei quali è Venus im Pelz, l’idea della costituzione di un uomo nuovo, non a partire da un modello paterno, ma a partire da un modello femminile di madre fredda e crudele che, attraverso le punizioni corporali, umilia il lato paterno dell’uomo battuto fino a espellere completamente la figura paterna. Questo tipo di esperienza si pone sotto l’egida dell’idealizzazione della figura femminile che in sé possiede tutti i caratteri necessari per la creazione di un uomo nuovo, come se fosse un processo di partenogenesi. L’idea della costruzione di un uomo nuovo è presente anche nella teoresi di Carl Gustav Jung, che parla della creazione dell’anthropos. Nel caso di Jung la costituzione di questo uomo nuovo non passa da atti concreti, da rituali di sacrificio, come sono presenti nell’opera di Masoch, ma attraverso l’attivazione della funzione simbolica dove il vecchio mondo deve passare a un nuovo mondo, attraverso una serie di processi che Jung descrive con un linguaggio preso a prestito dai testi alchemici. In Jung, la mortificatio non ha lo stesso valore della umiliazione nel masochismo, ma richiede dal punto di vista simbolico la perdita del vecchio mondo attraverso un passaggio trasformativo sotto l’egida dell’archetipo della Grande Madre.

Il masochismo come rinascita dalla madre orale

Il concetto di masochismo è presente nella letteratura psichiatrica da quando alla fine del XIX secolo Krafft-Ebing ha introdotto il masochismo come una forma di perversione sessuale, le cui caratteristiche principale sono la schiavitù e l’umiliazione più che il dolore e il piacere. Queste caratteristiche sono state messe in correlazione con quelle del sadismo, considerato come il suo opposto nelle perversioni sessuali.

In realtà il grande successo letterario di Leopold von Masoch, come quello di De Sade, non è stato determinato dall’avere descritto una patologia psichiatrica attraverso una serie di comportamenti considerati come aspetti di una perversione sessuale, ma dall’avere espresso una nuova concezione dell’uomo, dell’arte, del linguaggio, proponendo di fatto due nuovi modelli antropologici.

Riguardo al linguaggio, De Sade utilizza la forma impersonale che attraverso il modo imperativo descrive le violenze personali del sadico. Questa violenza impersonale è soggetta ad una idea razionale pura. Masoch, invece, non immagina di sovvertire l’esistente creando delle istituzioni soggette a questo ideale impersonale nella relazioni umane, ma di utilizzare l’idea della contrattualità, che regge i rapporti umani, per fini che non garantiscono l’uguaglianza ma creano delle relazioni di dominante – dominato, nella fattispecie il dominante è rappresentato dalla donna e il dominato dall’uomo. Mentre negli scritti di De Sade, come Justine, l’uomo esercita la sua violenza sulla donna, vittima e complice, Masoch deve fare un’opera di persuasione sulla donna che sceglie come partner di atti di violenza che deve subire e per fare questo la costringe a firmare un contratto che la obbliga a queste azioni.

De Sade come Masoch perseguivano nelle loro opere letterarie dei progetti “antropologici” dove la sessualità era inscritta in una visione dell’uomo più complessa di quella dominante nel XVIII e nel XIX secolo in Occidente. In queste due visioni antropologiche emergono due idee medievali di perversione: quella di De Sade può essere associata alle possessione, mentre quella di Masoch al patto di alleanza. Quest’ultima rappresenta il leit motiv del Faust di Goethe che si rifà alla Sinnlichkeit, alla sensualitas latina, per designare il passaggio del corpo dal soprasensibile al soprasensuale. Il corpo della donna nella Venere in pelliccia è come un’opera d’arte, una sensualità irraggiungibile ma che può rappresentare quella figura di donna che può fare rinascere l’uomo sotto un altro ideale.

Il progetto di De Sade è rappresentato dalla negazione di ogni forma costituita di una autonomia dell’Io che si sottrae da un Ideale che lo deve conformare. L’azione sadica è un’azione parziale nel raggiungimento di questa negazione perché è una rappresentazione di un Ideale totalizzante che non si può rappresentare. L’idea della pura negazione è una forma di delirio razionale che va verso una natura prima, verso un caos primordiale. La negazione di un Io che possa rappresentare il mondo tramite la sua capacità di accogliere le fantasie, come prodotti creativi costitutivi della sua natura umana.

Freud riprende in modo critico questo progetto di De Sade quando distinguerà le pulsioni, come pulsioni di vita e pulsioni di morte; utilizzerà i termini rispettivi di Eros e Thanatos.

Freud sottolinea che parlare di istinto di morte può essere fatto solo in maniera speculativa o mitica, ma non possiamo stabilire la sua esistenza dal punto di vista psicologico; solo attraverso il meccanismo della negazione possiamo inferire la sua esistenza.

Deleuze (1967) afferma che la negazione consente una apertura di senso che va al di là del dato reale, aprendo un nuovo orizzonte di senso. La negazione e la sospensione sono le due caratteristiche principali del masochismo e Deleuze, a questo proposito, porta l’esempio del feticismo come una espressione del masochismo. Nel feticismo la credenza a un fallo femminile crea un effetto di sospensione su un ideale fantasmato, allontanando il feticista dagli attacchi che la conoscenza del reale potrebbe portare. Deleuze afferma a tal proposito che questa fuga dal mondo nel sogno, non è un modo per negare o distruggere il mondo ma è un modo di idealizzarlo; si tratta di aprirsi a un ideale sospeso nella fantasia. Lo scopo di Masoch è quello che solo negando la realtà ci si può identificare all’uomo nuovo senza sessualità.

Nei romanzi di Masoch la donna che partecipa ai riti masochistici ha una posa statuaria e sospende il gesto di dare la frustata creando un effetto di suspense. La solennità del gesto può essere considerata come la proposizione di un modello che porta in sé il significato di un rito di trasformazione. Mentre il sadismo rappresenta una maniera apatica e analitica di comprendere l’istinto di morte, il masochismo rappresenta una maniera mitica e dialettica immaginaria di comprensione.

