2017 GIANNI E. SQUILLANTE La perversione nelle funzioni della coscienza di Jung

Proviamo ad affrontare la perversione in un’ottica diversa dallo strutturalismo: come la via diversa, perversa, che l’Io intraprende quando quella diretta gli è preclusa.

Questo modo di affrontare la perversione allarga il campo di osservazione perché possiamo ritrovarla in ogni funzione della coscienza non adeguatamente sviluppata. Funzione pensiero, funzione sentimento, funzione senso, funzione intuizione se non vanno verso uno sviluppo armonico determinano per l’Io l’impossibilità di accedere al piacere per la via diretta e, inevitabilmente, cercano una via diversa (per-versa) per trovare una soddisfazione.

Non è un caso che sia Heidegger sia Wittgenstein cerchino nella parola del poeta un modo diverso per comunicare quello che il linguaggio del quotidiano, costantemente, viene a nascondere. Il pensiero vincolato dai suoi conti con l’ente è un pensiero che usa: – un uso che usura- (la perversione del linguaggio).

È nella sinergia di azione delle diverse funzioni della coscienza, adeguatamente sviluppate, che possiamo ritrovare la funzione trascendente di Jung.

«Il processo psicologico dell’individuazione è strettamente connesso con la così detta funzione trascendente, in quanto mediante questa funzione vengono date quelle linee di sviluppo individuali che non potrebbero mai essere raggiunte per la via già tracciata dalle norme collettive» (C.G. Jung, Tipi psicologici, p. 463).

La funzione trascendente ci offre una visione della realtà in cui è possibile riscoprire la dimensione dell’essere un essere umano in modo diverso. Non un corpo visto scientificamente come un organismo, non una psiche oggettivata dalla psicologia, ma un uomo vivo che partecipa degli eventi di ogni giorno.

Lo stesso strutturalismo dove il significante è più importante del significato, dove il soggetto, nei casi limite, è parlato dal linguaggio, dove l’uomo è il servo del linguaggio, può essere messo in discussione se prendiamo atto che divenire coscienti non è legato solamente alla funzione pensiero (in particolare al lato rappresentativo di tale funzione), ma che passa necessariamente per lo sviluppo di tutte le funzioni della coscienza.

«Le parole non crescono come fiori. I modi di parlare si propagano schematicamente come le situazioni che essi devono controllare. Il più astratto linguaggio del simbolismo matematico sembra corrispondere solo al compito del dominio tecnico del mondo e della sua amministrazione. La povertà linguistica non è assolutamente avvertita come tale. Evidentemente c’è un oblio della povertà del linguaggio, che rappresenta una sorta di pedant dell’oblio dell’essere di cui parla Heidegger, se non addirittura la sua espressione e la sua testimonianza che tutti possono avvertire» (H.G. Gadamer I sentieri di Heidegger, p. 22).

 L’evento che accade all’interno del linguaggio presenta aspetti e possibilità diverse, e le domande di Gadamer iniziano a farci riflettere sulla problematica che è davanti a noi. Una problematica dove il permanere della parola è strettamente legato all’orizzonte di una domanda che costantemente si ripropone.

Nel costante rapporto di mondo e linguaggio, nel loro essere l’orizzonte in cui può essere compreso, l’evento appare lo spazio in cui la coscienza può evolversi, permettendo all’esser-ci dell’uomo un’esistenza che non dimentichi l’essere per privilegiare l’ente.

«Comprendere l’evento che parla, vuol dire approssimare il senso del linguaggio che istituisce ogni discorso, ivi compreso quel discorso che intende esporre l’evento medesimo. In altri termini, il linguaggio che parla deve, in certo senso, poter nominare se stesso, precomprendersi: la tradizione chiama tutto ciò circolo ermeneutico» (S. Natoli, Teatro filosofico, p. 161).

La precomprensione in cui si muove il linguaggio di oggi è strettamente legata alla funzione pensiero rappresentativo. Ciò rende difficile trovare un linguaggio in cui le altre funzioni della coscienza possano essere ascoltate e possano farsi ascoltare, e questo rappresenta il limite più grande della nostra società ed è in questa struttura del pensiero che la per-versione prende il via.

