DOMENICO e FILIPPO ARTURO NESCI Dalla Multimedia Psychotherapy alla Psicoterapia in Virtual Reality

Accogliamo volentieri l’invito da parte della rivista online «Quaderni di Psicoanalisi e Psicodramma Analitico» a scrivere un breve lavoro per questo numero dedicato a Simboli ed immagini nell’era digitale che ci aiuta a ricordare l’inizio della nostra collaborazione, nata all’insegna della ricerca di un incontro creativo tra Arte e Psicoanalisi (sul piano teorico-clinico) ma, ad un livello più profondo, tra due generazioni, quelle di un padre sessantottino (non “sessantottino”) psicoanalista e del figlio millennial artista.

Ricorderemo le circostanze in cui abbiamo concepito insieme la Multimedia Psychotherapy e ci avventureremo nei nuovi orizzonti che si stanno aprendo ai nostri occhi con i progressi della tecnologia e le sperimentazioni che si svolgono da tempo nel campo della Virtual Reality applicata alla psicoterapia.

 

La psicoterapia nell’era digitale

L’era digitale, con l’avvento di nuove tecnologie, ha reso possibili nuovi setting in psicoterapia. Non ci riferiamo solo alle variazioni di setting nel campo della psicoterapia a distanza, col passaggio dall’uso del telefono (Saul, 1951) alla psicoterapia online, in particolare in videoconferenza (Nesci D.A. e Coll., 2018). Pensiamo più semplicemente al fatto che al paziente viene spontaneo “portare” e condividere in seduta una foto al cellulare (ad esempio mentre sta parlando di un familiare e desidera farcelo “vedere”) o altro materiale multimediale (come la videoclip del proprio bambino che gioca).

Frutto di questo cambiamento è la nascita persino di nuove discipline, come l’Antropologia Digitale, così come di nuovi orientamenti artistici, come la Glitch Art. In questo humus culturale abbiamo concepito insieme una nuova forma di psicoterapia di cui desideriamo brevemente ricordare le origini, nel 2007. Non a caso ne siamo stati gli inventori: uno psicoanalista ed un artista digitale, che all’epoca non sapeva ancora di esserlo (aveva solo 14 anni).

In quell’anno morivano, in rapida successione, un uomo di 88 anni ed una donna di 83 anni, marito e moglie: genitori per uno, il padre, nonni per l’altro, il figlio. Da questo evento familiare è nata l’idea di una nuova forma di Art Therapy, concepita per l’elaborazione del lutto: la Multimedia Psychotherapy (Nesci D.A., 2012, Nesci F.A., 2012).

Che cos’è? Come funziona?

In una serie di sedute (generalmente otto) un paziente che soffre per un lutto viene invitato ad elaborarlo portando (nelle picture sessions) una quarantina di fotografie, poi associandole con una canzone o un brano musicale (nella music session) ed infine condividendo (nella screening session) la visione del video montato da un artista multimediale che non conosce il paziente (né la sua storia) ma ha prodotto, con un lavoro di editing, un “memory object” (o “psychodynamic montage”). Questo semplice percorso è preceduto da un Intake, in cui il terapista verifica l’indicazione del trattamento per il paziente, ed è seguito da una fase di Outcome, in cui l’esperienza viene rielaborata e valutata da paziente e terapista.

La prima intuizione di questo nuovo “rituale” di cura (Nesci D.A., 1993) è legata ad un’esperienza che sintetizza i cambiamenti in atto nella nostra epoca.

Stavamo sorvolando l’oceano, al termine di un nostro breve soggiorno ad Hong Kong, quando nel leggere un articolo in cui si raccontava che il governo locale aveva deciso di promuovere un rito funerario in cui le ceneri dei defunti potevano essere sparse nelle acque della baia, vista la grave mancanza di spazio nei cimiteri, una domanda sorse subito spontaneamente, forse favorita dallo stato sospeso, “tra cielo e terra” (Nesci D.A., 1993) dell’aereo in volo: «perché non creare spazi virtuali, su Internet, per nuovi riti di lutto?».

Nel dialogo tra lo psicoanalista e l’artista si scoprì presto che aveva ragione il figlio: «Come puoi pensare che non ci abbiano già pensato? Google it and check!».

Detto fatto: cimiteri virtuali esistevano già, di tutti i tipi… anche per gli animali domestici! Quello che non esisteva però era un metodo per l’elaborazione del lutto che fosse una psicoterapia in cui immagini e musica venivano associati dal paziente in una serie di sedute e montati poi da un artista multimediale per ricordare l’oggetto d’amore perduto, creandone un “doppio” concepito per lo spazio (virtualmente infinito ed eterno) del world wide web. Fu così che poco dopo quella prima intuizione cominciammo a sperimentare la nuova metodologia. Il primo caso fu pubblicato su una rivista americana (Nesci D.A., 2009) e fu poi seguito dalla pubblicazione di un libro su una ventina di altri casi, trattati con successo. Nel saggio, scritto in inglese e pubblicato in America, che è una specie di manuale sulla nuova forma di psicoterapia, si descrive anche un training group, per insegnarla, e una nuova tecnica di supervisione (il workshop clinica e sogni). In questo workshop la presentazione serale di un caso clinico (seguito da uno psicoterapeuta diplomato presso la Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale, dove si insegna la Multimedia Psychotherapy) viene elaborata attraverso i sogni della notte che vengono poi condivisi, la mattina seguente, in un guided social dreaming condotto da uno psicoanalista, un gruppoanalista ed un antropologo (Nesci D.A., 2012).

Al momento attuale la psicoterapia multimediale viene insegnata anche in un Master dell’Università Cattolica ed è in corso da alcuni anni una sperimentazione clinica presso la Fondazione Policlinico Universitario “Agostini Gemelli” IRCCS, sempre a Roma. Risultati preliminari sono stati presentati al Congresso dell’IPA a Boston e al Memorial Sloane Kettering Cancer Center (New York) nel 2015, al Nordic Congress of Psychiatry (Reykjavik) nonché al Dipartimento di Psichiatria della Stanford University (Palo Alto) con il Prof. David Spiegel e la Prof. Laura Dunn, nel 2018.

Uno degli aspetti più interessanti della psicoterapia multimediale è il fatto che il rituale di cura consiste nella produzione di un “doppio” dell’oggetto d’amore perduto. Sappiamo che il tema del “doppio” è centrale nelle credenze e nei rituali delle “culture orali primarie” (Ong, 1978), e cioè dei gruppi umani primordiali che non avevano ancora scoperto la scrittura. Ad esempio «Nell’Australia centrale (Róheim, 1945) è diffusa la credenza nei doppi o controparti spirituali degli individui. Questi crescono insieme col rella ndurpa (l’uomo reale, di carne e ossa) ma non invecchiano né muoiono mai. Si crede che essi conservino per sempre l’aspetto posseduto dall’uomo reale quand’era nel fiore degli anni e che dimorino al di sotto del ciuringa nella grotta sacra. Il ciuringa (un oggetto sacro, di forma allungata, di legno o di pietra, con delle incisioni) è considerato il corpo comune del genere umano e dei suoi antenati totemici (Strehlow, 1908-1910). Quando nasce un bambino viene identificato il suo luogo ancestrale e costruito un grosso ciuringa che sarà poi custodito religiosamente. In molte tribù se ne trovano di due specie: uno di grosse proporzioni, o ciuringa del corpo, e uno piccolo, o rombo […]. La vita del giovane aborigeno, così, è già tracciata nelle incisioni sul ciuringa ove vediamo rappresentati il corpo dell’antenato specifico, il suo luogo di origine e il percorso da lui seguito nel tempo mitico» (Nesci D.A., 1991, pp. 19-20). Il rombo può essere fatto roteare nell’aria con una corda per produrre suoni che sembrano provenire da un’altra dimensione, diviene così uno strumento “audiovisivo”: si vedono le incisioni che narrano la storia della vita del soggetto e si sentono i suoni prodotti dallo strumento. L’analogia tra questi antichi oggetti sacri delle culture orali primarie ed i “memory objects” tecnologici della psicoterapia multimediale diviene così riconoscibile e ci aiuta a comprenderne le radici antropologiche della potenza terapeutica.

I nostri “psychodynamic montages” condensano il percorso di una vita nel tempo di una canzone attraverso una sequenza di immagini significative. Grazie alla sua “doppia” natura audiovisiva il remix prodotto dall’artista multimediale diventa un efficace oggetto della memoria. Infatti, come scrive Freud (1901, p. 96): «Il ricordare degli adulti, come è noto, si serve di materiali psichici diversi. Gli uni ricordano in immagini visive, i loro ricordi hanno carattere visivo, altri sanno riprodurre nella memoria a malapena i contorni più rudimentali dell’avvenimento vissuto. Quest’ultimi vengono chiamati audutifs e moteurs in contrapposto ai visuels, secondo la proposta di Charcot». All’epoca di Freud nessuno sapeva ancora che nella vita prenatale i ricordi hanno una natura prevalentemente uditiva (Dirix e Coll., 2009).

Con la psicoterapia multimediale ci troviamo immersi, paradossalmente, in un universo arcaico, profondamente evocativo della simbiosi prenatale. Il primo “doppio” dell’essere umano è infatti la placenta, mediatore essenziale degli scambi tra il corpo della madre e quello del bambino (in una prospettiva biologica) oppure degli scambi tra la madrepatria/ecosistema/ambiente ed il popolo/bambino (in una prospettiva metaforica ed etnopsicoanalitica) genialmente rappresentata in questo quadro da un artista di talento.

La placenta qui appare come un organo “doppio”: come organo del nuovo individuo (ma anche della madre) nel corpo della madre con la funzione di contenere, proteggere, nutrire e disintossicare il bambino, e come albero della vita nel corpo sociale, esattamente con le stesse funzioni.


Cornelius Fraenkel, The Tree of Life (per gentile concessione dell’Autore)

 

In questo contesto, in cui l’Arte aiuta a comprendere la Psiche, si apre allora un nuovo orizzonte che ci spinge a guardare alla Virtual Reality come ad un ulteriore elemento di setting, reso possibile dal progresso tecnologico, in cui l’intera vicenda della psicoterapia può essere concepita in un tempo/spazio sospeso “tra cielo e terra” non più con l’ausilio del “lettino” psicoanalitico (Nesci D.A., 1993) ma di nuovi ambienti tridimensionali creati da un artista digitale in collaborazione con un team interdisciplinare di etnopsicoanalisti, ingegneri, architetti ed informatici.

 

Conclusioni e Prospettive

Stiamo lavorando su un nuovo progetto, spontanea evoluzione del setting costruito con la psicoterapia multimediale. Questa volta però non si tratta di inserire nuovi “oggetti inanimati del setting” (Akhtar, 2003) all’interno delle sedute (foto e musica) ed all’esterno di esse (il lavoro dell’artista) ma di costruire ambienti virtuali in cui paziente e terapeuta possano immergersi quando condizioni particolari rendono altrimenti difficile l’incontro.

Così come la psicoterapia online è nata, nella nostra esperienza istituzionale con i malati oncologici ed i loro familiari (Nesci e Coll., 2018) per superare fattori che rendevano impraticabile il sostegno psico-oncologico (condizioni fisiche che non consentivano ai pazienti di raggiungere l’ambulatorio, rischio di contagio per pazienti con scarse difese immunitarie, lontananza geografica, ecc.) il ricorso alla psicoterapia in Virtual Reality ha un’indicazione specifica in alcuni scenari traumatici creati dalla medicina attuale… Pensiamo, ad esempio, ad una paziente oncologica che ha appena perso i capelli per una chemioterapia e non vuole essere vista, ad un paziente terminale che vuole distaccarsi dalla realtà attuale ma senza sentirsi da solo in questo nuovo ambiente virtuale immaginario… ad un bambino ricoverato per una qualsiasi malattia e che può vivere il visore della psicoterapia virtuale come uno strumento per giocare, divertirsi a vedersi rappresentato da un avatar (un suo “doppio”) di sua scelta, e così via. Possiamo immaginare (e creare in Virtual Reality) infiniti setting diversi, infiniti ambienti che di per sé possono risollevare il paziente rispetto all’ambiente reale in cui si trova (ad esempio la camera sterile dove si svolge un trapianto di midollo per una leucemia ed il paziente è isolato per un lungo periodo).

Se, fino ad oggi, la sperimentazione nel campo della psicoterapia in Virtual Reality si è mossa alla ricerca di selezionare specifiche patologie (come il post traumatic stress disorder oppure le fobie) con l’idea che creare un setting virtuale potrebbe rivelarsi uno strumento “tecnico” migliore delle tradizionali modalità di svolgere una terapia, noi proponiamo una direzione di ricerca diversa, in cui la creazione di nuovi ambienti (vorremmo dire di nuovi-ma-antichi contenitori placentari) può migliorare l’efficacia di ogni tipo di psicoterapia di qualsiasi orientamento, psicodinamico, cognitivo-comportamentale, o di altro genere. Da qui poi ognuno segue le proprie specificità. L’artista ad esempio si sta già muovendo nell’esplorazione di queste potenzialità. Ad ottobre di quest’anno, al MACRO di Roma il documentario in Virtual Reality Nowhere (Marconi e Coll., 2019) è stato reso visibile in una stanza particolare (la Dark Room) particolarmente adatta ad evocare il mondo intrauterino della vita prenatale. Gli spettatori venivano introdotti, uno alla volta, nella stanza, accompagnati da un membro del team che li aiutava ad indossare il visore ed immergersi nell’utero di una donna incinta che stava per partorire sulla nave Aquarius che portava un gruppo di profughi africani verso l’Italia. In una inconsueta prospettiva tridimensionale lo spettatore partecipava all’emozionante salvataggio del gruppo dei profughi ascoltando suoni e dialoghi e vedendo, al tempo stesso, con gli occhi del neonato cosa significa “venire alla luce” in un modo così particolare… Il progetto artistico prosegue in modo ancora più ambizioso per Biennale College Cinema –Virtual Reality (Marconi, Nesci, e Coll., 2019-2020): i fruitori dell’installazione (sempre progettata dal team di Carolina Marconi) potranno anche “sentire” con appositi sensori applicati al loro corpo (oltre che utilizzando un visore che li immerge nella Virtual Reality) quello che prova un bambino prematuro, dopo essere uscito dalla madrepatria originaria della placenta e dell’utero materno.

Gli ambienti che stiamo immaginando per la psicoterapia in Virtual Reality sicuramente trarranno spunto da queste esperienze, dal feedback che le persone che le vivranno ci daranno. É solo dalle persone che possiamo imparare…

Seguendo le orme di Freud, e parafrasando a modo nostro le sue parole e quelle da lui rivisitate di Shakespeare (Amleto, atto I, scena I), possiamo concludere restituendo agli artisti il primato che essi condividono con gli Aborigeni australiani […] «giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose, tra cielo e terra, che la nostra filosofia neppure sospetta» (Freud, 1906).

 

Domenico Arturo Nesci

Psichiatra, Psicoanalista (Full Member della Canadian Psyhoanalytical Society e dell’IPA), Coordinatore dei Corsi di Perfezionamento in Psico-Oncologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

 

Filippo Arturo Nesci

International Bacchalaureate presso Marymount International School, Laurea with onors in Film all’Art Center College Design (Pasadena) 

http://filipponesci.com

 

Bibliografia

Akhtar, S. (2003), Things: Developmental, Psychopathological, and Technical Aspects of Inanimate Objects in «Canadian Journal of Psychoanalysis», 11(1): 1-44, 2003

Dirix C.E., Nijhuis J.G., Jongsma H.W., Hornstra G.(2009), Aspects of fetal learning and memor, in «Child Dev.» Jul-Aug; 80(4): 1251-8

Freud S. (1906), Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen, in Opere, vol. V, Torino, Bollati Boringhieri, p. 264.

Marconi C. e Coll. (2019), Nowhere. Documentario in Virtual Reality, MACRO, Roma, 2/10/2019

Marconi C. (regista) Nesci F.A. (produttore) e Coll., The Premature Project, Biennale College Cinema –Virtual Reality, Venezia, 2019-2020

Nesci, D.A. (1991) La Notte Bianca. Studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo, Armando Editore, Roma

– (1993), Entre la Terre et le Ciel: Quelques Remarques sur l’Usage du Divan dans le Setting Psychanalytique, in «Revue Canadienne de Psychanalyse», 1, 61-72

Nesci, D.A., (in collaborazione con) Averna S., Banchi P., Benedetto E., Ciuffi S., Colasanti V., Corona E., Duma I.D., Fioretti A., Gamba E., Di Iorio M., Maggipinto D., Medici M., Edith E. Mincuzzi, Ilaria Pellegrini, Anna Petrachi, Tommaso A. Poliseno, Giulia Radi, Giulia Ritrosi, Tamilia A., Savoia V., Scopone V., Serafino D., Sonsini E., Strangio A., Veccia F., La Psicoterapia Online nel Setting Istituzionale, in  «Doppio Sogno», Giugno 2018, http://www.doppio-sogno.it/

Nesci F.A., Nesci D.A. (in collaborazione con) (2012), Bianca, in Multimedia Psychotherapy by D.A. Nesci, Lanham: Jason Aronson

Ong W.J. (1982), Orality and Literacy. The Technologizing of the Word, London and New York: Methuen

Róheim G. (1945), The Eternal Ones of the Dream. New York: International Universities Press

Saul L.J. (1951), A note on the telephone as a technical aid, in «Psychoanalytic Quarterly», 20: 287-290

Strehlow C. (1908-1910), Die Aranda und Loritja-Stamme in Zentral-Australian, Frankfurt

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