Questa visione dicotomica dell’istinto di morte contrasta con la possibile alternanza di sadismo e masochismo nella stessa persona come dinamica di due opposti. Freud, però, rimane del parere di giudicarli come due opposti intercambiabili, innanzitutto perché valuta possibile un incontro interiore tra istinti e pulsioni nella stessa persona. In secondo luogo parla di un’identità di esperienza. Il sadico potrebbe provare piacere di far subire dolore in quanto già vissuto come esperienza personale. Da questo punto di vista il sadico si potrebbe distinguere nel sadico aggressivo che cerca solo di dimostrare la sua potenza, e nel sadico edonista che invece ha come scopo principale quello del dolore altrui. In terzo luogo Freud vuole dimostrare il trasformismo delle pulsioni sessuali nello scopo e nell’ oggetto, il cosiddetto ritorno al contrario.

Questa interscambiabilità degli opposti, sadismo e masochismo, contrasta però con l’ideale femminile sia in De Sade che in Masoch. In particolare nei romanzi di Masoch sono presenti figure femminili che incarnano tre modelli differenti. Il primo tipo è quella della etera greca, Afrodite, in cui si ha una totale indipendenza dall’uomo, che viene scelto nella piena libertà dominata dall’istante sensuale. Il terzo tipo è quella della donna sadica che ama far soffrire e torturare l’uomo, sotto l’egida di una pulsione apollinea. Il secondo tipo, che s’interpone ai precedenti, è quello della figura sognata da Masoch, la madre, da lui descritta come «Una donna imponente, dall’aria severa, dai tratti accentuati e dallo sguardo freddo; […]». … Tale è la trinità del sogno masochista: fredda-materna-severa, glaciale-sentimentale-crudele (G.D.,op.cit., p. 45).

La freddezza sadica non è paragonabile a quella masochistica. Mentre l’apatia sadica aborre ogni forma di sentimentalità perché allontana da una sensualità dimostrativa, la freddezza masochistica esalta la sentimentalità fredda e glaciale in quanto allontana da ogni tipo di sensualità. Ciò permette una seconda nascita dell’uomo privo di amore sessuale. Bachofen esplora tre tipi femminili a seconda del livello di esclusione della figura paterna nel dominio femminile. Masoch, a sua volta, descrive tre tipi di madri di cui una, in particolare, corrisponde all’ideale masochista. Tra gli estremi della madre eterica e della madre edipica sta la madre prediletta da Masoch: la madre orale, la madre nutrice, portatrice di morte.

La figura del padre ha una valenza diversa a seconda del rapporto con la figura della madre. Nella visione di De Sade il padre rappresenta la natura potente e caotica che per ripristinare il suo dominio deve rivolgersi contro le leggi e contro chi può contrastare il suo potere. Lo scopo finale del padre sadico è la distruzione della figura materna attraverso un’alleanza sodomitica con la figlia. La madre orale è una concorrente della natura procreatrice. A questo proposito si può affermare che il sadismo è in una posizione negativa nei riguardi della madre e sviluppa una idea inflazionata della figura paterna, che comunque si pone al di sopra delle leggi per sviluppare una idea della natura totalizzante.

Il masochista non ha come ideale il padre rappresentante della natura potente, ma la madre orale, la buona madre. La madre orale incarna e sintetizza tutte e tre le figure di madre descritte da Masoch. Questa condensazione delle tre madri nella madre buona contrasta con la concezione psicoanalitica della madre masochistica come madre cattiva.

Riguardo a ciò Deleuze afferma: «Il masochista vive l’ordine simbolico come ordine tra madri e pone le condizioni sulle quali la madre in questo ordine si confonde con la legge. Così non si deve parlare di una identificazione con la madre nel masochismo. La madre non è affatto il termine di una identificazione ma condizione del simbolismo attraverso il quale il masochista si esprime» (ibid., p. 56).

Questo nuovo ordine simbolico si costituisce attraverso l’espulsione dal mondo masochista della figura paterna, che continua però a vivere sotto forma allucinatoria nel reale – la forclusione secondo Lacan -. Il masochista, per proteggere il proprio mondo simbolico, dal ritorno del reale e dall’allucinazione del ritorno del padre, fa un contratto con la donna a cui conferisce per un tempo determinato tutti i diritti sulla sua persona. Questo comporta una visione della femminilità come completa – da qui la figura della donna che possiede il fallo, come attributo che completa la femminilità – e quindi capace di presentare in sé la possibilità di una nuova nascita simbolica dell’uomo, che può fare a meno della virilità che viene sospesa.

Per ritornare alla distinzione tra sadismo e masochismo, Deleuze afferma: «Ciò che caratterizza l’uso sadico della fantasia, è una forza violenta di proiezione di tipo paranoico, per la quale la fantasia diviene lo strumento di un cambiamento essenziale e subito introduce nel mondo oggettivo. […] Ora l’uso masochista, che consiste a neutralizzare il reale ed a sospendere l’ideale nella interiorità pura della fantasia, è completamente differente» (ibid., p. 65). L’aspetto formale del masochismo si esplica nell’associare all’immagine della madre il potere simbolico della legge. La dimensione statuaria della madre nutrice, che nella sospensione dell’atto di colpire, autorizzato da un contratto che stabilisce la procedura di una ritualità, risponde ad un’esigenza di Masoch che vede nell’azione culturale, un allontanamento da un ritorno alla natura primigenia, come luogo di rinnovamento e di rinascita attraverso un movimento ripetitivo e perpetuo.