Possiamo considerare la perversione come il limite posto dal pensiero rappresentativo allo sviluppo armonico delle funzioni della coscienza. Ogni funzione quando viene sottoposta al giogo della funzione pensiero nella sua dimensione rappresentativa diviene sempre più fragile. Lo sviluppo è sempre più a livello inconscio e la via diversa, per-versa, prende facilmente il sopravvento. La dittatura della ragione diviene la dittatura che essa può esprimere su ogni funzione della coscienza e la rappresentazione dogmatica del mondo che ne deriva è quanto di più lontano ci sia dalle reali esigenze umane.

«Una volta saldato il desiderio all’ordine della rappresentazione, il desiderio perde la sua forza potenzialmente desituante e desidera le belle cose che gli vengono rappresentate. Non c’è più bisogno di reprimerlo, rimuoverlo per iscriverlo nella legge, perché dove la legge ha monopolizzato ogni ordine della rappresentazione, dove non c’è spazio che non sia occupato dai segni del codice, è il desiderio stesso che non sa più esprimersi se non come desiderio del codice e desiderio della legge» (U. Galimberti, La terra senza il male, p.85).

Quando il desiderio perde la sua forza perché saldato all’ordine della rappresentazione non c’è più spazio per la dimensione umana in cui vivere. Ogni funzione della coscienza perde la reale possibilità di svilupparsi e con questo limite che il pensiero rappresentativo ci pone la vita di ciascuno di noi diviene molto difficile.

La parola funzione ha una radice sanscrita (bhunj) che ci porta nell’ambito del significato godimento. La funzione è quindi qualcosa di cui godere. Trarre piacere nell’esercizio di una funzione è quindi inerente al senso stesso della parola. Una coscienza che sviluppa ugualmente tutte le sue funzioni è una coscienza che potrà provare piacere nel suo operare.

Ogni limite posto allo sviluppo di una o più funzioni determina necessariamente una coscienza incapace di provare piacere nell’esercitare tale o tali funzioni. Una delle conseguenze, forse la più tragica di questa situazione, è che lo sviluppo di tali funzioni segue una via diversa: la via per-versa.

Il lato oscuro di cui ogni giorno vediamo i tragici risultati in tutti i notiziari con cui veniamo a contatto.

 

Le diverse perversioni legate all’insufficiente sviluppo delle funzioni della coscienza.

 La perversione nella funzione senso

«Nell’abbandono sessuale esperiamo la nostra vitalità come un dare ed un avere simultanei. L’uomo percepisce questo nel penetrare, la donna nel ricevere. E tuttavia sia l’uomo sia la donna sperimentano in egual misura il penetrare ed il ricevere, il dare e l’avere, grazie alla loro intima unione, nella quale il pene non appartiene solo all’uomo ma anche alla donna e la vagina non solo alla donna ma anche all’uomo. Ma oltre tutto questo, e soprattutto, la donna può dare con la sua vagina e il suo intero essere e l’uomo può ricevere con il suo pene ed il suo intero essere. Dare e avere sono egualmente primari in ciascuno e agiscono di concerto nello stesso modo. In entrambi i modi mi esperisco come un individuo, nel modo in cui entro nella vita e nel modo in cui ricevo a vita. Quando penetro con amore un’altra persona, io la prendo dentro di me; quando ricevo con amore un’altra persona, io la penetro nel suo essere».  (P. Schellenbaum, Il no in amore, p.139)

Quanto scritto da Schellenbaum è quello che potrebbe accadere realmente se la funzione senso fosse sviluppata adeguatamente. Purtroppo non è quello che accade nel mondo di oggi. La sessualità, il gioco ai confini tra la vita e la morte, diviene uno spazio realmente vissuto solamente quando gli interpreti del gioco hanno sviluppato una coscienza che lo può contenere; quando questo non si verifica il tutto si può ridurre ad una banale “ginnastica per orgasmi” e, in tal caso, anche questi ultimi sono più che altro casuali, se non addirittura impossibili.

Lo sviluppo principalmente inconscio di tale funzione è alla base di innumerevoli perversioni. La vita del nostro corpo viene negata in un’infinità di modi e tutto ciò fa sì che la via diretta verso il piacere sia resa estremamente complicata; di conseguenza la via per- versa diviene nel tempo l’unica percorribile.

Come medico ogni giorno mi accade di osservare comportamenti decisamente perversi nel campo della sessualità. Il minimo comune denominatore di tali perversioni è lo sviluppo inconscio, pressoché totale, della funzione senso.

