DANIELE POTO La resistibile ascesa del mondo virtuale, istruzioni per l’uso

Connessi ma isolati

La dimensione virtuale sta prendendo il sopravvento nella società attuale con una crescita esponenziale omogenea alla diffusione commerciale dello smartphone. Milioni di modelli sempre più evoluti che sarebbe banale ormai definire “telefoninini”. Si tratta di vere e proprie anticipazioni di futuro rendendo sempre più attuale una domanda apparentemente retorica: siamo noi che gestiamo lo smartphone o è lo smartphone a gestire le nostre azioni? Digito ergo sum al posto del cartesiano Cogito ergo sum? Per digitare non è infatti sempre essenziale il pensiero. E sull’uso appropriato di neuroni e sinapsi ci sarebbe molto da discutere. E pure qualcuno è pronto a riconoscere, in una gerarchia di valori deviata, che “lo smartphone è il migliore amico dell’uomo”, prendendo ovviamente il posto, in una gerarchia deviata, dei consanguinei o, in ultima opzione, del cane. Sul piano orizzontale della virtualità le cronologie generazionali sembrano abolite. Con quale diritto, autorità e riferimento a valori tradizionali l’adulto può negare (o quanto meno limitare) l’uso dello smartphone (o del computer) a un minore che ne imita consapevolmente i comportamenti? Il limite orario sembra una proibizione ridicola rispetto all’online. La potenzialità di un collegamento 24 ore 24 (e senza alcun controllo) è la Mecca dell’azzardo con le derive implicite dei siti illegali. Il lavoro di monitoraggio di sistema prevede una black list da cui sono stati espulsi e bannati circa 8.500 siti. Ma è pratica improba. I siti bloccati rinascono con un veloce quanto banale cambio di desinenza. Il contraffatore-lepre corre sempre più veloce del controllore-cacciatore. Lo sviluppo esponenziale delle patologie implica grandi numeri. Il bacino dei giocatori italiani a rischio azzardopatia include due milioni di individui (vedi rapporto commissionato da Istituto Superiore della sanità1) di cui 200.000 circa già in un’ottica di comprovata dipendenza. Una ricerca dell’Università Cattolica di Milano2 corroborata dalla conferma del CNR di Pisa, ha mostrato la diffusione del gioco legale tra i minorenni. Sono 1,2 milioni gli under 18 che, in contrasto con la legge, frequentano l’azzardo e tra questi 70.000 rientrano inclusivamente nell’universo concentrazionario di chi è affetto da Dga (Disturbo gioco d’azzardo, riferimento ora accettato dopo Gap, gioco azzardo patologico e ludopatia, termine di nessun fondamento scientifico, perché nessuno si è mai ammalato di gioco in sé).

Il comportamentologo americano Michael Winnick ha condotto un sondaggio sulla middle class del suo Paese in relazione all’uso degli smartphone ricavandone queste illuminanti indicazioni. Mediamente ogni soggetto intervistato ha toccato o manovrato lo schermo del proprio smartphone per 2.617 volte al giorno con la proiezione di un milione di contatti nel corso di un anno. In questo infinito universo di notifiche compaiono mail, social network, messaggi whatsapp, le applicazioni ad hoc scelte da ogni utente. Le persone più legate al proprio apparecchio (verrebbe di suggerire la definizione di “ordigno” o di “arma impropria”) dedicano in media al controllo di queste funzioni 3H45’; gli altri, nella media, “appena” due ore e mezzo in 76 sessioni separate. Si può intuire come la giornata di questo utente tipo sia continuamente spezzettata nella propria continuità (lavoro, tempo libero, attività ricreative) da questo indefesso metronomo virtuale.

Facebook cattura il 15% di questo tempo, i messaggi in chat l’11%, Gmail il 3, Twitter l’1%.