Il potere simbolico della legge associato all’immagine della madre è possibile solo se si accetta la grande novità portata da Kant rispetto al concetto di legge finora vigente. Nella Critica della ragion pratica Kant opera una inversione rispetto alla legge affermando che questa non dipende più dal Bene, ma è quest’ultimo che dipende dalla legge, che acquista un valore autonomo e formale. L’inversione dolore-piacere nel contratto tra il masochista e la donna carnefice è la conseguenza e non la causa di una legge punitiva. Tutto ciò risponde all’aspetto autonomo e formale della legge, fino al paradosso della pena che precede la causa, riservando a sé i piaceri che ci proibisce. Theodor Reik coglie questo aspetto del masochismo individuando il piacere autentico come una conseguenza e non come causa dell’applicazione della punizione.

In questa inversione di ruoli nel masochismo con l’attribuzione alla madre della funzione di detentore delle leggi, con sostituzione della figura paterna, l’incesto acquista un altro valore. Con la prevalenza dell’immagine della madre la castrazione non è più una minaccia a che sia impedito l’incesto con la madre, ma il segno di un incesto realizzato. Nei suoi libri Masoch descrive i riti rappresentativi delle società a carattere matriarcale e indica in Caino il modello di figlio di una società matriarcale dove prevale l’agricoltura. Anche la figura di Cristo rappresenta un modello di figlio che muore tra le braccia della madre per una seconda nascita. «La croce rappresenta l’immagine materna di morte, lo specchio dove l’io narcisistico del Cristo (Caino) scorge l’io ideale (Cristo resuscitato)» (ibid., p. 84).

Masoch, attraverso la figura di Cristo, esprime quello che è il suo scopo, la creazione di un uomo nuovo senza sessualità e di fatto ribalta quello che è il motivo della colpa del figlio, quella di assomigliare troppo al padre e che in qualche modo deve espiare.

Ma come si possono associare l’uomo nuovo senza sessualità di Masoch e le pulsioni di vita e le pulsioni di morte in Freud? Per Freud esiste una fusione delle pulsioni ed il sadismo e il masochismo rappresentano un eccellente modello delle fusioni dei moti pulsionali. «La defusione può essere definita a sua volta come il risultato di un processo che rende a ciascuna delle pulsioni l’autonomia delle sue pulsioni. […] La libido e l’aggressività non vanno considerate come due ingredienti simmetrici. La libido, come è noto, è per lui un fattore di legame (Bindung) di fusione, mentre l’aggressività tende di per se stessa a “dissolvere i rapporti”. Ciò significa che più prevale l’aggressività, più la fusione pulsionale tende a disintegrarsi; inversamente, più prevale la libido e più si realizza la fusione» (Laplanche, Pontalis, p. 203). Lo spostamento della libido nella defusione dà all’io e al super-io un ruolo nella desessualizzazione. Si hanno due tipi di desessualizzazione: uno individuabile con un processo di idealizzazione, dato dalla forza dell’immaginazione dell’io e l’altro individuabile con un processo d’identificazione, dato dalla forza del pensiero nel super-io. Freud indica nella desessualizzazione e nella sua azione caratterizzata dalla freddezza la caratteristica centrale della perversione. Tutto ciò è seguito da una risessualizzazione che opera su nuove basi e secondo nuove modalità. Maggiore è la freddezza, più potente sarà la risessualizzazione che nel sadismo si presenta sotto forma di apatia, mentre nel masochismo ha i caratteri della fantasmatizzazione.

In questo processo di risessualizzazione il principio di piacere trova il suo posto in forme diverse nel sadismo e nel masochismo; mentre nel sadismo il piacere è provato nell’infliggere il dolore ad altri, nel masochismo è il proprio dolore che è alla base del piacere. C’è, però, un elemento che caratterizza in modo particolare il dolore nel processo di risessualizzazione: la reiterazione. Come è affermato da Deleuze: «Il dolore è valorizzato solo in rapporto con delle forme di ripetizione che ne condizionano l’uso» (Deleuze, p. 103). Si può arrivare al punto di considerare la ripetizione come la vera fonte di piacere, e il dolore solo un suo epifenomeno. La ripetizione diviene indipendente da ogni piacere preliminare, con uno scambio di ruoli. La risessualizzazione porta dunque a una inversione di ruoli dando la centralità alla ripetizione, che diviene l’ideale, rispetto al piacere.

Nel sadismo questo doppio processo di desessualizzazione-risessualizzazione si enuncia nel pensiero e si rivela nella forza dimostrativa, nel masochismo si presenta nell’immaginazione e si rivela nella forza dialettica. L’istinto di morte rappresenta solo l’involucro esteriore del rapporto sadismo – masochismo, perché, in realtà, esistono delle differenze strutturali che si esprimono nel fatto che l’istinto di morte può essere trattato solo in modo speculativo e mitico, pensato nel sadismo, immaginato nel masochismo.

In definitiva Deleuze descrive in questo modo il masochista e la sua specifica realtà rispetto alla visione della cultura pre-freudiana e freudiana di una unità dinamica sadismo-masochismo. «Il masochista rinnega la somiglianza con il padre e la sessualità che ne deriva; ma rifiuta allo stesso tempo l’immagine di padre come l’autorità repressiva che regolamenta questa sessualità e che serve da principio al super-io. Al super-io della istituzione oppone l’alleanza contrattuale dell’io e della madre orale. Tra la prima madre e l’amante, la madre orale funziona come immagine di morte e tende all’io il freddo specchio del suo doppio rifiuto. Ma la morte può essere immaginata solo come seconda nascita, partenogenesi da dove l’io esce di nuovo, liberato dal super-io come dalla sessualità. La riflessione dell’io nella morte produce l’io ideale nelle condizioni di indipendenza o di autonomia dal masochismo» (G.D., op.cit., pp. 111-112).