Olfatto, gusto, tatto, ed in molti casi anche l’udito, sono nel mondo di oggi in una fase regressiva di cui non ci si rende sufficientemente conto. L’uomo cibernetico non necessita di strutture atte a recepire il mondo, ma solamente dell’occhio per leggere l’immagine che il potere vuole si abbia. Nel mondo dell’immagine la vista è andata incontro a fenomeni regressivi minori, si è solamente adattata ai limiti che le sono posti dal quotidiano.

In questi limiti è divenuto impossibile per la vista riscoprire la cecità che i Greci attribuivano ai poeti, la cecità per le cose del mondo ossia quella cecità che rende veggente il poeta. Questa è forse la più grave perdita che la vista può lamentare, ma è una perdita che nessun testo scientifico si sente di segnalare. Ma in questa perdita nasce una delle perversioni più evidenti. La vista, schiava dell’immagine con cui il pensiero si rappresenta il reale, è divenuta realmente incapace di aderire, ad esempio, al territorio della sessualità, se non come mezzo per rendere la sessualità stessa un qualcosa di lontano, un’immagine oggettiva: cioè pornografica.

L’impossibilità di aderire al territorio della sessualità con una funzione senso adeguatamente sviluppata, e in grado di agire in modo sinergico con le altre funzioni della coscienza, lascia ogni essere umano in balia delle sue ombre e delle sue paure nella ricerca affannosa di sicurezze e di possibilità a cui non riesce a dare risposte. Lo sviluppo inconscio della funzione senso non fa che amplificare questa situazione nella continua ricerca di una via diversa: per-versa per aderire al territorio del piacere. Tutte le perversioni con cui è possibile venire in contatto hanno la stessa radice: il mancato sviluppo della funzione.

 

La perversione nella funzione pensiero

Essendo la funzione pensiero quella sviluppata in modo prevalente a livello conscio si potrebbe pensare che la perversione non ne faccia parte. Purtroppo lo sviluppo di tale funzione è sotto il giogo della rappresentazione, della metafisica e, di conseguenza, la perversione è dietro l’angolo.

L’uomo moderno, schiavo della ragione è ormai lontano da un rapporto con l’essere, essere che nel suo sottrarsi lo espone al nulla di cui, per sua scelta, non sa nulla.

«Nell’impianto l’uomo viene provocato a comportarsi in modo corrispondente allo sfruttamento e al consumo; la relazione con lo sfruttamento ed il consumo costringe l’uomo ad essere in questa relazione. L’uomo non ha in mano la tecnica. Egli è il giocattolo di quest’ultima. In questa situazione regna la più assoluta dimenticanza dell’essere, la più completa velatezza dell’essere. La cibernetica diviene il sostituto della filosofia e della poesia. Politologia, sociologia e psicologia, discipline che non hanno più il minimo rapporto con il loro proprio fondamento, divengono preminenti. Sotto questo profilo l’uomo moderno è schiavo della dimenticanza dell’essere» (M. Heidegger, Seminari di Zollikon, p. 143).

L’età della tecnica è la perversione della funzione pensiero. Lì dove le necessità della tecnica sono più importanti dell’uomo stesso, lì dove la massima espressione del pensiero rappresentativo è la bomba atomica, è impossibile non cogliere la perversione.

Il pensiero razionale dell’animale uomo è il responsabile dell’avanzare del deserto, come già Nietzsche ci aveva annunciato. In un continuo rendere soggetti i predicati, nel costruire predicati astratti (lontani dal territorio), è riuscito a creare un’oggettività tanto lontana dall’esserci dell’uomo, che è proprio l’essere stesso, e di conseguenza il nulla, ad essere l’assente sulla scena della rappresentazione di cui noi siamo, volontari o involontari, interpreti.

La vita di ogni uomo, intrappolata nella rappresentazione che il pensiero fa della realtà, ha perso ogni prospettiva di poter aderire al territorio, anche quando il territorio in questione è l’uomo stesso e questa è la più grande via diversa (perversa) che una funzione abbia sviluppato.

Heidegger ci parla di un altro modo di intendere il pensiero, un pensiero che sia rammemorante (An-denken). Qual è la sua importanza? Quale variazione fondamentale possiamo ritenere che esso contenga, e che sia tale da modificare una realtà odierna così inquietante?

«Mi pare che l’importanza nel fenomeno del pensiero rammemorante sia che grazie ad esso qualcosa viene fissato e salvaguardato nel – Ci – (im Da), in modo che per tutto il tempo in cui il pensiero rammemorante rimane vivente, non possa mai non essere. Tuttavia il pensiero rammemorante non consiste nel fissare qualcosa che sta per svanire irrigidendolo: in effetti la sua non-esistenza non è nascosta né contestata tenacemente, al contrario vi è qualcosa come un adesione (di cui le Elegie duinesi di Rilke sanno qualcosa). Non vi è affatto insistenza».  (H.G. Gadamer, I sentieri di Heidegger, p.68)

Questo modo più complesso per avvicinare la funzione pensiero può permettere alla funzione stessa di svilupparsi in modo da sfuggire alla trappola della rappresentazione ed è anche il modo in cui diviene possibile interagire con le altre funzioni della coscienza senza renderle schiave. Un pensiero rammemorante può permettere alla funzione pensiero di crescere e di non dover cercare necessariamente una via diversa, ossia per-versa, per svilupparsi.

 

La perversione nella funzione intuizione

Noi possiamo osservare come questa funzione in tutto il Nord-occidente, sviluppandosi in modo quasi completamente inconscio, sia regolarmente preda della via diversa per essere in qualche modo parte della coscienza di ciascuno di noi.

Riuscire a sviluppare una funzione complessa, e da cui siamo costantemente allontanati dal pensiero rappresentativo, non è facile. È necessario un reale interesse per tale sviluppo.

«Inter-esse significa: essere tra e per entro le cose, stare in mezzo ad una cosa e perseveravi. Invece per l’interesse odierno ciò che conta è solo l’interessante. Interessante in questo senso è ciò che ci permette, un momento dopo, di essere già indifferenti e di passare ad un’altra cosa, che ci importa altrettanto poco della prima. Si pensa spesso, oggi, che trovare qualcosa interessante significhi conferirle un particolare pregio. In realtà, con un tale giudizio non si fa altro che abbassare l’interessante a livello dell’indifferente, per respingerlo ben presto nel limbo del noioso» (M. Heidegger, Saggi e Discorsi, pp.86-87).

Permanere nell’interesse potrebbe essere il giusto modo per sviluppare questa funzione come, ad esempio accade nello yoga, nell’essere nel qui ed ora, ma la società in cui viviamo è sempre più alla ricerca dell’interessante e, di conseguenza, si finisce nel limbo del noioso.

Lo sviluppo inconscio di tale funzione fa sì che molto spesso la via diversa, per-versa, prenda il sopravvento ed allora noi ci troviamo nel mondo oscuro della magia nera, nella ricerca di sostanze atte a farci superare il limite che ci pone il pensiero rappresentativo, come droghe psicotrope, sia naturali che di sintesi. Quanti artisti importanti hanno cercato in fondo al bicchiere o nelle droghe il modo di andare oltre, di riuscire a cogliere quello che tale funzione, opportunamente sviluppata, avrebbe potuto offrigli.

«Si tratta di facoltà attraverso le quali la natura concede al suo mistero di diradarsi, lievemente, affinché possa illuminarci con i segnali di una solidarietà superiore che addolcisce le nostre solitudini, accarezza e traduce in realtà i nostri sogni, non lascia morire le speranze» (A. Bevilacqua, I sensi incantati, p. 9).

Un far parte del mistero, non con la presunzione occidentale di renderlo calcolabile, ma con quella disponibilità al donarsi dell’essere che è possibile ogni qual volta l’uomo si avvicina al senso stesso del mistero con tutte le funzioni della coscienza in grado di agire sinergicamente. Diversamente alla funzione intuizione non resta che una via diversa per svilupparsi: la via perversa. Un esempio che è sotto gli occhi di ognuno di noi: la fortuna, come dea bendata, è già in sé un simbolo dell’inaccessibilità al pensiero rappresentativo per avvicinare il fenomeno. Una coscienza che sviluppa la funzione intuizione in modo più costruttivo è sicuramente in grado di comunicare con la fortuna in modo diverso. Vincente o perdente in un qualsiasi gioco indica non una situazione causale o casuale, ma un diverso sviluppo della funzione intuizione a livello della coscienza del singolo.

L’intuizione, quella voce che bisogna saper ascoltare, è una funzione che non necessariamente è inconscia, la difficoltà è nel rapporto che noi possiamo o meno instaurare con lei. Il suo sviluppo può avvenire, a livello di coscienza, solamente se siamo disposti ad abbandonare il credo di una funzione pensiero come unica realtà della coscienza, e ci disponiamo ad accettare la nostra coscienza nella sua multiforme possibilità di esprimersi.

 

La perversione nella funzione sentimento

«Non esiste al mondo conquista dell’intelletto o della tecnica capace di compensare l’inferiorità del sentimento». (C. G. Jung, Opere, Volume X, tomo 2, p. 37)

La funzione sentimento esplica il suo ruolo nell’esistenza umana rendendo possibile il cammino dell’anima di ciascuno di noi sia nel raccogliere il cenno dei divini, sia permettendo l’integrazione dell’Ombra.

«Tutto ciò che s’illumina d’improvviso suscita la nostra gioia, sfolgora di bellezza – ogni roveto è un Dio che brucia; è questo lo zolfo alchemico, il volto infiammabile del mondo, il suo flogistico, la sua aureola di desiderio, l’entemesis ovunque. Quell’abbondanza del divino, alla quale aspiriamo nel consumarla, è l’immagine attiva in ogni cosa, l’immaginazione attiva dell’anima mundi, che incendia il cuore e lo fa uscire allo scoperto». (J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, p. 49)

È nello sviluppare una funzione capace di aderire ad un territorio i cui valori non vengano dettati dalla funzione pensiero, nella sua veste pensiero rappresentativo, che assume importanza il recupero di un immaginale legato all’anima e ai divini.

La vacuità della funzione sentimento che, ad esempio, è stata alla base del movimento popolare con cui Hitler ascese al potere, anche oggi, come tragicamente ogni giorno possiamo constatare, è la struttura portante delle tragedie che accadono nel mondo.

La via diversa per lo sviluppo di tale funzione ci porta all’interno di una dimensione veramente tragica. Innamoramento (vertigine narcisistica in cui io non vedo l’altro, ma solamente me riflesso nell’altro), sentimentalismo (piangere per una telenovela e restare freddi nell’ascolto dei concerti Brandeburghesi), i violenti episodi di razzismo, l’intolleranza verso il diverso, sono i segni di un mancato sviluppo di tale funzione e di come questo produca una via diversa: perversa, per trovare un modo di esprimersi.

I crimini del nazismo in Europa, così come quelli degli Spagnoli in Sud America, così come tutti i crimini commessi verso quel mondo che il nord Occidente si è arrogato il diritto di colonizzare, sono il risultato storico di popoli incapaci di riscoprire un vero rapporto con la funzione sentimento e, quindi, di integrare l’Ombra. Le ombre esistono, fanno parte di ciò che noi siamo, se tentiamo di ignorarle esse si ingigantiscono e, fuori dalla portata della nostra coscienza, ordiscono trame occulte.

 

Che cos’è la funzione sentimento?

«Come processo che continua sempre e che dà o riceve tonalità di sentimento – anche il tono di sentimento dell’indifferenza -, questa funzione collega tanto il soggetto all’oggetto (impartendo un valore) quanto l’oggetto al soggetto (accogliendolo all’interno del sistema di valori soggettivo). Essa funziona quindi come una relazione, ed è spesso chiamata – la funzione di relazione -». (J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, pp. 82-83)

La funzione sentimento, sottratta al giogo della funzione pensiero nella sua forma pensiero rappresentativo, può superare il contrasto di opposte norme, raggiungere l’origine silenziosa del patire dove v’è mitezza e accettazione. Ecco come gli dei, accostati dall’uomo con una funzione diversa dalla ragione, divengono per lui stesso un’apertura, dove la funzione si può riconoscere nell’ulteriorità di senso che nella trascendenza avviene. Anima e divini, non in una nuova mistica, in una nuova o antica religione, pagana, induista, mussulmana, cristiana, buddista che sia, ma per restituire all’immaginale ciò che ad esso appartiene.

Oggi anima e divini nel mondo nord-occidentale sono un territorio sempre più povero e lo dimostra lo sviluppo essenzialmente inconscio di tale funzione. Sentimentalismo, innamoramento, integralismo, razzismo sono le prove più evidenti della via diversa: per-versa che tale funzione si trova a mettere in gioco nel tentativo di svilupparsi.

Gianni E. Squillante
Medico, Agopuntore, Omeopata
Medico Agopuntore Omeopata Studioso di Jung

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