Con lo smartphone si lavora, si gioca, si rimorchia, si scommette, in una gamma infinite di funzioni che sottraggono tempo ad attività tradizionali come lo sport, la lettura, la comunicazione, più in generale il contatto fisico/psichico con i membri della collettività a cui, volenti o nolenti, apparteniamo. A lungo andare (gli effetti sul medio periodo sono già ampiamente valutabili) questa deriva, fotografata sociologicamente dal rapporto Winnick, conduce allo stravolgimento dell’antropologia tradizionale e con un processo di globalizzazione che riguarda più o meno tutte le nazioni emancipate: dal massimo consumo degli Stati Uniti fin giù al continente di potenziale maggior sviluppo (l’Africa). La terribile evoluzione di questa pratica indiscriminata, teoricamente invalsa lungo tutto l’arco orario della giornata (solo una minoranza spegne lo smartphone nelle ore notturne) fa emergere tremendi fatti di cronaca che sono spie rivelatrici del nostro tempo. Un ragazzino di dodici anni ha tentato il suicidio perché una professoressa gli ha sequestrato lo smartphone, tentando evidentemente, di mettere freno a un uso esagerato dello stesso. Una banda di sei ragazzini brianzoli, appena maggiorenni, si sono ispirati a un efferato videogioco denominato Grand Theft Auto (GTA) mettendo in atto, a imitazione della virtualità, nella vita di tutti i giorni i dettami violenti della proposta ludica. Risultato? Hanno devastato il territorio di appartenenza (la Brianza) venendo accusati di dieci rapine e di tentato omicidio. Nel gioco ogni azione illegale corrispondeva a un aumento del proprio stato di ricercato della polizia e quindi una maggiore probabilità di essere arrestato. Questo assunto virtuale veniva tradotto nella vita reale, evocando la fascinazione del rischio e della rovina.  L’attività ludica degli “Iperconnessi”, generazione che ha preso il posto nello scenario d’attualità dei cosiddetti Millenials, complice le seducenti proposte commerciali, ristagna nella sedentarietà, esercitando il gioco a distanza, anche se l’amico abita a poche centinaia di metri da casa. Per videogiocare il contatto diretto non è più indispensabile. L’Obesity Barometer Report3 nel primo Summit su questo mal endemico ha certificato che «il 46% degli adulti italiani ed il 24,2% tra i bambini è in eccesso di peso». La notazione statistica riguarda complessivamente circa 25 milioni di persone. E, su un altro piano, non fisico, ma psichico fuori dal confine italiano si è scoperto un cospicuo aumento (+ 52%) dei giovanissimi (arco di età 12-17 anni) che riferiscono di disturbi mentali (fonte San Diego University). La delocalizzazione evidentemente non contribuisce alla solidità dei rapporti face to face. Gli Iperconnessi, come dimostra nel suo libro Jean M. Twenge4, hanno scarsa personalità e fantasia, tengono a conformarsi all’esistente. La mancanza di iniziativa è correlata alla passività, alla carenza di creatività. Il sottotitolo del suo libro è illuminante: «perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti». Un’etichettatura che è un triste presagio sul futuro, pur con le dovute eccezioni, come quella di Greta Thunberg, la ragazza svedese afflitta dal morbo di Asperger, diventata l’emblema della perentoria richiesta di cambiamento climatico. I ragazzi “iperconnessi” non immaginano minimamente di cambiare il mondo e neanche si accontentano che il mondo non cambi loro. Si sono ritagliati un’oasi accogliente, una comfort zone nella virtualità, lontanissima dalla prospettiva di ricerca di un lavoro, dalla lotta di classe, da un forte interesse per l’altro sesso. Si tratta di una forma di conformismo, perfettamente adatta a essere surrogata dal consumismo. Non a caso l’industria del virtuale guarda a loro con estremo interesse a questa fascia anagrafica anche se non gode di risorse proprie da dedicare agli acquisti. Il bene voluttuario dell’ultimo modello di smartphone, una visione unidimensionale e totalitaria del mondo e della vita, non sarà visto un bisogno indotto ma come un indispensabile acquisto per essere al passo non dei tempi, ma più semplicemente dei coetanei. Non è un caso che il fatturato dei videogiochi sia in pieno sviluppo, ben oltre la soglia del miliardo nel corso del 2018, reclutando utenti in tutti i continenti e proponendosi addirittura come sport olimpico per il 2024, dopo il rodaggio sperimentale con l’inserimento nei Giochi Asiatici.