Il masochismo come regressione alla madre di morte

Carl Gustav Jung è una figura centrale della cultura analitica nel XX secolo ed uno dei suoi contributi più importanti è stato quello di una diversa concezione della libido rispetto alla concezione freudiana. Jung recupera la concezione classica di desiderio, libido, espressa da Cicerone che distingueva la gioia del tempo presente dalle aspettative del desiderio riposte nel futuro. La libido si presenta pervasiva per la sua capacità di scissione e di trasmissione ad altre funzioni corporee che non siano specificamente la sessualità, come invece affermato nella teoria freudiana. La concezione junghiana della libido come energia psichica consente di valutare la complessità del rapporto con la realtà, tenendo conto di tutti quegli aspetti biologici su cui si fissa la libido e che presentano una autonomia funzionale. La libido porta in sé una forza di riproduzione che si realizza nell’introduzione di rappresentazioni psicologiche nell’oggetto. La sua azione di trasferimento del desiderio come agente di riproduzione, dal punto di vista biologico, viene indicata con il nome di istinto. La libido nella sua declinazione di istinto viene rappresentata come intenzionalità. Senza l’intenzionalità non c’è vissuto interno del dato esteriore, e quindi il valore di ciò che è percepito sottosta a una volontà interiore che ne attribuisce un senso. Questo processo di animazione e di senso del dato interiorizzato, Jung lo chiama introiezione.

La funzione di realtà non ha quindi una origine esclusivamente sessuale ma ha origine da diverse fissazioni d’organo e quindi può avere molteplici rappresentazioni. La realtà schizofrenica, dice Jung, non è determinata e caratterizzata da una intensificazione della sessualità, ma si manifesta con una perdita catastrofica delle rappresentazioni acquisite per piombare in un mondo immaginario precedente. A una regressione d’organo si associa una regressione del mondo delle rappresentazioni.

La funzione simbolica, mettendo in discussione il valore nominale di un concetto, opera un processo di dissoluzione e di ricombinazione di quest’ultimo, favorendo il processo di formazioni analogiche; aumentano le immagini del mondo sotto la spinta della dimensione affettiva del complesso. Questo sviluppo dei rapporti analogici è chiamato da Levy-Bruhl partycipation mystique.

Quando si manifesta la libido e sotto che forma? Jung distingue una fase presessuale che va dagli uno ai quattro anni e una fase sessuale che si va sviluppando in seguito, pur rimanendo degli aspetti mescolati dell’attività della libido. L’atto della suzione e i movimenti ritmici associati di braccia e gambe caratterizzano una fase di nutrizione che ha un valore primario rispetto la sessualità, e che possono ripresentarsi in età adulta nel caso di gravi dissociazioni psichiche. Jung, però, sembra sottolineare come al di là della funzione investita dalla libido, l’aspetto ritmico di essa si possa imporre e rappresentare, attraverso funzioni analogiche, aspetti molteplici della sua manifestazioni. Ciò che viene individuato nell’età adulta è proprio questa associazione tra ritmicità e rappresentazioni che caratterizzano strettamente la dimensione affettiva del complesso. Le fasi più antiche della libido possono riattivarsi in modo regressivo. «La libido bloccata da un ostacolo non regredisce necessariamente verso modi d’impiego sessuale anteriori, quanto piuttosto verso attività ritmiche infantili che fungono da modello originario sia per l’atto nutritivo che per l’atto sessuale» (C.G. Jung, 1952, in Opere, p. 156).

Sabina Spielrein aveva espresso come la caratteristica della ritmicità nella regressione, – lei parla di dissoluzione del complesso -, potesse portare a forme di rappresentazioni che seguono il modello dell’arte e della poesia. «L’importanza del ritmo nella costruzione del verso poetico è data dal fatto che conferisce alla parola una dinamizzazione che le consente di unirsi ad altre parole. La parola poetica porta con sé una capacità di attrazione nei confronti di altre parole, non per il loro contenuto, ma per una intrinseca natura ritmica che li spinge a saldarsi tra loro. L’emozionalità, in quanto intervento esterno a questo processo di congiungimento, non opera sempre come un fattore di costruzione del verso, ma spesso, paradossalmente lo indebolisce, perché ci allontana dal cogliere la sua intrinseca artisticità, che si manifesta nel suo aspetto di unità e di compattezza» (Caci, p. 12).

L’idea che la parola poetica porta con sé una capacità di attrazione nei confronti di altre parole, ci fa comprendere in modo analogico l’azione della libido fissata su una funzione d’organo. Riportando quanto detto sulla parola poetica al complesso a tonalità affettiva si può comprendere come ci sia qualcosa di irresistibile nella dimensione affettiva del complesso, che impedisce una visione chiara delle sue diverse espressioni, dai rituali primitivi alle manifestazioni psicopatologiche, perché è dettato da una imprevedibile configurazione delle immagini.

Si potrebbe allora dire che la libido è ritmo, nel senso già espresso, o che comunque il ritmo rappresenta una condizione necessaria per la fissazione della libido. Jung sul ritmo afferma: «Il ritmo è il modo classico di imprimere nella mente determinate idee o altre attività. L’attività ritmica non avendo più modo di essere impiegata nell’assunzione del cibo una volta terminata la fase nutritiva di sviluppo non solo passa nella sfera della sessualità in senso stretto, ma anche in quella dei meccanismi di seduzione, musica e danza, e infine a quella del lavoro propriamente detto. […] la tendenza al ritmo non proviene affatto dalla fase nutritiva donde sarebbe passata in seguito a quella sessuale, ma rappresenta un carattere peculiare di tutti i processi emotivi in generale. Ogni eccitazione […] tende a esplicarsi ritmicamente, tende cioè a ripetizione e a perseverazione, il che corrisponde anche negli esperimenti di associazione sotto forma di ripetizioni, assonanze e allitterazioni, quando le parole di reazione hanno carattere complessuale» (C.G. J., op.cit., p. 157).

Le représentations collectives di Levy-Bruhl sono modalità di espressione di questa ritmicità nel suo aspetto di ripetizione e perseverazione e strutturano nella loro molteplice raffigurazione le immagini emergenti da una interiorità che chiede di essere realizzata. La negazione di queste rappresentazioni collettive, dice Jung, sono la fonte di quelli che sono i tratti psicopatologici più frequenti. Noi diamo voce a questa interiorità, ma la sua forza deriva da questa disposizione innata a produrre immagini e strutture psichiche universali, che Jung chiama archetipi dell’inconscio collettivo.

Il valore mimetico delle rappresentazioni collettive, secondo la Borutti, rappresenta «la finzione immaginativa intesa come la figuralità che apre al vero, non come la pretesa che apre la distanza dal vero. […] La rappresentazione danzata è espressione (Aus-druck: il portar fuori, spinta all’esterno) a più livelli: la danza greca cultuale era sempre legata a “ritmo, accompagnamento musicale e parola narrante”, cioè a una messa in scena formale complessa, realizzata attraverso un trattamento del tempo nel ritmo, attraverso il fluire del discorso e attraverso la gestualità corporea: la danza come esposizione di una realtà mediata da una forma immaginativo-schematica» (Borutti, p. XL).

La limitazione di un istinto modifica il ritmo che lo caratterizza e ne assume un altro con il trasferimento della energia psichica in una sfera un precedente più arcaica. Questa condizione è chiamata regressione. La nuova forma su cui si fissa l’energia psichica, trasformandosi porta con sé qualcosa del carattere precedente, ma senza averne più le stesse caratteristiche. La libido investe un oggetto analogo che si sostituisce al precedente. Un esempio può essere dato da una regressione ad uno stadio presessuale dove la figura femminile diventa la madre terra nutrice. La madre terra diventa meta di desiderio ma acquista il significato simbolico di madre nutrice, sotto la cui egida si struttura una società agricola e si sviluppano rituali di fertilità. Nello stadio presessuale la bocca svolge un ruolo nell’alimentazione a cui si associa il piacere della prensione e della degustazione di cibo. L’attività ritmica che vi si associa segnala una concentrazione di libido in quel punto. Ma la bocca è anche il luogo dell’espressione del linguaggio che presuppone una trasformazione dell’oggetto su cui si fissa la libido e che presuppone una evoluzione funzionale superiore. Per Platone, Eros incarna questa evoluzione delle mete di desiderio su cui si fissa la libido. A ciò possiamo aggiungere che Thanatos invece rappresenta la regressione della fissazione della libido ad un oggetto con una funzionalità precedente, fino alla meta ultima che è lo stato inorganico.

Alla luce di quanto esposto si comprende come l’uomo sia la meta evolutiva più avanzata della fissazione della libido e che questo presupponga una capacità d’amare, una volontà di andare verso l’altro. Bleuler ha definito questa capacità di andare verso l’altro, o di chiudersi all’altro, “ambitendenza”. Questa possibilità della libido di direzionarsi con uguale intensità verso una progressione o una regressione, contrasta con la sua tendenza ad andare verso un movimento regressivo, come una forza che non vuole lasciare una condizione precedente per andare in quella seguente in una scala evolutiva, per via della inclinazione a non volere abbandonare l’oggetto della precedente fissazione. Questo lato conservativo porta a un ristagno della libido, fino al rischio di rimanere bloccati in un complesso a tonalità affettiva non adeguato rispetto la tendenza evolutiva della libido. A ciò l’inconscio risponde con l’emergenza di immagini primordiali come tentativo di prendere il posto della realtà mancante, da qui l’emersione nei sogni di immagini di animali, come simbolo di una fissazione della libido a una sfera precedente. Questo alla lunga però non aiuta perché l’adattamento psicologico richiede una attenta differenziazione delle impressioni, tipiche di una età adulta. Tutto ciò si attua attraverso i due meccanismi della estroversione e della introversione a seconda se si vuole sfuggire al complesso per rimanere nella realtà esteriore, come nella estroversione, o sfuggire alla realtà esterna per rifugiarsi nel complesso, come nella introversione.

La regressione comporta una proiezione da parte dei bambini dei loro istinti sulle figure genitoriali reali, ma se la regressione si approfondisce si arriva ad una fase prenatale dove compaiono immagine archetipiche che sono delle possibilità rappresentative presenti in tutto il genere umano. Jung afferma che l’enigma della sfinge rappresenta la sua stessa soluzione, ovvero l’emersione della immagine terribile della madre a cui l’eroe può soccombere, oppure prevalere, facendo emergere quel senso di appartenenza alla vita dell’umanità che in fondo è la vita della psiche. Tutto ciò viene meno quando in una fase di regressione la libido si fissa alle imago parentali facendo prevalere un tipo infantile di rapporti. Come già detto la regressione a uno stadio presessuale mescola un carattere sessuale della sfera evolutiva seguente, ma senza quel carattere di concretezza che lo caratterizzava, dando origine al simbolismo dell’incesto. L’eroe va errando perché cerca la madre perduta, che rimane il motivo nascosto della propria sofferenza, fino a quando l’abreazione rende possibile la liberazione dal segreto. Le popolazioni primitive tramite le rappresentazioni collettive contrastano questa perdita del senso di appartenenza al gruppo, come metafora dell’appartenenza alla sfera dell’umanità, attraverso dei rituali di sacrificio, per contrastare la potenza delle richieste della libido ad andare verso uno stadio di dissoluzione reale oltre che di dissociazione mentale.  L’individuo posseduto viene recuperato al gruppo attraverso un rito di rinascita.

