2017 DANIELA MALLARDI Oltre la perversione: una prospettiva della psicologia analitica e della fenomenologia esistenziale

Premessa

Molte sono le concezioni che si sono formulate sulla perversione. Una tappa importante è la pubblicazione del libro, Senso e contenuto delle perversioni sessuali1, la cui prima edizione risale al 1947,

che deve la sua paternità a Medard Boss, psichiatra svizzero di formazione psicoanalitica e antropoanalitica. Secondo Boss, fino a quel momento, soltanto due erano sono stati gli indirizzi che si erano sono sforzati di cogliere i significati e i contenuti psicologici basilari delle perversioni: da una parte la teoria psicoanalitica di Sigmund Freud e dei suoi continuatori (compreso Carl Gustav Jung con i suoi concetti di Anima/Animus) e dall’altra la cosiddetta teoria analitico- esistenziale che deve i suoi principali contributi ad autori come Viktor Emil von Gebsattel.

Per poter offrire una lettura rinnovata in tal senso, nel presente articolo, si è scelto di analizzare la teorizzazione di Adolf Guggenbühl, per quanto riguarda il filone analitico, e, per quanto riguarda invece quello analitico- esistenziale fenomenologicamente fondato, Eugène Minkowski.

La scelta di Guggenbühl e di Minkowski non è stata dettata dal caso ma è stata pensata perché in entrambi, pur nella diversità degli assetti metodologici e dei tagli d’intervento, converge la tesi per la quale la sovrapposizione della perversione a un genere specifico di comportamenti sessuali rappresenta solo una delle molteplici manifestazioni della perversione2.

 

L’approccio junghiano di Guggenbühl

Analista junghiano e primo terapeuta di gruppo a Zurigo, Guggenbühl nell’articolo Psicologia junghiana e psicopatologia sessuali3 pone in relazione la perversione con il concetto di individuazione junghiano e così afferma:

«Il comportamento psicopatologico non può essere inteso come un accomodamento fallito, come un adattamento non riuscito — sebbene naturalmente anche ciò abbia la sua parte. La malattia mentale, il comportamento sessualmente e socialmente deviato ecc. sono, in un certo senso, particolari modi di individuazione. Finché non consideriamo ogni sintomo psicopatologico anche come uno specifico modo di individuazione, non comprendiamo la psicopatologia. Soltanto ponendo la psicopatologia in relazione con l’individuazione la psicopatologia diventa comprensibile».

Per poter indagare a fondo questa tesi, occorre capire cosa sia l’individuazione e per farlo, è necessario far riferimento a Tipi piscologici4. Lì, Jung definisce l’individuazione come quel processo di differenziazione che ha come meta lo sviluppo della personalità individuale; essa rappresenta lo sviluppo delle particolarità di un individuo, sulla base della sua disposizione naturale.

«Il concetto di individuazione ha nella nostra psicologia una parte tutt’altro che trascurabile. L’individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale».

Pur costituendo, quindi, una “via individuale” che può deviare rispetto a quella consueta, essa deve condurre ad uno spontaneo riconoscimento delle norme collettive. Continua Jung:

«Per il fatto stesso che l’individuo non è soltanto un essere singolo, ma presuppone anche dei rapporti collettivi per poter esistere, il processo di individuazione non porta all’isolamento, bensì a una coesione collettiva più intensa e più generale […]. L’individuazione rappresenta quindi un ampliamento della sfera della coscienza e della vita psicologica cosciente».

Secondo Guggenbühl, allora, la perversione sarebbe spiegabile attraverso gli archetipi dell’inconscio collettivo e dunque, ogni archetipo sarebbe responsabile della genesi di ogni possibile perversione.

La prima tappa del processo di individuazione porta alla conoscenza dell’Ombra che simboleggia, prendendo in prestito le parole di Jung5, “l’altro lato” nostro, “il fratello oscuro”, che talvolta invisibile, è inseparabile da noi e fa parte della nostra totalità. L’Ombra è quindi parte integrante, o meglio spesso da integrare, della personalità. Come ben riassume Jolande Jacobi in La Psicologia di C.G. Jung, l’Ombra «è una parte dell’individuo, una specie di scissione della sua essenza, che però è a lui legata»6. Questa nostra parte, l’Ombra, Jung tende a dividerla in due diverse forme: l’Ombra personale e l’Ombra collettiva. L’Ombra personale è figlia della propria storia, delle proprie rimozioni, di tutti quei contenuti psichici che, per le più svariate ragioni, tendiamo a non spendere coscientemente nella nostra vita. L’Ombra collettiva è invece legata al mondo degli archetipi. Tali due forme di Ombra, quella personale e quella collettiva, sono entrambe contemporaneamente presenti nella psiche di una persona.

L’Ombra è la figura più prossima alla coscienza e tra tutti gli aspetti della personalità è il primo ad emergere nel corso di un’analisi. Più l’uomo cerca di nasconderla a sé, più l’Ombra tende ad attivarsi e a compiere azioni malvagie. L’Ombra può anche essere proiettata e far vedere all’individuo le proprie caratteristiche oscure riflesse in un’altra persona, scelta come capro espiatorio, e sulla quale viene addossata sempre la colpa di tutto.

L’Ombra che costituisce l’insieme delle dominanti negative, irrompendo nella coscienza, può indurre quindi all’atto perverso. Quando l’uomo diventa consapevole delle dominanti negative che lo albergano (tra cui anche quelle perverse) allora può immediatamente distanziarsene, ma se ciò non avviene allora, la perversione può avere la meglio. Prosegue Guggenbühl:

«L’ombra, per esempio, il lato oscuro e distruttivo, può essere sperimentato attraverso la sessualità (nei mezzi sessuali). Ciò non significa che tutti, per trattare con l’ombra, debbano avere fantasie simili a quelle del marchese de Sade o di Leopold Sacher – Masoch. Ma significa che i fenomeni sessuali simili a quelli che i due autori descrivono, quando si incontrano nella vita psichica della gente, possono essere compresi soltanto come parte del processo di individuazione».

La seconda tappa del processo di individuazione è caratterizzata dall’incontro con quelle figure psichiche che Jung chiama coi termini latini Anima nell’uomo ed Animus, nella donna. Queste due figure archetipiche rappresentano la parte di psiche che ha a che fare col sesso opposto e indicano sia la modalità del nostro rapporto con esso, sia il deposito dell’esperienza collettiva umana a riguardo. È possibile leggere nelle tante manifestazioni sintomatiche che i pazienti portano in analisi un conflitto tra l’immagine di sé offerta al mondo e le immagini interne del maschile e del femminile. La risoluzione di tale conflitto consente all’uomo e alla donna di ristrutturare una personale identità.

«Un altro compito non meno importante del processo di individuazione è il modo in cui gli uomini trattano il loro lato femminile e le donne il loro lato maschile, cioè l’affrontare l’Anima o l’Animus. Il confronto con la parte di sesso opposto e la misteriosa congiunzione con essa ci dà la possibilità di sperimentare e comprendere le polarità della psiche e del mondo, di uomo e donna, di uomo e Dio, di bene e male, di conscio e inconscio, di razionale e irrazionale», scrive Guggenbühl.

E continua:

«In che modo un uomo, giovane o vecchio, tratta la sua anima? Talvolta attraverso relazioni con donne reali, ma spesso soprattutto attraverso fantasie sessuali. Lo scopo di queste non è essenzialmente la procreazione o il rapporto umano, ma è di entrare in relazione con l’Anima».

L’ultima tappa sulla strada dell’individuazione è rappresentata dalla figura archetipica del Sé, la quale conduce ad un congiungimento dei due sistemi psichici parziali: la coscienza e l’inconscio. Questo compito è uno dei più gravosi che un uomo possa affrontare sul piano spirituale, si tratta infatti dell’unione degli opposti. In realtà però l’unione degli opposti rappresenta solo uno dei molti modelli o simboli che permettono il processo di individuazione. È comunque anche importante ricordare che la perversione può intendersi come un dissesto del tentativo di arrivare ad una dimensione di bilanciamento. Il processo d’individuazione nella sua interezza è quindi da intendersi quale una integrazione progressiva di contenuti inconsci, che porta ad una sintesi sempre più ampia tra la coscienza che ha l’Io come suo centro, e l’inconscio. Sappiamo che la psiche non è identica alla coscienza e che la totalità della psiche può essere compresa solo come un sistema dinamico di coscienza e inconscio. In questo sistema relativamente chiuso, tutto ciò che di psichico viene in associazione con l’Io diviene cosciente, altrimenti rimane inconscio7. Tale concetto della psiche quale “sistema autoregolantesi”, in virtù di una relazione compensatrice tra coscienza ed inconscio è la cosiddetta teoria della compensazione che Jung definì «la legge base del comportamento psichico»8 e che di fatti diviene il corollario del concetto di individuazione.