Il tema della sicurezza dei dati nel mondo virtuale è ben al di là di ogni ragionevole barricata di garanzia. L’utente viene individuato come potenziale consumatore e la vendita dei dati e delle profilazioni è pratica corrente e riconosciuta da chi gestisce i nostri profili. Le scuse per queste infrazioni certo non garantiscano che le scorrettezze non si ripetano. Le ricorrenti cadute di credibilità di Facebook e di Google sono realtà sotto gli occhi di tutti, anche a mezzo stampa.  Se cerchiamo una località per le nostre vacanze su internet frequentando siti specializzati verremo tormentati per mesi da martellanti messaggi su quelle su cui più si si sono esercitati i nostri tentativi di ricerca. Le attività di hacking non sono prerogativa di singoli hacker ma sono una sorta di “comportamento di sistema”. Si tratta di un mondo temuto dalle stesse principali potenze mondiali. La ben nota polemica sulla possibile infiltrazione russa sui sistemi di condizionamento elettorali degli Stati Uniti (avrebbero portato alla discussa elezione del presidente Trump) sono un esempio al massimo livello dei condizionamenti attuali. I casi di Assange e di Snowden sono deterrenti del ribellismo all’instaurazione del nuovo ordine mondiale. Delle deviazioni e dei tentativi di fuga che, viste le parabole dei protagonisti, sono state contrastate e domate, come fossero delle salutari lezioni per tutti. “Educarne uno per colpirne cento”.