Jung, a questo proposito, afferma: «In mitologia la regola è che le singole sezioni tipiche di un mito possano combinarsi e intrecciarsi in tutte le variazioni immaginabili, il che aggrava la difficoltà d’interpretazione del singolo mito qualora non si conoscano tutti gli altri. Il senso del ciclo mitico (di Miss Miller, nda) trattato dianzi è chiaro: è l’anelito a pervenire alla rinascita attraverso il ritorno all’utero materno, cioè di divenire immortale come il sole. […] l’atteggiamento infantile primario o secondario comporta per l’adulto una limitazione e una paralisi, mentre l’attaccamento alla città stimola le sue virtù civiche e gli consente almeno un’esistenza utile. Per i primitivi al posto della città c’è la tribù» (C.G.J., op.cit., pp. 213-214).

È chiaro che la rinascita nell’utero materno non fa riferimento a una madre concreta, ma alla libido del figlio di cui lei è stata oggetto. L’attaccamento del figlio alla madre va in realtà reso come l’attaccamento del figli all’imago materna. Un esempio di questo attaccamento può essere dato dai miti solari di rinascita che è un modo simbolico di significare la volontà di ridiventare bambino, ovvero di rimanere in una condizione infantile. L’incesto dal punto di vista simbolico ha quindi lo scopo di impedire la regressione in una condizione infantile ed orientare la libido verso altri modi di realizzazione. L’istinto è la forza dinamizzante del simbolo, ma quest’ultimo a sua volta si modella nella resistenza dell’istinto che, da forza caotica, chiede al simbolo la possibilità di modellarlo, fino a una possibile configurazione. Il pensare per simboli non avviene tramite un pensiero razionale, ma è il frutto di un diverso orientamento della libido che s’indirizza verso una spiritualizzazione del pensiero, – spirito come realtà autonoma della psiche capace di un pensiero creativo -. In Jung il concetto psicologico di psiche si associa a quello di anima intesa come l’unica esperienza diretta della psiche e l’unica espressione della realtà soggettiva del mondo.

La fine dell’infanzia, simboleggiata dal tabù dell’incesto, sviluppa la nostalgia di queste realtà ma al contempo crea l’archetipo della madre che compensa la perdita dell’attaccamento reale, che diviene inconscio. «Il mondo viene creato traendolo dalla madre, cioè con la libido sottratta alla madre (attraverso il sacrificio) e impedendo la regressione che minaccia di sopraffare l’eroe. Il divieto dell’incesto impedisce al figlio di riprodurre simbolicamente sé stesso attraverso la madre. Ma non all’uomo come tale, così come egli è a riprodursi o a rinascere come un tutto rinnovato, bensì è l’eroe o il dio che secondo le affermazioni della mitologia, si ringiovanisce. […] Di fatto esse sono personificazioni della libido» (ibid., pp. 252-253).

Da queste affermazioni di Jung, e riprendendo il concetto di masochismo secondo Deleuze, si capisce che bisogna distinguere, in Masoch, lo scrittore rispetto a chi vive in modo concreto l’atto masochistico. Nella dimensione dello scrittore, Masoch propone la possibilità dell’uomo di rinascere attraverso la madre in un uomo nuovo desessualizzato. In questo caso l’uomo nuovo di Masoch è assimilabile all’eroe descritto da Jung che traghetta il vecchio mondo in una nuova realtà. Mentre se i libri di Masoch diventano la base per un incesto reale e non simbolico siamo in una condizione di regressione dove la libido scissa porta a uno stato di dissociazione reale. L’eroe descritto da Jung, assimilabile ai personaggi maschili dei libri di Masoch, cerca di espiare l’istintualità diretta verso la sessualità, per es. la figura dell’Adamo biblico. «Il sacrificio non comporta una regressione, esso è al contrario una felice trasposizione della libido sull’equivalente simbolico della madre e quindi una spiritualizzazione di essa» (ibid., p. 261). Il sacrificio di Adamo, della sua sessualità, crea un uomo nuovo, il secondo Adamo, cosciente della propria morte, personale e definitiva.

Nel caso invece che prevalesse l’idea di un’autofecondazione, all’interno della madre, la madre di morte, si può dire che prevale un atto di violenza, come, afferma Jung, nell’isterismo dove un dolore fisico sostituisce un dolore psichico rimosso. In questo caso il masochismo come esperienza concreta sarebbe una attuazione di un incesto, che realizza ciò che il suo divieto vuole impedire, la fantasia di un abbraccio mortale con l’imago materna. Di contro Jung afferma che il simbolo della madre non è la madre e questo supera il tabù dell’incesto e dà al confronto con l’inconscio il carattere di una introiezione piuttosto che di una regressione. Se la madre reale incarna l’imago materna proiettata dal figlio, la madre «si converte in una perfida persecutrice» (ibid., p. 294).

L’introiezione rappresenta quella condizione dove la madre non è più l’alveo che impedisce la crescita del figlio, ma la situazione nella quale il simbolo materno è la sorgente creatrice del futuro. Sotto questa specie la madre è alla base di quello che Jung chiama il processo d’individuazione. Tutto ciò è possibile solo se s’instaura un dialogo tra la coscienza e l’inconscio, che, nell’ambito della figura della madre, si traduce nella presenza di due madri, quella umana e quella simbolica, e si ha conseguentemente una doppia nascita di un figlio umano e di un figlio simbolico. La nascita dell’eroe dalla madre simbolica significa dal punto di vista psicologico «che un contenuto dell’inconscio (“bambino”) è nato senza l’intervento di un padre umano (cioè della coscienza). […] Al contrario è un dio che genera il figlio e inoltre il figlio è identico al padre, il che in linguaggio psicologico significa che un archetipo centrale, cioè l’immagine del dio, si è rinnovata (“rinata”) e si è “incarnata” in un modo percepibile alla coscienza. La “madre” corrisponde all’Anima “verginale” che non è rivolta verso il mondo esterno e quindi non è “corrotta” da questa» (ibid., p. 317).