Le perversioni mostrano gli ingranaggi della funzione compensatrice dell’inconscio: ciò che manca nel paziente a livello conscio si può trovare nell’inconscio; e ciò che è inconscio nel paziente si può trovare nella proiezione che questi fa sulle altre persone o su aspetti parziali delle altre persone. D’altronde uno degli aspetti singolari del comportamento di soggetti che soffrono di deviazioni sessuali del tipo in discussione è in seno proprio al legame che loro hanno con gli oggetti parziali; essi possono sentirsi forti, o completamente forti, solo in certe specifiche condizioni, il feticista ha bisogno del suo feticcio, il travestito del suo vestito sentendosi parzialmente o completamente impotenti, se non sono presenti queste speciali condizioni. Le fantasie perverse spesso contengono quegli elementi aggressivi che non riescono ad emergere nella vita reale in rapporto con l’Altro e che dunque mancano nel comportamento conscio. Secondo il pensiero di Anthony Storr, psicoterapeuta inglese di formazione junghiana, i feticisti e i travestiti sono persone che, a causa di un certo tipo d’immaturità, si sentono inadeguati come uomini e i loro sintomi sono uno sforzo compulsivo per rimediare a questa situazione, mediante un tentativo di trasferire la virilità da un’altra persona- sia essa maschio o femmina- a sé.

Per quanto riguarda il modo macchinale e infrenabile dei sintomi, caratteristico della perversione, Guggenbühl dice:

«È molto difficile da comprendere la caratteristica compulsiva della maggior parte delle fantasie sessuali, ma specialmente di quelle più o meno deviate. Molte fantasie e pratiche sessuali deviate diventano estremamente coercitive ed è proprio questa coercizione che spesso porta la persona a difficoltà sociali. La compulsività è, in complesso, un fenomeno assai interessante, che cominciamo appena a comprendere. Ma non ritengo che la natura compulsiva di una parte della vita sessuale contraddica il suo carattere di individuazione; potrebbe anche essere che la natura coercitiva di alcuni degli impulsi sessuali abbia una connessione simbolica con l’inevitabile necessità dell’individuazione. Quanto più ci si oppone alla compulsività, tanto più questa cresce. E forse un motivo per cui particolarmente le fantasie più deviate possono diventare cosi coercitive è dato dal fatto che esse sono denigrate, disprezzate, combattute. È uno spirito in forma brutta e conturbante che di tanto in tanto rifiuta di essere respinto. I tentativi di normalizzazione spesso fanno veramente violenza alla psiche».

L’ intuizione che Jung ha dato è che i sintomi, anche perversi, hanno un valore per lo sviluppo della personalità e tale intuizione può dimostrare che questi disturbi rappresentano uno sforzo verso la normalità, piuttosto che un volo per allontanarsene9.

Già nel 1924, in un lavoro poco noto, Il problema amoroso dello studente10, Jung definiva le perversioni sessuali come quei fenomeni sessuali che poco o nulla hanno a che fare con una relazione avvicinandoci già all’idea clinica contemporanea per la quale al semplice criterio pulsionale di perversione s’affianca il ruolo che l’Altro ha nella mente del soggetto. L’introduzione di questa categoria relazionale segna il passaggio dal registro della morale, come obbedienza alla legge, a quello dell’etica, attinente alla ricerca del bene a partire dalla propria coscienza. Non siamo, dunque, più di fronte alla domanda se questo comportamento sia naturale o culturalmente accettato ma di fronte a un’altra domanda: «Ma chi è l’Altro?». L’introduzione di questa categoria allarga il concetto di perversione oltre l’ambito della vita sessuale lasciando intravedere la sua complessità. Ed è su tale direzione che si appoggia anche il costrutto della fenomenologia esistenziale.

 

La prospettiva fenomenologico – esistenziale di Minkowski

«Non perversioni sessuali, bensì perversioni, o meglio ancora, deviazioni dalla vita amorosa; e non si tratta certo di una semplice questione di parole»11, così scrive Minkowski, celebre psichiatra russo naturalizzato francese, nel suo Trattato di Psicopatologia. Le perversioni, in un’ottica fenomenologico – esistenziale, mettono in evidenza una “dialettica perturbata dell’amore con il mondo”. Lo studio delle perversioni – già nell’originario solco antropologico di von Gebsattel – non si era centrato su pulsioni elementari e parziali, bensì sull’Eros nel suo aspetto sintetico ed umano. Secondo tale corrente, ciò che caratterizza i soggetti perversi non è tanto una primitiva ricerca di piacere quanto una presa di posizione nascosta della personalità contro la possibilità dell’attrattiva elementare da parte di una persona verso un’altra. Non predomina, dunque, una fissazione su una pulsione parziale e isolata che sbarra la via ad un’evoluzione della vita amorosa; al contrario, prevale l’assunto che la vita amorosa, destinata a seguire la propria via verso una piena fioritura, si trova rifiutata, e, pur conservando alcuni caratteri fondamentali da cui non può discostarsi, devia, per reazione, dal suo “oggetto”. È Minkowski ad affermare che forse la vita amorosa non si costruisce su pulsioni parziali anche se la tendenza verso la sua realizzazione si ritrova, al principio, almeno potenzialmente, in ciascuna di esse.

La corrente antropologica aveva già postulato l’inversione dell’orientamento normale dell’amore e la palese distruzione del senso erotico che determina il contenuto eccitante degli atti perversi. Il godimento del sadico, secondo tale prospettiva, deriverebbe dal carattere “contrario alla norma”, dal fatto cioè di insultare, profanare, aggredire, avvilire, “deformare” tanto il partner che se stessi12.

La dimensione della deformazione di sé e dell’Altro che pone una deviazione della sessualità al centro delle perversioni, seppur ragionevole, secondo Minkowski, non rende conto né del “come” né del “perché” di tale deviazione svelando quanto, stando alle sue parole, «la corrente antropologica misconosce la realtà amorosa dei perversi nella stessa misura in cui la psicoanalisi l’aveva per parte sua mutilata», tanto che il problema viene sanato, secondo lui, quando la lettura da antropologica si fa fenomenologico-esistenziale per opera di Ludwig Biswanger. Biswanger, trascendendo di molto i fattori esclusivamente individuali, approfondisce singolarmente la conoscenza dell’amore concependolo come un modo particolare ed unico di “essere nel mondo”, un modo essenzialmente a due (dualer Modus), irriducibile ai fattori individuali e tale che questi fattori, nei suoi confronti, non sono altro che modi ristretti dell’esistenza nel mondo. L’amore nella sua pienezza, sul piano dell’esistenza, è un continuo dare e ricevere, e in tal senso, è sempre “maschile” e “femminile” allo stesso tempo.

Il senso profondo del noi (echte Wirheit) avviene quando entrambi i suoi membri sono in posizione creativa-produttiva e creativa-ricettiva. La modalità d’esistenza a due può essere messa in causa, fatta vacillare, compromessa dalla modalità di esistenza striminzita ed isolata, minacciata e carica d’angoscia, centrata sull’Io con il suo bisogno di potenza e di dominazione. Le perversioni si fondano sul predominio di questa modalità d’esistenza che sovverte l’Altro, facendo eclissare “l’essere in due”, rilevando una perturbazione della maturazione affettiva che genera forme mutilate d’amore.

Nelle perversioni a collassare è la reciprocità, concetto intimamente collegato a quello dell’alterità. La caduta psicopatologica di questa categoria avviene in chiave di “incontro mancato” (Vergegnung), cioè di incapacità o impossibilità a strutturare ciò che Bruno Callieri ha definito l’esperienza dialogica del “noi” (das wirhaftes Zwischen)13. È così che si potrebbe considerare il contributo della fenomenologia esistenziale alle perversioni, nei suoi studi delle distorsioni umane dell’incontro e di distorsione della comunicazione interumana avvicinando alla clinica delle perversioni quella delle psicosi, dove avviene il medesimo scacco della reciprocità. Ciò che caratterizza la perversione è la rappresentazione di un surrogato vissuto del Noi, dove avviene una vera e propria “scomparsa del partner”, un vanificarsi della sua co-presenza e tale modo distorto dell’incontro e della relazione consente di cogliere, per sottrazione e con singolare efficacia, tutta la portata pratica e l’intensità teoretica di quel peculiare modo dell’esserci.

Nella perversione la corporeità quasi sempre viene a mancare della sua natura duale, non si tratta più di un corpo sessualizzato (Leib) quanto di una modalità d’esistenza legata al corpo in quanto carne (Körper). La distinzione tra amore e perversione è contenuta nel modo di vivere il proprio desiderio: come apertura o come chiusura verso l’Altro. Perverso è quel desiderio che non desidera l’Altro bensì se stesso che si vive senza reciprocità, senza, cioè, che il corpo abbia la possibilità di trascendersi in un altro corpo. Allontanando la passione per l’Altro nel suo corpo proprio e vissuto, per divenire semplice azione sulla carne dell’Altro, sul corpo oggetto, il desiderio del perverso mira solo a se stesso senza riuscire mai ad entrare in contatto con un corpo ma sempre di fronte ad una carne che lo fa estinguere con quel piacere che è oggetto del desiderio ma che allo stesso tempo è anche la sua inevitabile sconfitta»14.

Si tratta di un piacere non condiviso per cui la capacità di incontro del perverso può ridursi esclusivamente a reificazione e a manipolazione della cosa corporale (Körperding). Deciso a non trascendersi e a non giocare la propria identità nella dimensione intersoggettiva, il corpo-che-ho (Körper) del perverso non conosce la passione dell’Altro perché il suo modo di esprimersi è quello dell’azione che desidera solo appropriarsi della carne dell’Altro non curandosi del suo patire come non è sensibile al corpo proprio, ridotto a strumento per il piacere. La carne dell’Altro, nell’atto perverso, diviene dunque o-scena, poiché sottratta e distrutta è in tal caso la scena d’amore15.

Stando al pensiero di Sartre, tutte le perversioni nella misura in cui sottraggono all’Altro la soggettività per ridurlo a pura opacità della sua carne giocano con la morte, nella quale la soggettività si estingue e il corpo si immobilizza16. La sessualità perde così la sua ambivalenza che sta alla base dell’equivalenza simbolica che fa coincidere la sessualità con la vita.

Nell’analisi della perversione da una prospettiva esistenzialista, nell’atteggiamento erotico sadico, il soggetto pretende l’oggettività dell’Altro quale completa sottomissione ma pretende anche contemporaneamente la soggettività dell’Altro, pretende cioè che l’Altro «voglia essere oggetto»17; l’aspirazione del sadico non è avere in potere un oggetto ma un soggetto che voglia essere un oggetto per lui, per questo si può parlare di simmetria tra la questione sadica e quella masochista e di quanto sia un artificio di forma la loro separazione. Nel sadomasochismo, infatti, come nelle perversioni in generale, la sessualità perde la sua funzione procreativa od affettiva e diviene una modalità patologica di vivere un distorto rapporto con l’Altro, con sé e con il proprio corpo18.

 

Conclusioni

In Boss, autore con il quale si è aperto il presente scritto e sul quale si desidera fare ritorno in sede di riflessioni finali, è prezioso riconoscere come abbiano dialogato, per tutta la sua carriera una formazione psicoanalitica ed una formazione antropoanalitica. La coesistenza di due posizioni diverse non è mai stata iatrogena per Boss anzi forse gli ha permesso di avvicinarsi allo studio delle perversioni con un’innegabile convinzione: quella che l’analisi della perversione nel corso di un trattamento psicoanalitico non possa essere sostituita, sul piano pratico, da dimostrazioni di natura esistenziale poiché diventa esperienza vissuta dal soggetto solo quello che tocca direttamente le sue concrezioni individuali. Boss, tuttavia, riteneva che le perversioni non possano che essere comprese sotto l’angolo fenomenologico- esistenziale sostenendo che il modo di vedere così acquisito possa esercitare la propria influenza sul terapeuta, determinando anche il suo modo di procedere nel corso della cura che, sul piano puramente psicoanalitico, rischierebbe di non proseguire più.

Ciò che si potrebbe proporre in un rilancio di intenzioni, non è tanto che la fenomenologia esistenziale produca una metodologia terapeutica ma che la terapia psicoanalitica riconosca in essa una possibilità per chiarire, esplorare, indagare il proprio statuto metodologico.

«L’analitica esistenziale- scriveva Boss- non può offrire allo psicoanalista pratico quasi nessun concetto, termine o espressione, bensì “soltanto” una maniera di atteggiarsi e di comportarsi di fronte ai pazienti e al processo curativo, una maniera molto riservata e perciò tanto più fondata e consapevole»19. E ciò risulta pensabile tanto più quando si parla di perversioni che, nelle sue varie forme, rappresentano forse l’unico vero scacco etico della vita sessuale20.

Daniela Mallardi
Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico

 

NOTE

  1. Boss, Senso e contenuto delle perversioni sessuali, Sugar, Milano, 1962
  2. Lolli, Devazioni strategiche nell’interpretazione della femminilità, in Il manifesto, 19 luglio 2015
  3. Guggenbühl, Psicologia junghiana e psicopatologia sessuale, in «Rivista di Psicologia Analitica», Marsilio, Padova, IV, 2, cap. 12, 1973
  4. Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino, 1968, pp. 463-465
  5. Jung, L’Io e l’inconscio, Boringhieri, Torino, 1977, p.134
  6. Jacobi, La Psicologia di C.G. Jung, Boringhieri, Torino, 1973, p. 137
  7. Adler, Tecnica del trattamento nella psicologia analitica, in «Rivista di Psicologia Analitica», Marsilio, Padova, I, 2, cap.2, 1970
  8. Jung, L’applicazione pratica dell’analisi dei sogni, in Realtà dell’anima, Boringhieri, Torino, 1963, p. 81
  9. Storr, La Psicopatologia del feticismo e del travestitismo, in «Rivista di Psicologia Analitica», Marsilio, Padova, III, 2, cap. IV, 1972
  10. Jung, Il problema amoroso dello studente, in Opere, Vol. 10, tomo 1, Boringhieri, Torino, 1985
  11. Minkowski, Trattato di psicopatologia, Giovanni Fioriti, Milano, 2015, p. 483
  12. von Gebsattel, Moral in Gegensatzen. Dialektische Lengenden, Müller, Monaco, 1911
  13. Callieri, Appunti per una Psicopatologia della Reciprocità, in «Attualità in Psicologia. Trimestrale di Studi ed Esperienze in Psicologia, Psichiatria e Neuropsichiatria», Universitarie Romane, Roma, 2, XIV, p.149-154
  14. Martinotti, Fenomenologia della corporeità. Dalla psicopatologia alla clinica, Universitarie Romane, Roma, 2009, p.128
  15. Galimberti, Il corpo: antropologia, psicoanalisi, fenomenologia, Feltrinelli, Milano, 1983
  16. P. Sartre, L’être et le néant. Essai d’ontologie phénoménologique, Gallimard, Parigi, 1943
  17. Torre M., L. Valente Torre, Sesso e intersoggettività. Analisi esistenzialista, Minerva Psichiatrica, Torino, 28, pp.65 -70, 1987
  18. Berra, “La sessualità: una visione esistenzialista”, in Dasein Journal, Torino, 11, 6, 2016, p.105
  19. Boss, Psicoanalisi e analitica esistenziale, Astrolabio, Roma, 1973, p. 86
  20. S. Benvenuto, Perversioni. Sessualità, etica, psicoanalisi, Boringhieri, Torino, 2005

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