Se al posto del PIL dovessimo adottare il FIL, l’indice di felicità adottato dal Buthan, dovremo constatare che il mondo del virtuale è sicuramente quanto meno più problematico di quello reale. L’iperconnesso- adulto o adolescente che sia- è inversamente felice rispetto al numero dei link che propone su facebook. Una dimostrazione empirica che funziona: chi vive con discrezione e misura il rapporto con i social network è mediamente più sereno di chi incessantemente si misura con il numero dei like e con il consenso, quando non assume le sembianze dell’hater. I “mi piace” e il numero dei follower evocano una potenza comunicativa fallace e resistibile. Hanno la stessa funzione dei biscottini-premio per il cane di casa, ovvero assolvono una funzione di rinforzo e sostegno. Ricompensa intermittente che allude al meccanismo di premio e compensazione che svolge la slot machine al cospetto del giocatore. Chi non raccoglie approvazione e commenti sui social rischia di accumulare frustrazione. Ogni tanto però il sistema batte in tilt. Il whistleblower che ha rivelato all’«Observer» il ruolo svolto dalla società Cambridge Analytica nel raccogliere i dati di 50 milioni di profili Facebook all’altezza delle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 ha dichiarato di “aver mirato ai demoni interiori delle persone”. Sembra la metafora dell’apparire rispetto all’essere. Eric Fromm non poteva certo immaginare lo scenario attuale ma questi sembrano i due poli che più convincentemente riassumono atteggiamenti e contraddizioni di questo mondo liquido, ampiamente descritto da Bauman5. L’uso del virtuale ovviamente non riguarda più una minoranza se su una popolazione mondiale di sette miliardi di individui (ma saremo 10 miliardi nel 2050, l’Europa non contribuirà a questa evoluzione) i soli utenti di Facebook superano i due miliardi. Peraltro, per quanto riguarda il social network inventato da Mark Zuckerberg, ultimamente si registra una lenta ma costante disaffezione che è legata in pratica al carattere istituzionale e ormai poco innovativo del mezzo; dall’altra alla scarsa tutela del soggetto iscritto, visto come recettore passivo di pubblicità, secondo i propri riconosciuti interessi, ben noti agli stakeholders dell’organizzazione, i controllori del traffico virtuale, spesso interpreti bizzarri della netiquette. Più che rispetto della netiquette è maleducazione conclamata l’uso indiscriminato dello smartphone nelle occasioni più impensabili (discorsi ufficiali, messe, celebrazioni, spettacoli teatrali). Il palesarsi della soneria più bizzarra non desta scandalo.  La pericolosità nell’uso inflazionato del mezzo ha un suo preciso riscontro anche in tema di infortunistica stradale con una percentuale sempre più rilevante di decessi, ferimenti e incidenti gravi provocati dalla coazione a telefonare, a inviare un messaggio, a compulsare nervosamente lo smartphone durante la guida. Il capitolo delle dipendenze, iscritto nel DSM 5, ha una sua precisa collocazione nella generica “dipendenza da Internet” anche se in questo caso c’è qualcosa di più specifico e subliminale nel contatto materico con l’oggetto d’uso e la sua infinita gamma di possibilità e di accesso. Se per Facebook è pattuita una ben precisa soglia anagrafica d’accesso in questo caso chi è il decisore? Chi può contrastare una famiglia che decide di assegnare uno smartphone a un bambino di otto anni? La manualità e la predisposizione informatica delle nuove generazioni aumenta il tasso di pericolosità. Perché quel bambino per imparare tutte le funzioni connesse al “regalo” compirà un percorso molto più breve dell’adulto, impadronendosi in modo estensivo di tutte le possibilità ad esso connesso, comprese le più rischiose e vischiose rispetto al suo omogeneo percorso educativo. Ma forse è il caso di porsi una domanda più generale e imbarazzante? Chi forma oggi gli adolescenti? Per l’Italia che si preparava al boom economico, nei primi anni ’60, la risposta sarebbe stata molto semplice, fondata su un semplice e automatico riscontro. La famiglia era la corrisposta entità di crescita (e controllo) sulla giovane mente in sviluppo. Oggi un tentativo di risposta è più problematico: la scuola? La famiglia? Lo smartphone? Bisognerebbe probabilmente adeguarsi al disegno di un “giardinetto” di competenze da dividere in quota parte tra diverse entità riconoscendo un ruolo ormai marginale alla religione, vista la scarsa adesione alle pratiche del cattolicesimo dato che sono appena 7,5 milioni gli italiani praticanti che si affacciano domenicalmente in Chiesa per il rito della Santa Messa6. Nel pozzo, praticamente infinito dei social network, gli adolescenti, sembrano progressivamente snobbare Facebook, regno degli adulti (sia pure ampiamente infantilizzati) e preferire territori specializzati come Tumblir, una sorte di Instagram per minori, e Snapchat. Non sfugga la pericolosità di quest’ultimo vettore in cui i messaggi sono volatili, si auto-distruggono dopo la loro trasmissione. Dunque sembra quasi metaforico il messaggio in un Paese che fa fatica a coltivare la memoria. Qui, un attimo dopo il clic il messaggio è evaporato. Non esistono prove. Non c’è né un passato né un futuro, vige solo il presente. Immaginiamo quanto sia funzionale questa possibilità per approcci pedofili (o comunque non corretti) in un mondo volatile e ondivago dove si possono modificare i dati personali (anagrafici o di genere). E chiunque può venire il contatto con soggetti sensibili e/o minori inventando un falso profilo e, conseguentemente, una falsa personalità. Snapchat peraltro per ovviare a conti in rosso, sta introducendo a regime il lancio di videogame che permettono agli utenti di riunirsi in community per giocare. La partecipazione richiesta prevede molte ore di disponibilità ma anche dei bonus con pagamento in denaro. Snapchat vuole monetizzare i videogame con annunci pubblicitari che gli utenti possono guardare per vincere monete virtuali. Dunque la virtualità si trasforma in qualcosa di molto reale: il business del promotore.