L’incesto, dunque, come del resto la fame, riemerge, nell’età adulta, come una volontà di ritornare all’interno della madre, ma dal momento che questo movimento regressivo, per via del divieto d’incesto, non si può realizzare concretamente, deve assumere i caratteri di una introversione della libido che s’indirizza su degli equivalenti simbolici della madre, ad appannaggio dell’inconscio collettivo Allora l’incesto e la fame si trasformano in solitudine e digiuno. Da qui, secondo un’accezione deleuziana del masochismo, l’eroe dei libri di Masoch sacrifica la sua sessualità fallica per sottomettersi a alla madre allo scopo di rinascere nell’uomo nuovo senza sessualità. In Jung questa rinascita, senza l’utilizzazione dell’immaginario punitivo di Masoch, si realizza nella rinascita dell’uomo nuovo spirituale, l’anthropos, che raggiunge più alte vette di consapevolezza, dopo il confronto con l’inconscio. Il passaggio dai simboli teriomorfici a simboli di più alta spiritualità, segna il passaggio dalla psiche antropoide al Sé. Nella tradizione indiana il simbolo del Sé viene designato come atman, ciò che contiene l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

Questo confronto con l’inconscio da parte della coscienza rappresenta il centro dell’incrocio di due linee di sviluppo indipendenti ma necessarie per il continuo rinnovo della coscienza. La coscienza non può pensare di dissolversi nell’inconscio pena la sua disintegrazione, quindi non può avere la pretesa di lasciarsi proteggere da quella ma di accettare, dalle indicazioni sotto forma di immagini, nuove linee di sviluppo per il suo rinnovamento. Jung afferma: «L’inconscio s’insinua in forma di serpente quando la coscienza ha paura della tendenza compensatrice dell’inconscio, il che si verifica per lo più nella regressione, Chi in linea di principio accetta la compensazione non regredisce ma si farà incontro all’inconscio attraverso l’introversione» (ibid., p. 370).

Nella filosofia indiana si riconosce che la creazione avviene nell’introversione, e il mondo è una irradiazione spontanea e continua della libido. Dal punto di vista psicologico l’azione della libido si può configurare in diverse immagini archetipiche di cui si possono studiare le dominanti che coincidono in genere con i motivi mitici più ricorrenti. Le dominanti archetipiche indicano le linee di sviluppo che la libido prende, segnalando i contenuti che vanno integrati per mantenere stabile il flusso di vita presente nel processo d’individuazione. Ogni possibile stagnazione della libido o una sua non integrazione a livello della coscienza, crea quelle condizioni che sfociano in una franca dissociazione, per via di una inflazione dell’io che tende a identificarsi con l’eroe. Questo modello di funzionamento della psiche si applica anche ai miti che sono rappresentazioni efficaci di queste linee di sviluppo della libido nell’ambito di gruppi e di popolazioni.

Da questo punto di vista la produzione letteraria di Masoch recupera i miti agricoli legati alla figura della madre nutrice, tipici della società prettamente contadina dell’area mitteleuropea, identificata nella sua epoca con l’Impero austro-ungarico. Masoch sembra comprendere che ogni arresto di una evoluzione dell’uomo è nel suo attaccamento al corpo, nella sua volontà di immortalizzarlo. Ciò non è ad appannaggio delle società agricole dominate dal mito della rinascita che presuppone la morte del corpo reale per rinascere sotto forma di corpo simbolico. Da qui il senso della mortificazione del corpo da lui proposto da parte della madre che è la garante dei miti di rinascita. È un patto programmato che consente una regressione controllata dove l’individuo riesamina il suo passato, non in senso nostalgico, ma con la piena accettazione che la visione di una infanzia apollinea, non si adatta con le esigenze di una realtà adulta che accetta la perdita, come elemento costitutivo della dimensione adulta. Jung afferma che questa comprensione è possibile perché la libido sviluppa in senso compensatorio una depressione, come movimento verso l’acquisizione di un dato di realtà. «Tutta la libido costretta nei vincoli familiari deve essere ritirata da quella cerchia angusta per essere trasferita in una più ampia, giacché per il benessere psichico dell’individuo è necessario che egli divenga da adulto il centro di un nuovo sistema, dopo essere stato nell’infanzia una semplice particella gravitante attorno all’antico centro» (ibid., p. 403). Ed ancora Jung: «[…] i sistemi di matrimonio entro il clan […] non hanno affatto per scopo di impedire l’incesto, cercano solo di ovviare al pericolo sociale dell’endogamia mercé il cross-cousin-marriage. […] Non si tratta quindi evitare l’incesto […] quanto piuttosto della necessità sociale di estendere l’organizzazione familiare a tutta la tribù» (ibid., p. 407).

Tutto ciò sposta la problematica dell’incesto da una psicologia personale ad una psicologia collettiva, ed in termini di complessi passiamo dal complesso di Edipo a quello di Giona. In questo passaggio dal complesso di Edipo a quello di Giona si ha un diverso motivo di aver timore. Non è più il modello dell’angoscia di castrazione che prevale ma il rischio dell’essere inghiottiti dalla madre, ovvero la perdita totale di una unità complessa psico-corporea. Il rapporto con l’imago materna rappresenta sempre il segnale della ricerca di una compensazione rispetto il presente nevrotico dell’individuo che tenta di mantenersi nello stato attuale ed evitare ogni tipo di trasformazione. Il dramma sacrificale, per evitare una totale perdita di sé all’interno della madre, richiede comunque una forma attenuata di sacrificio. «Un’altra soluzione ideale è l’autocastrazione, di cui la circoncisione costituisce una forma più mitigata. In questo caso almeno veniva sacrificata solo una parte, il che equivale già a una sostituzione del sacrificio con un atto simbolico. Sacrificando questi oggetti preziosi di desiderio e di possesso, ci si disfa del desiderio istintivo o libido, per riacquistarlo in una forma rinnovata. Attraverso il sacrificio ci si affranca dalla paura della morte» (ibid., pp. 418-419).

In quest’ultima affermazione di Jung possiamo trovare degli elementi che ci consentono di trovare delle analogie con la posizione di Deleuze sul concetto di masochismo. Il sacrificio del desiderio porta a una diversa unione con la figura simbolica della madre, ed in questo caso l’incesto è alla base di un processo simbolico di rinnovamento, che con linguaggio junghiano verrebbe chiamato “attivazione della funzione simbolica”. Da questa punto di vista l’opera letteraria di Masoch è una descrizione di una diversa forma di configurazione simbolica dell’uomo rinnovato. La dimensione teatrale della donna, che per contratto deve colpire l’uomo per portarlo verso il sacrifico di una origine paterna, è solo l’aspetto esteriore e scenografico di un rito che ha in sé le caratteristiche di un battesimo che si svolge in una società agricola e matriarcale. L’atto del sacrificio e il rientro nella madre sono due aspetti finalizzati alla fecondazione della madre. La rinascita porta all’immortalità dell’eroe, che in termini psicologici può essere tradotto con l’acquisizione stabile di una coscienza superiore, ovvero di una coscienza più avanzata rispetto al suo stato precedente. Il sacrificio comporta non solo la perdita del lato istintuale animale, ma anche quello dell’uomo naturale. «Al posto della sicurezza istintiva subentra l’insicurezza e con essa la necessità di una coscienza che discerna, valuti, scelga e decida. […] Questo è l’obiettivo che si tenta di raggiungere attraverso il sacrificio dell’uomo naturale, giacché solo in questo caso l’ideale dominante della coscienza sarà in grado di imporsi pienamente e di plasmare a suo modo la natura umana. La grandezza e l’elevatezza di questo ideale non si può né si deve contestare» (ibid., p. 422).

Il sacrificio dell’uomo naturale è alla base della rinascita in una nuova coscienza, che ha come caratteristica principale quella del comprendere. Il termine tedesco è verstehen e come ben sottolineato da Jung, il suo significato è quello di “porsi attorno a qualcosa”. Questo significato di cingere, di abbracciare fa dire a Jung che «Non vi è dubbio che nulla al mondo ci abbraccia in modo così completo come la madre» (ibid., p. 428).

Conclusioni

Il concetto di masochismo come analizzato più sopra, sia in Gilles Deleuze che in Carl Gustav Jung, va oltre la tradizione psicopatologica ormai consolidata, a partire dalle valutazioni di Krafft-Ebing, di perversione sessuale, ma coinvolge degli aspetti esistenziali, fondamentali per l’uomo.

Deleuze, pur risentendo della letteratura psicoanalitica freudiana, sembra in realtà seguire le indicazioni di Jung, dando alla figura della madre orale, un valore centrale in questa modalità di espressione. Deleuze, però, non cade nell’errore di valutarne il significato, seguendo una interpretazione concreta, ma rimanendo sempre aderente al valore letterario delle opere di Masoch, ne intravede, come in tutte le espressioni artistiche, un senso psicologico di trasformazione.

Jung, fedele a una concezione antinomica della psiche, intravede un doppio significato nella espressione masochistica. Da un lato una volontà di regredire a un livello infantile di pensiero e di comportamento, perché il ritorno alla madre, di morte, rappresenta il luogo che protegge dalle conseguenze del vivere, ovvero di andare verso la fine irreversibile, rappresentata dalla morte. Dall’altro non è la regressione che si attiva, ma un processo di introversione, di contatto con l’inconscio da parte della coscienza, di contatto con la parte irrazionale che rappresenta il fondo creativo dell’umanità. Come sottolinea Pierre Solié, citando Jung, «Non adattarsi allo scopo, che è la morte, è una nevrosi così grave quanto la rimozione tra i giovani delle fantasie che si occupano del futuro. A partire da queste considerazioni Jung introduce magistralmente il problema delle depressioni e delle melanconie involutive della metà e della fine della vita» (Solié, p. 48).

Per concludere, Jung sottolinea che la vita nella sua complessità non è riducibile a una concezione della libido che non tenga conto di tutti i suoi aspetti essenziali. Da qui l’importanza della morte non solamente come fine vita, dal punto di vista biologico, ma come fine di uno stadio della vita, preludio di una trasformazione psicologica che si manifesta in molteplici configurazioni.

Massimo Caci
Medico psichiatra, Socio Analista CIPA, già Vicedirettore della Scuola di Psicoterapia del CIPA, Istituto di Roma.
Membro dell’International Association for Analitycal Psychology.
Email: cacimassimo@libero.it

Bibliografia

  1. Bergeret (1974), Abrégé de Psychologie Pathologique, Masson, Paris.
  2. Borutti (2006), La filosofia dei sensi. Estetica del pensiero, tra filosofia, arte e letteratura, Raffaello Cortina, Milano.
  3. Caci, (2012) Il linguaggio poetico e la questione del ritmo, in «Quaderni di Cultura Junghiana» n. 1, ed. Cipa Istituto di Roma, Roma.
  4. Deleuze (1967), Présentation de Sacher-Masoch, Les Éditions de Minuit, Paris,
  5. G. Jung (1952), Wandlungen und Symbole in der Libido, ed. it. Simboli della trasformazione, in Opere, vol. V, Boringhieri, Torino, 1970.
  6. Laplanche, J-B. Pontalis (1967), Vocabulaire de la psychanalyse, P.U.F, Paris, ed. it. Enciclopedia della Psicoanalisi, Laterza, Bari, 1987.
  7. Rosen (1996), Sexual Deviation, Oxford University Press, Oxford.
  8. Pierre Solié, (1976) Pulsion de mort, in «Cahiers jungiens de psychanalyse», n. 8, Paris.
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