2017 NICOLETTA BRANCALEONI L’alterità dell’altro nella clinica e nei legami sociali

«Certe donne depravate rivoltesi a Satana e sviate dalle sue illusioni e seduzioni credono e affermano di cavalcare nottetempo certe bestie, in compagnia di una moltitudine di donne, al seguito di Diana»
(da Canon episcopi, IX secolo)

 

Parlare di perversione è paragonabile al camminare su un terreno ghiacciato: è praticamente impossibile non scivolare!

Siamo portati a dare immediatamente a questo termine una connotazione peccaminosa, eccessiva, di qualcosa che va al di là. Ma al di là di cosa?

L’argomento è così ingannevole che produce una grande confusione dovuta al fatto che il termine perversione non appartiene esclusivamente alla clinica, ma fa parte del linguaggio popolare e del campo della morale fin da tempi molto molto lontani, quelli delle eresie che, a partire dal Medioevo, per alcuni secoli, sono state duramente perseguitate dalla Chiesa cattolica.

“Eresia” e “perversione” sono trattati in associazione tra di loro, quasi sinonimi o comunque indisgiungibili; se ne trovano tracce, ancora, nel 1745, in Istoria di tutte le eresie . Descritta da Domenico Bernino. Sin all’anno 1700. Alla Santità di N.S. Clemente XI, testo pubblicato a Venezia.

Dopo soli 152 anni, Sigmund Freud scrive:

«Un giorno ho letto che l’oro che il diavolo regala alle sue vittime si trasforma regolarmente in sterco; e il giorno appresso il signor E., mentre mi stava raccontando i deliri della sua governante relativi al denaro, tutt’a un tratto mi dice (sulla traccia di Cagliostro l’alchimista fabbricatore d’oro-”cacatore di ducati”) che i denari di Louise erano sempre escrementi. Quindi, nelle storie delle streghe esso non fa che ritrasformarsi nella sostanza dalla quale proviene. Se soltanto arrivassi a capire perché, nelle loro confessioni, le streghe affermano sempre che lo sperma del diavolo è “freddo”! Ho ordinato una copia del Malleus maleficarum […]. Le storie sul diavolo, il vocabolario delle ingiurie popolari, le canzoni e le abitudini dei bambini, tutto acquista ormai senso per me. […] Sto incominciando a credere che nella perversione, di cui l’isteria è la negativa, possano esservi residui di un ancestrale culto sessuale, che un tempo può esser stato una religione nell’Oriente semitico (Moloch, Astarte) […]. Gli atti di perversione sono, del resto sempre gli stessi, hanno sempre un significato preciso e sono basati su un modello che prima o poi si riuscirà a comprendere. Immagino dunque un’ancestrale religione diabolica i cui riti continuano a essere compiuti in segreto, e ora comprendo la severa terapia che usavano i giudici delle streghe. Tutto si ricollega»1.

La “severa terapia” a cui si riferisce Freud è ben descritta proprio in Il martello delle streghe (Malleus maleficarum), redatto da Heinrich Institor e Jakob Sprenger Kramer, due tra i più conosciuti inquisitori incaricati da Innocenzo VIII di «punire, incarcerare e correggere» le persone «infette dal crimine della perversione eretica».

« […] il loro volto è un vento che brucia e la loro voce è il sibilo di un serpente […] Il loro cuore è una rete, cioè imperscrutabile è la malvagità che regna nel loro cuore e […] una cosa insaziabile che non dice mai basta: la bocca della vulva per cui esse si agitano con i diavoli per soddisfare la loro libidine»2.

Come non considerare che la perversione non è mai stata svincolata dal campo delle azioni sessuali ed ancora oggi viene quasi automaticamente associato alle perversioni sessuali?

Navigando nel web, dai primi risultati che appaiono, questa concezione viene consolidata: la perversione è dell’ordine della sessualità, sembrerebbe quasi esclusivamente …

In un sito se ne trova un elenco di oltre cento, di queste “perversioni sessuali”, con relativa spiegazione “scientifica”. Tuttavia scorrendo quell’elenco ci si accorge che neppure il tentativo nosografico riesce ad essere chiarificatore poiché, aldilà di alcune definizioni che appartengono al feticismo, in realtà non tutti i fenomeni descritti riguardano esclusivamente il campo della sessualità (ammesso che si possa stabilire con certezza che cosa appartenga a codesto campo).

D’altronde già Freud, a partire dai Tre saggi del 1905, associa questo significante a quello di aberrazione sessuale, di deviazione rispetto alla meta o all’oggetto. Basta guardare l’indice di quest’opera per comprendere come le sue descrizioni e dissertazioni teoriche abbiano influito, e continuino a farlo, nel delineare il fenomeno “perversione”.