La virtualità contiene in sé immaginabili suggestioni per fenomeni di bullismo, pedofilia, fake news. Inserendo un semplice messaggio sulla chat di Facebook sei “geolocalizzato”. Non puoi mentire al tuo interlocutore perché si riconosce il tuo luogo di provenienza, persino il tuo quartiere. Elementi assolutamente utili in caso di indagini di polizia ma perniciose e irrispettose della tua privacy. Il fenomeno dei trolls, degli hackers, degli haters sono derive connesse alla pericolosità di un sistema integrato. Nei Manoscritti economici-filosofici Carl Marx consigliava di diffidare di qualunque dispositivo che rendesse possibile l’impossibile (uno di questi il denaro). I social network si possono anche identificare come la ricomparsa di un denaro apparentemente dematerializzato. In Gran Bretagna in particolare Facebook ha infinite possibilità di scommessa e di implementazione monetaria per una migliore riuscita in quelli che vengono proposti come giochi elementari (Candy crush tra questi). L’esperto di reti Jaron Lanier, già espressosi sul fenomeno in La dignità ai tempi di Internet nel recente Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social (Il Saggiatore editore) definisce i social «un grande miraggio (di libertà, anche, ndr.) ai quali regaliamo porzioni sempre più estese di cervello e di libero arbitrio». Una trappola morale della virtualità. Un parere in sincrono con quello dello scomparso Umberto Eco. Colpevoli i social- secondo il semiologo «di aver dato diritto a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar, dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività». In altre parole il bar sport della comunicazione diretta, dove gli uomini discettavano di donne, motori e calcio, era molto più innocuo del bar social dove si parla di tutto senza competenza e fondatezza. Il capitolo delle querele per diffamazione a carico di chi si esprime sui social con un vivo quanto illogico senso di impunità vanno a alimentare il già complesso contenzioso della giustizia italiana. Il cicaleccio di fondo in questo caso viene estremizzato con attacchi diretti e personali. La legge sulla revenge porn è andato a colmare un’altra tendenza. Il linkare foto intime per vendicarsi di un rapporto amoroso finito male sono manifestazioni dell’irrisolto problema della coabitazione emotiva uomo-donna. In rete circolano foto scabrose (Instagram spesso deve censurare interi album fotografici) introdotte a insaputa degli interessati. Instagram ha una platea di un miliardo di utenti attivi al mese ed ha fatturato nel 2018 di 6 miliardi di dollari.  La prostituzione minorile alimenta un mercato dell’immagine dove minorenni sono in vetrina a disposizione del miglior offerente. Non si tratta solo di escort che praticano “il mestiere più antico del mondo” ma minorenni che, magari in cambio di migliore tecnologiche (il regalo di uno smartphone nel più appetito dei casi) vendono il proprio corpo con la stessa facilità con cui si mangia una caramella. La tecnologia però a volte tradisce. Nell’infido mercato dei nuovi prodotti (dove c’è da temere che si falli volontariamente quello in commercio per favore l’ascesa del nuovo, è successo anche questo, imitando il mondo delle stampanti). La Samsung è stata costretta a bloccare la vendita del tanto pubblicizzato Galaxy Fold 7 (2.000 euro di costo medio) perché ha scoperto che l’ultimo ritrovato della tecnologia presentava un difetto fondamentale per quello che era considerato l’elemento di maggiore appeal. Cioè la piegatura dello schermo contemplava il rischio della rottura o quanto meno di un facile fortuito danneggiamento, rendendo il dispositivo inutilizzabile. Mesi di ricerca (e di pubblicità preventiva) buttati al vento. C’è una deriva anche industriale nella pericolosità invalsa su Internet. Aziende grandi e piccole devono temere il furto dei dati e ipotizzare nel proprio piano industriale il salvataggio continuo dei dati e il ricatto per restituirli. Il mondo dei bitcoin (e il futuro con il blockchain) si interseca con questa pratica, spesso invano contrastata dalla Polizia postale. Le aziende italiane continuano a investire poco in questo campo. Secondo fonti di Confindustria appena l,1,5% del proprio fatturato. Dai dati del 2018 si ricava comunque che le denunce alla Polizia Postale sono aumentate del 318% rispetto all’anno precedente. Con un importo dei reati in crescita del 170% (resa 42 milioni di euro). I ricatti ai danni dei semplici privati, difficilmente quantificabili, si aggiungono alla devianza dell’illegalità diffusa in questa jungla senza sceriffi. Una jungla resistibile perché piena di buchi neri e contraddizioni, efficaci leve per un contrasto non proibizionista ma genuinamente umanistico.

 

Daniele Poto

Giornalista e autore di testate giornalistiche, radio, televisione.

Scrittore e autore teatrale, vincitore di numerosi premi

 

Note

1) Rapporto Istituto Superiore di Sanità, ottobre 20189

2) Rapporto giovani dell’Università Cattolica di Milano, editato nel luglio 2016

3) Rapporto pubblicato nell’aprile 2019

4) Einaudi Libri, prima edizione 2017

5) Già in Vita Liquida, editore Laterza, I edizione 2005

6) Rapporto Eurispes su partecipazione religiosa, 2016

7) Il Fatto quotidiano, 24 aprile 2019

 

 

image_print

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *