«Nel tiro con l’arco, l’attimo in cui il bersaglio si manifesta nel punto di mira e tutti gli allineamenti sono corretti, secondo modi in cui la tecnica è stata acquisita fino a farli diventare naturali, è unico. Prima, la freccia lo mancherà, dopo, la mano tremerà sotto il carico della tensione della corda».
(A. Speranza, Arciere)
1 Premessa
Gli antichi greci distinguevano con il termine chronos il tempo quantitativo, cronologico e sequenziale e con il termine kairòs indicavano la natura qualitativa del tempo, da intendersi come il “momento giusto o opportuno”. Nell’iconografia greca Kairòs viene rappresentato come un giovane con ali ai piedi e sulla schiena, sulla fronte un lungo ciuffo di capelli mentre sulla nuca è calvo. Regge una bilancia che lui stesso con un dito disequilibra.
Tema ripreso varie volte nella storia dell’arte, per esempio nell’affresco di Francesco Salviati, Il Tempo Opportuno, nella Sala dell’Udienza a Palazzo Vecchio, Firenze, Kairòs viene raffigurato, appunto, con un lungo ciuffo sulla testa dietro calva, nell’atto di sporgersi in avanti, ad indicare un tempo inteso come quei momenti che vanno colti senza esitazione, afferrando il ciuffo di capelli prima che sfugga via.
Il tema non è indifferente nella comprensione delle relazioni umane e anche in psicoterapia rispetto alla necessità di capire quando vi sono dei momenti “che fanno voltare pagina”, per parafrasare il titolo di un interessante libro di Quinodoz (2001), momenti che vanno colti quando si verificano e segnano la possibilità di una svolta significativa nel processo terapeutico, ossia un particolare momento di intesa e di sintonizzazione che può attivare un balzo in avanti sul piano trasformativo.
Possiamo pensare questo momento trasformativo come un catalizzatore che ha la forza di imprimere una spinta nello sviluppo del processo terapeutico, ma all’insegna di una discontinuità e di un aspetto nuovo, cioè in un modo inaspettato e non necessariamente consequenziale e presente nel precedente processo terapeutico.
È il tema del libro di Quinodoz nel saggio I sogni che voltano pagina, sogni che segnalavano all’analista l’emergere improvviso di angosce psicotiche in un momento in cui “sembrava” che l’analisi proseguisse bene e che vanno intesi non come una sorta di “ritorno indietro” e regressione, ma come una tappa nei processi di integrazione della vita psichica in un modo più ricco e complesso.
Bion in vari saggi relativi al concetto di trasformazione (Bion, 1965) e soprattutto nello stimolante e provocatorio articolo Notes on memory and desire (Bion, 1967b) mette in guardia dal ricorrere alla memoria, ossia dare una spiegazione della seduta rispetto a quanto avvenuto nelle precedenti sedute; in modo lapidario l’A. scrive: «L’osservazione psicoanalitica non si occupa né di ciò che è accaduto, né di ciò che accadrà, ma di ciò che accade» (in corsivo nel testo). In altri termini per lo psicoanalista, osserva sempre Bion, la seduta deve essere priva di desiderio, di storia e di futuro, e l’analista deve concentrarsi su ciò che sta accadendo nel qui ed ora sul piano delle dinamiche emotive tra terapeuta e paziente.
È del resto quanto aveva già osservato nella prefazione di Second Thoughts: «…Non prendo in considerazione alcuna narrazione pretendendo che sia il resoconto di un fatto – né di ciò che il paziente ha detto, né di ciò che io ho detto – che meriti di essere considerato un “racconto basato sui fatti accaduti” […]. Perciò in ogni resoconto di seduta, indipendentemente da quanto tempestivamente sia stato trascritto o dalla competenza dell’autore, la memoria non dovrebbe essere considerata qualcosa di più di una comunicazione figurativa di un’esperienza emotiva» (in corsivo nel testo) (Bion, 1967a;).
Thomas Ogden nel suo recente saggio Prendere vita nella stanza d’analisi (Ogden, 2022) individua nell’evoluzione dei modelli in psicoanalisi, un passaggio da quella che chiama la «psicoanalisi epistemologica», che a che fare soprattutto con il conoscere e il comprendere, ad una «psicoanalisi ontologica», che ha maggiormente a che fare con l’essere e il divenire. Ogden aggiunge che per Bion il desiderio riflessivo di rivivere il passato, forse con la fantasia di potere ‘aggiustare le cose’ questa volta, o di immaginarci il futuro che a sua volta si basa sulla fantasia onnipotente di prevedere e controllare quello che accadrà, ci allontana dal momento presente: «… L’unico momento in cui l’individuo (il paziente, l’analista, il neonato) è, sta venendo alla luce».
In altre parole, scrive sempre Ogden, per l’ultimo Bion, diventare vivi è l’atto di diventare la realtà del momento che si sta vivendo, in modo che sia il più possibile svincolato da ciò che si pensa accadrà o da ciò che si vorrebbe che accadesse, perché questi desideri ottundono i sensi, uccidono la vitalità e la realtà di ciò che sta accadendo in quel momento (ibidem, pag. 151). Secondo Ogden, quindi, questa concezione della mente, che pone l’accento sulla necessità di non sapere, di non capire e invece di diventare, aggiunge una nuova dimensione alla comprensione dell’emergenza della mente presente nei primi lavori.
Questa posizione, seppure con altri presupposti teorici, è di certo presente nell’opera di Daniel Stern, per esempio nel suo saggio Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana in cui mette, appunto, in evidenza che il “momento di incontro”, ossia il momento presente in grado di risolvere la crisi creata tra due individui attraverso un momento-ora, abbia l’effetto di rimodellare il campo intersoggettivo e modificare la relazione: «[…] Ciò è legato alla creazione di una condivisione intersoggettiva, affettivamente carica, che modifica il campo intersoggettivo tra i due, ampliandolo al punto che la relazione percepita da entrambi assume improvvisamente una forma diversa rispetto a quella che avevano prima del momento di incontro» (Stern, 2004, pp. 202-203). Questi temi hanno avuto un ulteriore approfondimento nel noto saggio del Gruppo di Boston (2010) Il cambiamento in psicoterapia che riprende la tesi presente nell’articolo apparso nell’International «Journal of Psychoanalysis» conosciuto come Something more than interpretation (Stern, 1998).
Dall’insieme di questi saggi, così come da diverse altre ricerche emergeva che i pazienti potevano migliorare anche se non venivano elaborati in modo esplicito da parte del terapeuta i contenuti rimossi. Questo cambiamento potrebbe essere ricondotto al fatto che il terapeuta non si allineava alle proiezioni e alle attese negative del paziente, disconfermando le credenze patogene costruite durante lo sviluppo e, quindi, relazionandosi in modo diverso rispetto ai genitori traumatici. Gli Autori del Boston Change Process Study Group ipotizzano che vi siano due tipi di cambiamento in psicoterapia:
– il primo è quello che avviene a livello dichiarativo e verbale e si deve appunto alle interpretazioni fatte dall’analista;
– il secondo è implicito, relazionale e procedurale e si verifica grazie a dei particolari momenti che gli autori definiscono “momenti di incontro” che vanno a modificare la conoscenza relazionale implicita del paziente.
Le ipotesi del gruppo di Boston derivano dagli studi sullo sviluppo infantile promossi dall’Infant Research e dalla Teoria dei Sistemi Dinamici: dall’Infant Research proviene l’idea di un bambino precocemente coinvolto in processi di interazione reciproca, dai quali ricava una serie di conoscenze e strategie utili a sopravvivere ed adattarsi nel suo ambiente primario. Gli studi dell’Infant Research mostrano ad esempio come, fin dai primi mesi di vita, il bambino interagisca con i propri caregivers basandosi principalmente su un sapere relazionale implicito fondato sull’esperienza, e come all’interno dell’interazione madre-bambino questo sia precocemente in grado di «valutare e rispondere allo stato emotivo e alle “mosse relazionali” dell’altro».
Il secondo riferimento riguarda il notevole e pioneristico lavoro di Lou Sander (2007) che ha messo in luce quello che possiamo chiamare “il principio dell’auto-organizzazione”, tipico della Teoria dei Sistemi Dinamici, sostenendo invece l’idea di una mente continuamente coinvolta in un processo di acquisizione di informazioni sui cambiamenti che si verificano all’interno dell’ambiente intersoggettivo. L’incontro con altre menti e con altre conoscenze implicite genera nuovi sistemi qualitativamente diversi, nuove conoscenze relazionali implicite.
In questa prospettiva la psicopatologia può essere vista come espressione di modelli relazionali disfunzionali che hanno origine durante l’infanzia e sono immagazzinati a livello della memoria procedurale, implicita e pre-verbale. Queste caratteristiche rendono necessario uno strumento terapeutico diverso da quello dell’interpretazione, uno strumento che sia in grado di accedere a quello che il gruppo di Boston utilizza denominandolo “conoscenza relazionale implicita”, per descrivere quel tipo di conoscenza procedurale che riguarda il «come ci si mette in relazione con gli altri e il mondo». La conoscenza relazionale implicita si basa su ‘ un sapere procedurale’ che in quanto tale riguarda l’Inconscio non rimosso.
Su queste premesse la psicoterapia diviene “un processo di avanzamento” che richiede pazienza e perseveranza e in cui l’analista deve essere in grado di tollerare la frustrazione, di procedere per connessioni e collegamenti mancati, rotture e riparazioni. In ogni momento, il contenuto verbale degli scambi tra paziente e terapeuta si accompagna a un processo intersoggettivo di condivisione di significati. Il processo di avanzamento può essere pensato come composto da una serie di “momenti presenti” che sono contraddistinti da lievi cambiamenti nella relazione terapeutica. I momenti presenti tra paziente e terapeuta sono simili ai processi interattivi madre bambino osservati da Tronick (Tronick et Al., 1998) e collaboratori e si caratterizzano per accordi e disaccordi, rotture e riparazioni.
2 Cosa è successo? Il qui ed ora nel lavoro psicoanalitico con le coppie
Come osserva in un denso articolo Susan Shimmerlick (2008) i progressi avvenuti attraverso lo sviluppo della psicoanalisi e la teoria dei sistemi familiari, oltre alle scoperte apportate dalle neuroscienze e dall’Infant Research, hanno determinato ampie convergenze nella nostra comprensione dell’esperienza umana. Un’importante convergenza è avvenuta grazie alla comprensione delle modalità implicite dell’esperienza, in particolare per ciò che riguarda la comunicazione affettiva. Questa prospettiva ha influenzato anche il modo di lavorare con le coppie e con le famiglie in psicoterapia, nella direzione di considerare le modalità in cui i modelli relazionali familiari e di coppia si attuano nel dominio dell’agire, attraverso processi di comunicazione non conscia e implicita.
La tesi di fondo può essere sintetizzata nell’idea che buona parte di ciò che abbiamo immagazzinato nel dominio dell’implicito rimane inserito e agito nelle relazioni più intime e di conseguenza può diventare accessibile solo nel contesto di quelle relazioni, tesi che compare anche in un altro interessante saggio di Marion Solomon (2009) e in parte anche nel ponderoso saggio di Philip Ringstrom (2014).
È importante parlare ai pazienti dell’idea che molto di ciò che comunichiamo agli altri e registriamo nella comunicazione con loro, avviene al di fuori della nostra consapevolezza, spesso nel giro di frazioni di secondo, e che la comunicazione emotiva è complessa e spesso ambigua. Parimenti aiutare i pazienti a capire che un partner può registrare accuratamente una comunicazione affettiva relazionale che resta al di fuori della consapevolezza dell’altro partner, anche quando il significato affettivo implicito di tale comunicazione risulta estremamente complesso.
Quando avvengono determinate interazioni nello studio, possiamo farle notare, interromperle e chiedere «Cos’è appena successo?», condividendo la consapevolezza che si sta svolgendo un processo dall’apparenza elusiva, ma ben reale, anche se si tratta di una realtà che non riusciamo a comprendere del tutto nel momento in cui si verifica.
Alcuni Autori hanno sottolineato l’importanza di istruire le coppie sul linguaggio delle emozioni e i processi neuro-psicobiologici sottostanti a diverse reazioni emotive, come la valutazione del pericolo, in modo da essere più capaci di recepire i cenni reciproci, verbali e non verbali, e di comprendere meglio i propri stessi gradi di allerta. In ogni caso si possono incoraggiare i pazienti a prestare attenzione a tutte le comunicazioni non verbali dei loro partner, come le espressioni facciali, la postura e il tono della voce. Altrettanto importante è aiutarli a diventare più attenti riguardo alle proprie sensazioni corporee e ai propri processi fisiologici.
Ciò non toglie che le parole rimangono al centro della scena, ma non sono più le uniche protagoniste: perdono, cioè, quello statuto privilegiato ed esclusivo che avevano nei modelli centrati sull’interpretazione e sull’insight, per assumere invece un ruolo da coprotagonista insieme ad un altro tipo di elaborazione, quella subsimbolica che, sebbene meno visibile, resta comunque il cuore del problema. È, tuttavia, importante evidenziare che è lo “stile linguistico” adottato dal parlante ad avere un ruolo centrale nella relazione terapeutica, piuttosto che il contenuto delle sue parole, bisogna cioè “ascoltare con tutti i sensi” (Bastianini, Ferruta, Guerrini degl’Innocenti, 2021). In questa prospettiva obiettivo della cura diviene sia riparare i punti di collegamento mancanti, sia costruire nuovi collegamenti tra i diversi sistemi.
Il lavoro “a due” o “a tre” in seduta può espandere, quindi, la possibilità di giungere ad una maggiore comprensione di sé, quello che la Bucci (2021) chiama “insight emotivo” in cui un paziente si giova delle interpretazioni dell’analista. Il processo terapeutico dovrebbe portare alla formazione di nuove categorie e, soprattutto, nuove connessioni in cui lo schema della memoria autobiografica, le rappresentazioni di sé in relazione alle persone significative possono essere riorganizzate e costruite.
Come ha messo in evidenza Lou Sander questi momenti di incontro nascono all’interno di particolari processi intersoggettivi che coinvolgono la sfera affettiva, cognitiva e comportamentale. Una caratteristica fondamentale del momento di incontro è data dal fatto che entrambi i partecipanti alla relazione riconoscano la soggettività dell’altro. Questi momenti di incontro si caratterizzano per un senso di allontanamento dal normale procedere della terapia e presuppongono una risposta da parte dell’analista basata sul qui ed ora che prescinda dall’interpretazione o dalle altre “tecniche standard”. Queste dinamiche coinvolgono l’analista in un cambiamento attivo del campo intersoggettivo creatosi tra i due partecipanti.
Tuttavia non è sempre facile o possibile, nel senso che questo momento pregnante può essere “mancato” e non portare a un momento di incontro. Si può considerare “fallito” quando una parte importante dell’esperienza intersoggettiva viene esclusa dalla terapia, o quando viene addirittura messa in discussione la relazione terapeutica. In alcuni casi, questo mancato incontro può essere in seguito “segnalato” dal paziente così da essere ripreso e “riparato”. Solo attraverso interazioni ridondanti e ripetute può prendere avvio la creazione di un’intenzione relazionale condivisa tra paziente e analista che conduca a un rimodellamento della conoscenza implicita dei partner in seduta.
Secondo Daniel Stern la funzione del sistema motivazionale intersoggettivo è quello di a) facilitare l’empatia; b) incrementare le capacità di metacognition; c) regolare la dicotomia tra appartenenza e isolamento.
Si può comprendere in quale direzione allora possiamo pensare il tema della negoziazione dei significati:
– nella direzione di sviluppare la curiosità dei pazienti aiutandoli a osservare invece di reagire;
– la consapevolezza di quello che Ringstrom (2014) mette in evidenza come un inevitabile paradosso: nel momento in cui realizziamo di possedere una nostra volontà indipendente dipendiamo dal riconoscimento dell’altro per verificarlo.
3 Un caso di psicoterapia psicoanalitica di coppia
Gianni e Maria sono una coppia seguita per quattro anni, al ritmo di una seduta settimanale. La richiesta di psicoterapia nasce sia da importanti divergenze nella gestione dei figli, sia da forti conflittualità nella relazione di coppia. Gianni all’epoca della seduta che viene riportata ha 52 anni, Maria 47. Entrambi di bell’aspetto, per quanto a volte un po’ eccentrico lui e piuttosto dimessa lei; Gianni gestisce un’impresa, Maria partecipa ad alcuni processi aziendali, pur mantenendo una propria libera professione, a tempo molto ridotto. Hanno tre figli, due maschi di 7 e 9 anni e una femmina di 14 anni.
Descriveremo l’ultima seduta prima delle ferie estive nel secondo anno di psicoterapia.
Mentre arrivano salendo le scale la terapeuta sente che parlottano forse per questioni di lavoro. La voce di Maria sovrasta sempre quella di Gianni. La terapeuta pensa che forse Maria desidera che la senta arrivare, o che il loro arrivo insieme sia, in un certo senso preannunciato e non la colga distratta, come è sempre stata la madre. Entrano, come sempre prima Maria, poi Gianni, ma Maria si dilunga nell’appoggiare il casco dopo Gianni e quindi si fa leggermente aspettare.
Maria: «Buongiornoooo dottoressaaaaa!!!!».
Gianni: (con fare più mesto): «Buongiorno». Il loro modo di salutare la terapeuta ribalta l’aspettativa riguardo il loro aspetto.
Arrivano ed è come se entrasse una folata di vento, come quando c’è “garbino”, un vento caldo che soffia da terra, in seduta è come se entrassero correnti di aria calda che se non si fa attenzione le porte e le finestre sbattono e vola tutto. Alla terapeuta viene in mente che dopo il garbino arriva la pioggia, anzi è una pioggia desiderata perché il garbino è un vento molto caldo che secca tutto. Si dice che il garbino “taglia le gambe”, per dire che fiacca. Il garbino porta anche aspetti piacevoli, quando c’è il garbino il cielo è terso, soffiando da terra, il mare è piatto, e diventa di un bel colore turchese. Bisogna stare attenti però, perché la corrente porta al largo.
Nel controtransfert la terapeuta ha un vissuto di soffocamento- intrusione, soprattutto da parte di Maria, che all’inizio della terapia aveva fatto dei commenti sull’arredamento dello studio, dando consigli piuttosto svalutanti su eventuali modifiche necessarie. Una proiezione della sua percezione inconscia riguardo il suo mondo interno e il bisogno di modificare delle cose, ma anche riguardo la relazione con Gianni e la terapeuta. Quest’ultima si sente da un lato infastidita, dall’altra prova anche tenerezza, oscillando sui due versanti irritazione /affettività.
Gianni inizia parlando della sua vita frenetica e il bisogno di fare dei cambiamenti. I genitori lasceranno il lavoro a fine anno, e lui e i fratelli dovranno prendere delle decisioni su come proseguire nell’attività. Maria interviene con qualche consiglio, dal tono della voce trapela una certa svalutazione delle competenze del marito, e preoccupazione che non vengano fatte giuste divisioni.
La terapeuta commenta che c’è un passaggio generazionale, un passaggio di testimone dai genitori ai figli ma anche la paura di una possibile ingiustizia fra fratelli, come dire che si può temere che il bene dei genitori non venga diviso equamente. La terapeuta pensa che forse la coppia teme inconsapevolmente che ella possa prendere le parti dell’uno a discapito dell’altro, riattivando antichi fantasmi relativi a preferenze dolorose nelle rispettive famiglie.
Maria dice che anche lei sta pensando a dei cambiamenti, sta riprendendo la professione che aveva molto trascurato per seguire la famiglia, ma poi si lamenta dicendo che Gianni la sta osteggiando.
Gianni (irritato): «Io non ti osteggio, se ti piace io sono contento, ma fai una scelta, non puoi stare tutta la vita a fare la stagista».
Terapeuta: «Ognuno rivendica uno spazio per sé, ma bisogna anche tener conto dell’altro, e non è sempre è così facile. C’è molta paura che lo spazio dell’altro sia una minaccia per la relazione, forse una minaccia d’abbandono».
Gianni: «Tu dici che io ti attacco per il lavoro ma anche tu mi attacchi quando esco con gli amici e vado a giocare a calcetto!!».
Maria, cercando una complicità con la terapeuta: «Non ne può fare a meno».
Gianni: «Sì, ne ho proprio bisogno, ho bisogno di prendermi del tempo per me».
Maria: «Va be’ poi con i figli non ci stai mai…appena puoi vai via”, ma va bene, va bene…». Alza gli occhi al cielo.
Terapeuta: «Mi sembra che non le vada tanto bene».
Gianni, rivolgendosi a Maria, le fa l’elenco delle cose che fa per la famiglia, con tono irritato e offeso, mentre Maria, cercando ancora una complicità con la terapeuta e minimizzando il proprio risentimento, sottolinea ancora le assenze del marito.
Gianni: «Ieri avevo un impegno di lavoro, ero in anticipo e ho deciso di fare una deviazione dal percorso abituale. Sono andato sulla strada per O., poi ho girato per S. e sono risalito fino al monte G…
Mi sono trovato davanti a un bivio, avrei potuto andare giù per la valle di M., ma poi ho svoltato per andare verso S. anche se mi sarei allontanato dalla meta. Sono arrivato in cima a D., dove c’è la Pieve romanica di X, la conosce dottoressa? Un posto bellissimo, tranquillo, io non sono religioso ma mi trasmette una tale serenità che ho deciso di fermarmi e sono sceso dalla macchina.
Mi sono seduto lì sugli scalini della Pieve, c ’era una arietta meravigliosa e in quel momento ho sentito una specie di nostalgia, lei, dottoressa, la chiamerebbe mancanza, ho sentito il desiderio di avere la mia famiglia con me. Ho chiamato al telefono Maria e le ho chiesto se mi raggiungevano».
Maria: «Se anche in un primo tempo avevo sbuffato e pensato di non andare anche perché mi aveva avvertita all’ultimo momento, ho poi pensato a tutte le volte che qui si è parlato della dipendenza come uno spauracchio, del rapporto con mia madre e dei suoi condizionamenti, insomma alla fine pensa – pensa ho deciso di sì e dopo un po’ siamo andati tutti quanti, ci abbiamo messo del tempo per arrivare e raggiungere Gianni, ma Gianni ci ha aspettati tranquillo e non si è arrabbiato per aver aspettato come avrebbe fatto una volta, poi abbiamo pranzato tutti insieme».
Terapeuta: «Penso che Gianni stia parlando di come a volte possa sentire il bisogno di stare solo con se stesso, di allontanarsi dalla coppia, dai figli, dal lavoro, per ritrovare un contatto solitario con i propri pensieri ed emozioni, osservare i propri panorami interni emotivi e poterli percorrere. Non si tratta di qualcosa contro Maria, contro i figli, ma qualcosa che mette Gianni in contatto con se stesso. Allo stesso tempo sente il proprio desiderio di coppia e famiglia, e un senso di appartenenza, perché nel percorso a volte tortuoso, a volte più faticoso, altre anche più agevole, il senso dello stare insieme a Maria e ai figli, lo ritrova come qualcosa che appartiene al suo percorso di vita. Si è trovato ad un bivio nel passato, poteva sposarsi oppure restare un single incallito, non era male stare con i genitori che, più liberi di un tempo, potevano dedicarsi a lui e dargli quelle attenzioni che nell’infanzia non avevano avuto il tempo di dare, ma ha fatto una scelta, e forse è stata una scelta in salita, più faticosa, ma ha aperto scenari nuovi e inaspettati.
Allo stesso modo Maria, che pure si allontana da Gianni quando si dedica alla professione che ama, non lo fa contro la coppia e i figli, ma perché vi trova una realizzazione di sé, per poi rincontrare, lungo la strada dell’autonomia, la strada del desiderio dell’altro, dell’appartenenza, del bisogno di Gianni e dei figli».
A questo punto accade qualcosa di inaspettato che rimanda a quanto abbiamo osservato sotto il concetto di kairòs, l’attimo, il “momento ora”, in cui qualcosa accade.
Maria comincia a piangere e anche Gianni si commuove moltissimo e anche la terapeuta si commuove.
Maria prende la mano di Gianni e Gianni le accarezza la spalla.
La stessa terapeuta è piuttosto stupita da questa svolta inaspettata nel clima del “campo”. Del resto, controtransferalmente l’aveva colto: dopo il garbino arriva la pioggia.
Sul piano controtransferale la terapeuta vive il clima di commozione e tranquillità descritto poco prima da Gianni nel racconto della sosta alla Pieve.
Poco dopo la coppia parlando degli allenamenti del figlio minore riflette sulla necessità di rallentare. La terapeuta pensa che la coppia le segnali che il livello di arousal del momento della seduta appena trascorso sia stato molto intenso e ora c’è bisogno di rallentare.
Pertanto la terapeuta decide di restare sul registro della realtà con qualche innocuo commento.
La seduta termina in un buon clima affettivo: passato il garbino, passata la pioggia, ora soffia una leggera brezza marina.
Commenti:
Nella seduta che è stata illustrata è avvenuto un passaggio trasformativo, che non necessariamente è stato determinato dall’ espansione lineare dei vari altri passaggi fatti nelle precedenti sedute. Indubbiamente nell’anno trascorso si è potuto creare pian piano un clima di maggior fiducia nel lavoro analitico e nella relazione fra i partner, e ha iniziato a costruirsi un Senso del Noi nella coppia (Norsa, Zavattini, 1998).
Come già osservato, un momento ora che sia stato colto e riconosciuto può diventare un “momento d’incontro”: allora accade qualcosa di non prevedibile, e paziente (in questo caso una coppia) e Terapeuta possono riprendere il processo di avanzamento, ma in un diverso stato intersoggettivo. Il risultato è un cambiamento nella conoscenza relazionale implicita di tutti i membri, Terapeuta incluso. Si può, cioè, pensare che in seduta è emerso qualcosa di nuovo e inaspettato, ha preso corpo una costellazione emotiva che riguarda qualcosa che si è potuto mettere insieme in quel momento.
Alla fine Gianni e Maria si sono avvicinati fisicamente e presi le mani, sfiorati una spalla. L’intervento li ha toccati, lui alla Pieve ha desiderato sentirsi raggiunto dalla famiglia (e anche dalla Terapeuta) e lo è stato, raggiunto in quel sentimento di mancanza che ha sempre negato di avere.
La Terapeuta nel racconto di Gianni e le rimostranze di Maria, si è lasciata trasportare dalle emozioni nel qui ed ora della seduta, come se le venisse raccontato un sogno, o meglio, tutta la seduta fosse un sogno (Ferro, 1996). Un passaggio emotivo che fa girare pagina alla psicoterapia (Quinodoz, 2001).
La Terapeuta ha seguito Gianni nel suo percorso in auto, come se sognasse assieme il racconto-sogno di Gianni, che è anche il sogno della coppia, e come in un sogno si è lasciata trasportare dalle emozioni, dal bisogno di libertà, dalla curiosità per le strade nuove, il momento di una scelta al bivio, e il sentimento della mancanza e del desiderio dell’altro. Ha “sentito” in quel momento, cogliendo lì, nell’ hic et nunc, i bisogni e le emozioni nel campo, di poter integrare i vari ingredienti emotivi nell’interpretazione, mettendo l’accento sul bisogno di individuazione e sul bisogno di appartenenza come aspetti- stati del sé che possono convivere.
L’intervento della Terapeuta ha aiutato la coppia a rappresentarsi degli aspetti del sé, e a poterli integrare, cioè il desiderio di stare soli con se stessi e quello di potersi pensare e sentire in una dimensione di appartenenza alla coppia e/o alla famiglia.
Questa coppia condivide un certo grado di angoscia rispetto al vissuto di separazione. È una coppia che ha una fantasia condivisa, nel senso che ciascuno vive l’individuarsi dell’altro come minaccia di angosce abbandoniche. Quindi la difesa condivisa diviene quella di essere costantemente aggrappati uno all’altra ed attaccare e svalutare ogni movimento di autonomia del partner oppure dei figli. È interessante notare che una delle critiche di Maria allo studio della Terapeuta fosse rivolta ad una lampada arancione, colore che si “stacca” dal resto dei colori dell’arredamento.
La fantasia condivisa può essere un elemento che inconsciamente mantiene l’unità della coppia.
La Terapeuta ha sentito nel controtransfert il vento “garbino”, cioè il senso di soffocamento riferito alle istanze fusionali della coppia, che pure ha aspetti “buoni” perché rassicura, ma rappresenta la difesa che la coppia mette in atto per tenere a bada le angosce sottostanti di abbandono, riferite agli oggetti primari assenti. Allo stesso tempo il desiderio di autonomia e individuazione “prende il largo” nella coppia, ma si manifesta attraverso gli aspetti oppositivi nei figli e il reciproco boicottaggio verso le istanze separative di ciascuno dei partner.
Conclusioni
Come abbiamo messo in evidenza, in questo saggio Ogden (2015, 2022) sottolinea l’attenzione di Bion verso la dimensione dell’hic et nunc e della necessità di cogliere le emozioni in transito. La mente è vista come un processo vivente che si manifesta nell’atto stesso di fare esperienza. È una posizione che è contigua al lavoro di Antonino Ferro (1996) e al concetto di “campo analitico” con cui viene data particolare attenzione alle trasformazioni che intercorrono nella seduta e le segnalazioni che il paziente fornisce rispetto alle turbolenze del campo.
Abbiamo poi fatto riferimento alla prospettiva clinica di Daniel Stern e alla sottolineatura che il tempo presente sia legato alla creazione di una condivisione intersoggettiva, affettivamente carica, che modifica il campo intersoggettivo in seduta, ampliandolo al punto che la relazione percepita da entrambi assume improvvisamente una forma diversa rispetto a quella che avevano prima del momento d’incontro.
In questa direzione il focus dell’intervento ha come obiettivo quello di creare un ponte fra i diversi stati del Sé (Bromberg, 1998/2001). Potersi sentire soggetto singolo, individuo, e soggetto del noi nella coppia, due isole dell’arcipelago – stati del sé, che hanno potuto essere unite da un ponte.
Lou Sander sostiene l’idea di una mente continuamente coinvolta in un processo di acquisizione di informazioni sui cambiamenti che si verificano nell’ambiente intersoggettivo. L’incontro con altre menti e con altre conoscenze implicite genera nuovi sistemi qualitativamente diversi, nuove conoscenze relazionali implicite.
L’interpretazione classica si rivolge in modo particolare ai contenuti rimossi, cercando di cogliere il significato inconscio dei conflitti. Tuttavia quando l’Io si trova più disorganizzato sotto l’effetto della dissociazione o della scissione e dell’identificazione proiettiva, riteniamo che la funzione dell’interpretazione debba essere più quella di aumentare la capacità di integrare. In buona sostanza la funzione dell’interpretazione è necessario che favorisca la capacità di pensare e di elaborare.
Abbiamo tenuto conto di questa prospettiva nel lavoro psicoanalitico con le coppie facendo riferimento ai saggi di Susan Shimmerlick (2008) e Marion Solomon (2009) e in particolare abbiamo sottolineato che dal punto di vista psicoanalitico kairòs è “acciuffabile “nel momento della collisione dell’identificazione proiettiva, nella rêverie, nell’ascolto del proprio controtransfert, nell’attenzione ai messaggi non verbali del paziente, negli enactment del paziente e anche in quelli, inevitabili, dell’analista (Bromberg, 2011). Come osserva Ferro (1996) la verità relazionale è il solo luogo possibile della trasformazione. Realtà interna e realtà esterna sono luogo della conoscenza e della consapevolezza, ma conoscenza e relazione sono tra loro in continua oscillazione. È un fondamentale strumento di conoscenza e anche di trasformabilità in seduta l’instabilità della mente dello psicoanalista, laddove anche la stabilità è un ottimo strumento di terapia. È indispensabile, da parte del terapeuta, la capacità recettoriale alle protoemozioni del paziente, per identificazioni proiettive.
Come abbiamo visto nelle dinamiche del caso clinico presentato è importante che un Terapeuta che segue una coppia mantenga una posizione equilaterale rispetto ai due partner, consapevole che molto di frequente accade che un partner possa essere depositario di aspetti scissi dell’altro (Zavattini, 2008, 2015). Compito dell’analista, in un setting di coppia, pur tenendo bene in mente i riflessi del passato che inconsciamente continuano a operare condizionando la dinamica presente, diventa quello di focalizzare l’attenzione sulla capacità di ‘riconnettersi’ o ‘connettersi in modo nuovo’ e di facilitarne la conquista e riconquista.
È a questo proposito, osserva la Morgan (2019)1, che emerge l’importanza che il terapeuta possegga uno stato mentale di coppia nella impostazione e nella gestione del setting, ossia la capacità di far emergere e consolidare nella relazione terapeutica quella posizione di terzietà, come capacità di guardarsi da fuori mentre si è all’interno del fluire delle dinamiche in seduta. Nella maggioranza delle coppie che chiedono aiuto tale capacità è spesso assente, non si è sviluppata a sufficienza o non si è sviluppata affatto. La capacità di mantenere la “terza posizione” può aiutare a sostenere la relazione nei momenti di vulnerabilità o a comprendere ed elaborare le ragioni dei conflitti; significa essere in una relazione con un’altra persona con la quale è possibile pensare.
Vi è cioè un movimento verso la percezione di se stessi come parte di un insieme nel quale due menti si uniscono per creare qualcosa; è qualcosa che può trasformare il narcisismo, l’onnipotenza di ciascun partner affrontando sentimenti di vergogna, tristezza e rabbia in cui, come direbbe Bion (1967b), si deve essere disponibili ad affrontare insieme qualcosa di “ignoto”.
Il riferimento a Bion è importante perché, come abbiamo più volte sottolineato, la capacità di affrontare il nuovo, il momento presente che si esprime così bene nel concetto di kairòs, non viene più affidato solo all’insight in senso classico, ma necessita di un lungo lavoro in seduta per sperimentarsi con i pazienti nella dimensione implicita, nel divenire, tollerando le difficoltà di questi passaggi emotivi insieme ai pazienti.
Ciò che auspichiamo è che una coppia possa giungere ad un punto in cui entrambi i partner siano in grado di dare spazio alla libertà emotiva propria e del proprio partner, in modo tale che lo stare in coppia sia sentito come una scelta e non un obbligo, o che invece sia possibile, per quanto doloroso possa essere, sciogliere il legame, dopo aver elaborato le collusioni, le scissioni, le proiezioni, gli incastri a volte perversi, per costruire una, veramente nuova, relazione.
Sonia Saponi
Psicologa psicoterapeuta psicodrammatista, Didatta S.I.Ps.A., Socio C.O.I.R.A.G.
Giulio Cesare Zavattini
Psicoanalista S.P.I. e I.P.A., International Affiliate Member Tavistock Relationships (London).
Note
1 In particolare per Mary Morgan lo stato mentale di coppia è una posizione di terzietà simboleggiata dalla relazione stessa della coppia, che aiuta quest’ultima a essere sé stessa, vedendosi nella relazione con l’altro.