Lungi dal tacciare il nostro maestro di oscurantismo, ci sembra ovvio immaginare che, secondo l’ottica del tempo (la regina Vittoria era morta da quattro anni e lo stesso Freud era cittadino dell’impero austroungarico), la tendenza al mantenimento di certi formalismi e il riferimento a costanti culturali rassicuranti per la borghesia, seppur illuminata, come nel suo caso, non poteva essere messa in discussione più di quanto egli non avesse già fatto.

Riporto la bella descrizione di M.T. Maiocchi, che gli rende onore: «[…] un ebreo buon borghese della Vienna della belle époque, che affronta impavido la questione del desiderio inconscio, che interroga il legame del soggetto umano con il mondo di articolazioni simboliche da cui nasce e con gli effetti di paradosso che ne derivano, mai censurati nel coraggioso realismo clinico della sua ricerca, a prezzo di qualche aporia. “Resti” li chiamerà nel ’37, i limiti dell’analizzabile»3.

Dobbiamo provare a pervertire le perversioni

Ma oggi, in realtà, nuovi fenomeni pervadono la nostra vita quotidiana; pensiamo, ad esempio, alla diffusione dei social che quasi costringono i ragazzi, e non solo, ad essere perennemente dei “guardoni” della vita altrui. Tutto ciò influenza molto pesantemente la formazione di nuovi e sconosciuti legami sociali che, a loro volta, si ripercuotono anche negli aspetti educativi sia all’interno della famiglia che nelle istituzioni.

Mi viene in mente il titolo di opere di S. Žižek, filosofo e psicoanalista di fama, tanto amato e altrettanto detestato: Il cuore perverso del cristianesimo e Leggere Lacan. Guida perversa al vivere contemporaneo, in cui viene accostato in modo stravolto, rovesciato (perversus, in latino!) l’aggettivo “perverso” ai due significanti di cristianesimo e lettura lacaniana.

Mi vengono in mente le parole dei giovani pazienti che fanno esperienze sessuali con persone dello stesso genere, senza peraltro potersi definire omosessuali.

E mi viene anche in mente che, proprio in quest’ottica, l’OMS ha sostituito il termine perversione con quello di parafilia, con l’intento evidente di allontanare il fenomeno dalla questione morale e attribuirgli un carattere meno giudicante.

E se, nella clinica psicoanalitica e psichiatrica classica, finora, si è stati portati a considerare il fatto che è praticamente quasi impossibile avere a che fare con i perversi, poiché avendo la possibilità di arrivare al loro soddisfacimento attraverso le loro pur particolari vie, non hanno da chiedere nulla, forse dobbiamo fare un salto e chiederci se le modalità di chiedere qualcosa ma poi essere determinati a non volere quel qualcosa, questione assai frequente nei nostri pazienti, non sia in realtà una nuova forma di manifestazione di quell’andare aldilà.

Dice E. Perrella: «Tutte le perversioni, anche quelle in apparenza più innocue, in altro non consistono che nel misconoscimento dell’alterità dell’altro: e questa è una colpa morale anche nei casi in cui non può considerarsi una colpa dal punto di vista del diritto»4. Queste parole hanno il merito di riconsiderare la perversione in un’ottica che possa tenere conto anche di fenomeni di tipo sociale, fenomeni che permeano la vita di tutti noi e di cui i nostri pazienti ci offrono gli aspetti spesso scabrosi e ostili a possibili trattamenti.

Comportamenti perversi?

Molto di recente  due persone, che vedo da poco tempo e per le quali non mi è possibile formulare, ancora, un’ipotesi di diagnosi, mi hanno parlato di due fatti che hanno delle evidenti analogie.

Sandro, 40 anni, professionista in carriera che sta affrontando una separazione, viaggia molto per lavoro e dice di vedere pochissimo i suoi tre bambini, ma una sera, l’ennesima, in cui il figlio di sette anni non voleva mangiare, lui ha deciso di punirlo e, mettendolo accanto al lavandino per evitare di sporcare intorno, gli ha rovesciato il cibo sulla testa.

Marta, invece, è una donna dimessa, semplice, ha due figli piccoli, di cinque e un anno, dei quali si prende molta cura e di cui parla con orgoglio. Marta si è ammalata di cancro a 34 anni, ora sono trascorsi due anni dall’intervento e le notizie sono confortanti. Ha iniziato da poco un percorso; motivandolo “ufficialmente” a se stessa con il fatto che il suo bambino più grande non è in grado di parlare in modo comprensibile e lei vorrebbe aiutarlo, dicendo però, in modo assolutamente contraddittorio, che non vuole che lui incontri un neuropsichiatra «se no a scuola gli danno il sostegno». Parla delle difficoltà del bambino con una apparente consapevolezza, ma subito dopo nega le evidenze e afferma che tanto un giorno, crescendo, i problemi saranno affrontati e lui imparerà “da solo” a parlare. Mi dice che un giorno, in strada, questo suo figlio ha piantato un capriccio molto insistente, urlando e gettandosi a terra e lei si è trattenuta dal punirlo in pubblico. Però: «non ci ho visto più quando mi ha sfidato dandomi una specie di calcio e allora quando siamo tornati a casa l’ “ho pistato di botte”, senza nemmeno digli perché. Il bello è che lui neanche piangeva!».

In tutte e due le situazioni, pur trattandosi di persone di formazione ed estrazione sociale e culturale molto diverse, entrambi sembrano irremovibili sulla valenza educativa dei loro atti che, a loro avviso, servirebbero a non far accadere più episodi del genere.

Quello che mi ha colpito, in entrambi, è la ferrea convinzione di poter agire sui propri figli senza alcun rispetto della loro soggettività, senza tener conto della loro paura di fronte alla violenza di un genitore. Due sono le questioni che si possono abbozzare rispetto a queste due brevi narrazioni cliniche:

qual è il posto che viene assegnato a questi bambini?

E, seconda: questi comportamenti possono aiutarci nel formulare un’ipotesi diagnostica o sono solo comportamenti che riflettono tratti perversi che tutti possediamo e diventano frutto dell’adesione a pratiche educative che fino a non molto tempo fa erano ritenute valide e che oggi, alla luce di tanti cambiamenti, dovrebbero essere condannabili? Insomma, possiamo ipotizzare in base a questi atteggiamenti di desoggettivazione nei confronti dei figli, che si tratti, in questi casi di soggetti perversi tout court?

In entrambi questi genitori, sembra operante il meccanismo della sconfessione che è alla base della perversione, intesa, secondo Perrella, in senso lacaniano di struttura soggettiva: «Una sconfessione (Verleugnung) consiste nel fatto che una parte dell’io tiene conto di un determinato contenuto di sapere, mentre un’altra parte preferisce ignorarlo»5.

«Nessuno è in analisi come perverso, allo stesso modo in cui nessuno è in analisi come psicotico […]. Un soggetto perverso, se esiste, penserà certo a tutt’altro che a liberarsi dalla sua principale fonte di godimento (e quindi penserà a tutt’altro che a fare un’analisi!). E se invece volesse liberarsene, come potremmo affermare che egli si rivolge a noi come perverso? Egli lo farà sicuramente da una diversa posizione soggettiva»6.

Figli con i titoli in tasca

Questi due piccoli esempi aprono anche una questione che lega la clinica alla costruzione dei legami sociali e alla loro dimensione immaginaria e simbolica.

Accettare che il proprio figlio non sia un prolungamento di sé, un sostegno, anche se inconsapevole, al prorpio narcisismo è un passo indispensabile per allontanarsi dalla logica perversa del mancato riconoscimento della soggettività dell’altro. Per far sì che il bambino non si identifichi illusoriamente con il fallo materno.

Ed «È nella misura in cui un padre è amato che il soggetto si identifica con lui e trova la soluzione terminale dell’Edipo […] potrà ormai diventare qualcuno, ha già i titoli in tasca …»7.

Dice Lacan: «Tutto il problema delle perversioni consiste nel concepire come il bambino, nella sua relazione con la madre, relazione che nell’analisi è costituita non dalla dipendenza vitale, ma dalla dipendenza dal suo amore, cioè dal desiderio del suo desiderio, si identifichi all’oggetto immaginario di questo desiderio in quanto la madre stessa lo simbolizza nel fallo». Ed ancora:

«Freud ha dunque svelato questa funzione immaginaria del fallo come processo simbolico che compie nei due sessi la messa in questione del sesso da parte del complesso di castrazione. Il fatto che questa funzione del fallo (ridotto al ruolo di oggetto parziale) sia stata messa in ombra nel concerto analitico, è solo il seguito della profonda mistificazione in cui la cultura ne mantiene il simbolo, da intendersi nel senso per cui lo stesso paganesimo lo esibiva solo al termine dei suoi più segreti misteri.

Infatti nell’economia soggettiva come noi la vediamo, cioè comandata dall’inconscio, si tratta di una significazione evocata unicamente da ciò che chiamiamo una metafora, e precisamente una metafora paterna. […] l’attribuzione della procreazione al padre può soltanto essere effetto di un puro significante, di un riconoscimento non del padre reale ma di ciò che la religione ci ha insegnato a invocare come Nome-del-Padre. Certo non v’è bisogno di un significante per essere padre, non più che per essere morto, ma senza significante nessuno saprà mai niente dell’uno o dell’altro di questi stati d’essere»8.

Queste parole di Lacan in Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento delle psicosi spostano il discorso “perversione” su un piano simbolico, nel senso che l’attenzione non verte più sulle possibili gratificazioni o frustrazioni che una madre può permettere al suo bambino affinché egli possa sviluppare in un modo “sano e normale”, così come le teorie postfreudiane, kleiniane, delle relazioni d’oggetto o che dir si voglia intendono trasmettere, ma ci si rivolge ad un soggetto diverso.

È un soggetto che non può mai essere intero in quanto la sua esistenza è segnata dalla relazione con il significante. «Il fallo è il significante privilegiato di questo marchio in cui la parte del logos si congiunge con l’avvento del desiderio»9.

Dalle parole di Lacan emerge con gran forza quanto il discorso del soggetto non possa che essere avvinghiato al piano simbolico, al discorso dell’Altro della cultura che offre i simboli ai quali fare riferimento e che passano inevitabilmente anche nella costruzione dei legami sociali.

E, quindi, si apre il discorso più generale che permea la nostra società rispetto al ruolo che i bambini assumono nella famiglia. Ma di quale famiglia parliamo?

La famiglia tradizionale che vedeva come necessari i processi di differenziazione e di separazione dei propri figli è, con ogni evidenza, in crisi. Spesso si vive il nucleo familiare come una sorta di cittadella da difendere da possibili espugnatori, rinchiusa in abitudini e routines, svincolata da legami sociali significativi ed in preda al godimento perverso del comprare oggetti, un godimento che ha trovato la sua via autofagocitante e che non ammette domande.

Alla mercé della scienza

«L’erosione della funzione paterna si accompagna poi anche a quella della funzione della legge. Infatti la scienza, che si fa promotrice di un tipo di verità che invalida la verità paterna (quella del non-tutto-dicibile), non muove solo dall’ideale del tutto spiegabile, ma anche dalla promessa del tutto-possibile […] Portando alle estreme conseguenze il ragionamento, la scienza, in termini psicoanalitici, tenderebbe nientemeno che al compimento di una sorta di incesto, se con questo termine intendiamo il congiungimento del soggetto con la propria origine, l’appropriarsi di quanto gli è strutturalmente altro»10.

Queste le efficaci, a mio avviso, parole di F. Stoppa in L’offerta al dio oscuro, nel quale viene spiegato il rischio che è insito nel nostro affidarci alla scienza.

In questa opera, del 2002, l’autore tratta del “male” mettendo in parallelo la realtà del lager nazista con la città fantastica di Sade e, questione originale ed intrigante, con alcuni sviluppi della scienza.

L’olocausto eliminatore di differenze è l’esempio estremo di quanto teorizzato da Sade. La città sadiana, il lager nazista ed il mercato globale ambiscono ad un programma di desoggettivazione.

D’altronde la differenza e la sua accettazione sono qualcosa di difficile e doloroso da sopportare.si tratta di assumere una posizione di responsabilità che prevede il misurarsi con il sistema simbolico e vedersi come punto eccentrico, trovare quel non-luogo da cui si nasce come soggetto con il proprio reale. E comprendere che la comunità umana è incontro di differenze.

Il soggetto, come ci dice Lacan, entra nel campo umano, cioè il linguaggio, come assenza, mancanza. Per questo non si può riconoscere totalmente né nel linguaggio, né nella natura (biologico) e questa è, paradossalmente, la sua fortuna perché gli apre il campo dell’etica in cui può scegliere, operare trasformazioni nel reale e prendersi cura del simbolico in rapporto al progresso. Tutto ciò è difficile e complesso: non ci sono garanzie e la differenza propria pone in una situazione di precarietà. È più semplice usare difese di tipo proiettivo attraverso le quali non riconoscere la propria alterità, dirottandola verso qualcuno che appare come alieno e ostile.

In questo modo si sviluppa il razzismo, ad esempio l’antisemitismo, in cui l’altro diventa il ricettacolo di un godimento maligno. È un altro che, colto nel suo reale, nella cifra del suo essere e del quale non si vuole sapere nulla perché ha una sostanza diversa, incerta e mutante, provoca orrore. Ci si allontana inorriditi, perché provoca invidia. È proprio questo il caso degli ebrei, con la loro capacità di contaminarsi con altre culture, il loro essere itineranti, è esplicativo di questo meccanismo. I tedeschi, alla ricerca di una totale purezza delle origini, li vedevano come pericolosi in quanto non riuscivano a ricondurli in un campo determinato e preciso di significanti.

Utopia comune tra Sade e nazismo: creare un mondo nuovo ed un uomo nuovo, avvicinandosi ad un ideale di modernità, per superare i limiti dell’esistenza sia quelli naturali, sia quelli imposti dalle strutture simboliche.

L’eroe sadiano non nasconde la sua volontà di potenza e la sua unica legge è il godimento, con la rinuncia alle rassicuranti leggi della civiltà. Infatti il male va a colpire il sistema simbolico e anche il linguaggio diventa uno strumento per esercitare il potere assoluto ed eliminare la soggettività dell’altro (come non pensare alle pubblicità che martellano la nostra mente per renderci compratori telecomandati?).

Come fare ad eliminare la soggettività dell’essere umano, «quella sorta di malattia del creato»?

Dolore e godimento sono i rimedi alla divisione soggettiva. Attraverso il male si attacca il cuore nascosto della soggettività e si blocca la spinta verso l’altro, quel “qualcosa che si chiama amore”.

La scienza, dittatrice assoluta del pensiero contemporaneo, elimina il mistero e quindi abbatte il non sapere e l’indicibilità dell’umano, così come avviene nel progetto sadiano e in quello dei lager e la mancanza che è propria del soggetto viene oggi riassorbita dal “mercato onnirispondente”11.

 Assenza di logos nell’educazione

Purtroppo questo tipo di atteggiamento pervade ormai tutti i campi culturali e, non da ultimo, quello educativo o pedagogico che dir si voglia, quando riguarda le istituzioni.

Il calare il discorso scientifico in quello pedagogico (a partire dai primi decenni del ‘900), trasformando i discorsi sull’educazione in “scienze dell’educazione”, ha imposto, a questo campo dell’Altro, un carattere di prevedibilità e di controllabilità tipici delle scienze esatte. Le teorie tayloriane rivolte all’industria americana per favorire ed accelerare la produzione, sono state considerate applicabili ai processi di apprendimento; si è voluta creare, inizialmente negli USA e a seguire in tutto il mondo occidentale, una scuola standardizzata con il pretesto di «raggiungere lo statuto scientifico, (la pedagogia) deve possedere le qualità comuni alle altre scienze le quali sono reputate verità di base conosciute e ammesse da tutti»12.

Il progetto educativo attuale prevede l’acquisizione di contenuti (pochi) e di tecniche (molte), volte al raggiungimento di tanti, tantissimi obiettivi suddivisi in varie discipline. Le conoscenze sono parcellizzate, nel tentativo, goffo, di offrire una comprensione graduale di quelle stesse materie e sviluppare “competenze”, ma con il risultato, rischioso a mio avviso, di polverizzare quanto si apprende. Tutto deve essere attentamente verificato e valutato dai docenti, dai dirigenti, dall’istituzione ministeriale (vedi Invalsi), a più livelli, per garantire la scientificità.

La questione è che il voler sistematizzare e formalizzare a-priori esclude, di fatto, la soggettività. Un processo-progetto educativo socialmente indispensabile, ma in cui la relazione logos-desiderio viene totalmente estromessa. Si opera in modo perverso, nella ricerca narcisistica (ma anche obbligata) della realizzazione dell’alunno perfetto, un alunno che risponda bene alle prove oggettive alle quali viene continuamente sottoposto. Insomma, tutto è spostato su un pericoloso piano immaginario in cui la logica dell’ascolto e quindi della soggettivazione è, a differenza di tempi più antichi, totalmente esclusa.

Lo studente è considerato come «fallo immobilizzato in un godimento perverso»13.

Tutto sembra rientrare in una logica perversa, dominata dalla concezione che tutto quello che rientra nel metodo scientifico è valido, proprio perché i risultati sono deludenti (come dimostrano le valutazioni internazionali, sempre sfavorevoli alla scuola italiana) e la scissione tra mondo della scuola e società è sempre più profonda.

Queste logiche educative perverse non si legano soltanto all’istituzione scolastica.

Il mercato globale vede nei bambini i più importanti acquirenti non solo di giocattoli, ma anche, ad esempio, di attività sportive per cui nell’immaginario attuale essere un/una bambino/a campione di un qualsiasi sport è altamente attraente. Si entra a far parte di un giro economico in cui oltre all’attività fisica vera e propria è necessario avere tutta una serie di oggetti e ammennicoli vari, senza i quali i genitori non riescono a realizzare il loro figlio-feticcio perfetto. Viene anche da pensare al mondo della moda e delle miss in cui le bambine, soprattutto, vengono esposte dai loro genitori come trofei.

Vivere oggi, quindi, significa essere in un mondo in cui si cade inevitabilmente, vista la diffusione dei mezzi di comunicazione che travalicano totalmente l’incontro con l’altro (e quindi spostano su un asse sempre più immaginario il legame sociale) tra le braccia di un grande perverso: il mercato globale, con il quale, volenti o nolenti, siamo costretti a fare i conti.

Un’interpretazione originale della perversione-creatività: Janine Chasseguet Smirgel

Nella letteratura sulle perversioni ci si imbatte necessariamente con il testo di J. Chasseguet Smirgel Creatività e perversione, del 1984; è un libro importante con una sua tesi originale in base alla quale l’A. sostiene che nei momenti di grandi sconvolgimenti sociali e politici (la caduta dell’impero romano, la rivoluzione francese e quella russa, l’avvento del nazismo) la possibilità di un qualcosa di nuovo che si possa realizzare, pare scatenare la volontà di distruggere la realtà e la verità sessuale; si ampliano in quei momenti i fenomeni di perversione, così come è facilmente leggibile attraverso opere d’arte: gli scritti di Sade, quale esempio associato alla rivoluzione francese, lo stupro e il suicidio di una protagonista dei Demoni di Dostoevskij per gli anni della rivoluzione bolscevica, i film L’uovo del serpente e La caduta degli dei di Visconti nei quali sono presenti molti travestiti nei cabaret che presero vita all’avvento di Hitler.

Partendo dal presupposto che le perversioni sono «una tentazione della mente comuni a tutti noi» e che «esiste un nucleo perverso latente in ognuno di noi», lo scopo della perversione, secondo l’autrice, è quello di sfuggire alla condizione umana, tentando di liberarsi dell’universo paterno e dalle leggi che ne conseguono per vivere in un simbolico, e non solo, caos, di cui i riti dionisiaci dell’antica Grecia, in cui si praticavano travestimenti sessuali, rappresentano un esempio. Il perverso tenta di sostituirsi al padre creatore per provocare il caos e realizzare un nuovo universo in cui tutto diventa possibile.

Se vengono abolite le differenze scompare la sensazione di essere piccoli, inadeguati e scompaiono assenza, castrazione, morte, dolore psichico.

«La mia ipotesi è che la perversione rappresenti una ricostruzione del caos, dal quale prende vita un nuovo genere di realtà, quella dell’universo anale. Questo prenderà il posto della dimensione psicosessuale genitale, quella del Padre. Il mondo della divisione e della separazione presuppone una psiche a tre dimensioni: tra madre, figlio e Padre creatore (ma in effetti la realtà stessa) che introduce la barriera dell’incesto»14.

Dopo una accurata analisi delle opere di Sade, Chasseguet Smirgel intraprende una sua interpretazione interessante riguardo all’arte, in cui ella avanza l’ipotesi che gli artisti che sono agiti dalla perversione producono delle opere d’arte che lei definisce “opere false”.

Le creazioni “false” hanno caratteristiche anali e mostrano un fallo da adorare, un pene fittizio, parente stretto del feticcio. Questo avviene poiché l’individuo perverso non si identifica con il padre e si limita a proiettare il proprio ideale dell’Io su oggetti e pulsioni pregenitali. Per mantenere l’illusione di essere all’altezza del padre deve idealizzare il suo fallo, che sarà un fallo magnificato e allo stesso tempo fittizio, come espresso dalle sue creazioni “fittizie”. Se non può identificarsi con il padre, la realizzazione di una creazione sarà basata solo sull’idealizzazione (processo di superstima dell’oggetto sessuale) e non sulla sublimazione che prevede che l’investimento libidico sia ritirato dall’oggetto sessuale e poi orientato nuovamente verso un altro oggetto e una altra meta che non abbiano carattere sessuale ma che producono un altro tipo di soddisfazione. Ciò implica le dimensioni della perdita e della mancanza, dimensioni impossibili per il soggetto perverso.

«Dato che è Il figlio di nessuno (titolo di un dramma di Henri de Montherlant), il creatore che sto descrivendo troverà difficoltoso essere il padre di un’opera genuina. L’identità che si è conferito è frutto di un’appropriazione necessariamente indebita, di un’usurpazione, poiché si basa sul fatto che il soggetto nega di essere un anello della catena delle generazioni. L’opera creata seguendo tali premesse vuole rappresentare spesso un fallo superiore al pene genitale paterno»15.

 Sublimazione versus perversione

L’interpretazione di Chasseguet Smirgel ha senza dubbio un suo fascino, ma chi può stabilire quali siano le opere false, frutto di artisti perversi? In base a quali fattori si può decidere questo?

Nella teoria lacaniana la sublimazione viene vista come una sorta di dibattito con l’Altro, «la reintroduzione di scambi immaginari e il ristabilimento del godimento nella relazione con l’Altro assoluto»16.

All’interno di questa posizione, per me più condivisibile, viene da chiedersi quali siano i fattori che muovono la sublimazione nelle diverse epoche storiche.

Sono bellissime, a questo proposito, le parole di Umberto Eco nell’introduzione a Storia della bruttezza: «Se un visitatore venuto dallo spazio entrasse in una galleria d’arte contemporanea, vedesse volti femminili dipinti da Picasso, e sentisse che i visitatori li giudicano “belli”, potrebbe farsi l’idea errata che nella realtà quotidiana del nostro tempo si ritengono belle e desiderabili creature femminili dal volto simile a quello rappresentato dal pittore. Tuttavia questo visitatore potrebbe correggere la sua opinione visitando una sfilata di moda o un concorso di Miss Universo, in cui vengono celebrati altri modelli di bellezza. A noi, invece, questo non è possibile; nel visitare epoche ormai lontane, non possiamo fare verifiche, né in relazione al bello, né in relazione al brutto, perché di quelle epoche ci sono rimaste solo testimonianze artistiche».

L’opera d’arte non è identificabile con il bello, istanza assolutamente indefinibile. Questo è piuttosto ovvio e ormai scontato.

«La sublimazione è la scoperta di una forza che non ha niente a che vedere con il bello perché dopo questa scoperta si rivela la forza che oltrepassa in noi stessi la ragione»17, dice E. Laurent, aggiungendo che l’arte moderna si muove nella dimensione del sapere e non della verità. Ed inoltre: «Tutta la sublimazione del nostro tempo vuole produrre un discorso sulla fuga di senso, però il suo onore è di non dimenticare l’effetto di godimento»18.

Effetti di godimento …perverso

«C’è l’uomo immobile al centro della galleria mentre un collega gli spara una serie di proiettili nel braccio. Questa è arte. C’è l’uomo coperto di tatuaggi che si è messo in testa una corona di spine. Questa è arte. C’è la donna che dipinge con la vagina. Questa è arte. Ci sono l’uomo e la donna nudi che si scagliano l’uno contro l’altra, ripetutamente, a velocità sempre maggiore. Questa è arte, sesso e aggressività. C’è l’uomo che indossa biancheria femminile insanguinata mentre si scopa una montagna di carne tritata. Questa è arte, sesso, aggressività, critica culturale e verità. C’è l’uomo che si pianta chiodi nel pene. Questa è semplice verità»19.

Questo uno stralcio tratto dal romanzo di Don Delillo, Body art che ci induce a riflettere su quale sia la sublimazione, in questi casi in cui il corpo viene trafitto e violentato nel suo essere carne. La fuga dal senso può agire così brutalmente nel reale ed essere considerata, davvero, arte?

Le parole del romanzo di Delillo raccontano verità artistiche, narrate però anche da Chasseguet Smirgel nel suo saggio Gli estremisti del sesso, in cui talune pratiche vengono descritte minuziosamente. Quindi si tratta di pure realtà.

Possiamo definire arte quella cosa che ci obbliga ad allontanarci dal senso e provare a leggere ciò che vediamo soltanto attraverso il sapere?

Tante domande per nessuna risposta certa. Di certo c’è il senso di disagio che si prova di fronte a certe opere, pur ammettendo di rispondere, in tal modo sbigottito, all’effetto di godimento che tali opere vogliono provocare. Ma se è una provocazione che ci mette a disagio, che ci nausea e ferisce, forse siamo proprio nel campo della perversione!

In fondo ci hanno insegnato ad amare nella pittura «immagini di gesti umani , volti, atteggiamenti, tenerezze, ironie, aspetti ridicoli o tristi, dolcezze dell’atmosfera, morbidezze o asperità della natura empatia con le cose», scrive G. Briganti in un suo articolo dedicato al grande critico d’arte Roberto Longhi20.

 Lacan e l’arte

Chiudo con un aneddoto molto conosciuto, raccontato nei testi su Lacan di F. Palombi21 e di E. Roudinesco22 ma che, in questo contesto di riflessioni disagevoli sulla perversione, fa un po’ sorridere … e riflettere ancora.

Nella casa di Lacan a Guitrancourt «Fa bella mostra di sé un dipinto appeso nella loggia che s’affaccia sul locale. È uno strano paesaggio a tinte marroni, vagamente antropomorfo, dove un sole pallido s’affaccia, attraverso le nubi, su alcuni morbidi rilievi dal profilo appena abbozzato. Il quadro, intitolato Terra erotica, è stato appositamente commissionato al pittore surrealista André Masson, cognato della moglie di Lacan»23.

In un recente articolo dal titolo Sesso e paure annullano la coscienza. L’arte perversa di André Masson24, il pittore surrealista viene definito, «follia, perversione e trasporto, fiume in piena che travalica ogni aspettativa».

Il padrone di casa tocca il montante sinistro della grossa cornice dorata e il quadro di Masson scivola di lato, per mostrare agli ospiti stupiti la tela nascosta sotto di esso:

L’origine del mondo, un capolavoro di Gustave Courbet». Dipinta nel 1866 per un diplomatico turco, l’opera passò di mano in mano, fino ad arrivare durante il conflitto mondiale in possesso dei nazisti e dei sovietici per poi essere finalmente acquistata da Lacan intono al 1955. Il quadro aveva suscitato da subito grande scandalo; il critico Du Camp lo considerava un’oscenità degna di illustrare le opere del marchese de Sade. Sylvia, la moglie di Lacan, pensava di doverlo tenere segreto perché scandaloso: «I vicini o la domestica non capirebbero»25, diceva. Per questo chiese a Masson di preparare l’altro pannello.

Nicoletta Brancaleoni
Psicologa, Psicoterapeuta con Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica in ambito individuale, di gruppo e istituzionale. Membro Associato SIPsA

NOTE

  1. Freud, Lettera del 24-1-1897, in Lettere a Wilhelm Fliess, cit., pp. 257-258.
  2. Institor (Krämer) H. – Sprenger, J., Il Martello delle streghe, Spirale, Milano, 2006, p. 56.
  3. T. Maiocchi, Il taglio del sintomo. Clinica ed etica dell’opzione lacaniana, Franco Angeli, Milano,2010, p.57
  4. Perrella, Per una clinica delle perversioni, Franco Angeli, Milano, 2000, p.23
  5. ibidem, p.33
  6. Perrella, Il mito di Crono, Biblioteca dell’immagine, Pordenone, 1993, p. 362
  7. Lacan, Il seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio, Einaudi, Torino, 2004, p. 172.
  8. Lacan, Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi, in Scritti, vol. 2, Einaudi, Torino, 1974, p. 551 ss.gg.
  9. Lacan, La significazione del fallo, , in Scritti, vol. 2, Einaudi, Torino, 1974, p. 689
  10. Stoppa, L’offerta al dio oscuro. Il secolo dell’olocausto e la psicoanalisi, Franco Angeli, Milano, p. 118
  11. ibidem, pp. 11-111
  12. Montalbetti, La pedagogia sperimentale di R. Buyse. Ricerca educativa tra orientamenti culturali e attese sociali, Vita & pensiero, Milano, 2002, p.53
  13. Sassetti, La pedagogia perversa. Tra Pasolini e Lacan, Clinamen, Firenze, 2004, p.204
  14. Chasseguet Smirgel, Creatività e perversione, Raffaello Cortina, Milano, 1987, p.16
  15. ibidem, p.105
  16. Laurent, La sublimazione generalizzata in M. Mazzotti, Stili della sublimazione. Usi psicoanalitici dell’arte, Franco Angeli, Milano, 2001, p.18
  17. ibidem, p.17
  18. ibidem, p.21
  19. Delillo, Body art, Einaudi, Torino, p. 85
  20. Briganti, Affinità, Archinto, Milano, p. 48
  21. Palombi, Lacan, Grandangolo, Corriere della Sera
  22. Roudinesco, Jacques Lacan. Profilo di una vita, storia di un sistema di pensiero, Raffaello Cortina, p.196
  23. Palombi, op. cit
  24. http://dailystorm.it/2014/11/19/sesso-e-paure-annullano-la-coscienza-larte-perversa-di-andre-masson
  25. Roudinesco, op. cit., p.196

 

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