STEFANIA PICINOTTI. Apertura della Giornata di Studio

La parola scritta nello Psicodramma Analitico: l’osservazione come processo

«Siamo esseri traducenti, tutto in noi è traduzione. Traduciamo il mondo nella nostra mente e noi stessi nel mondo, traduciamo sentimenti in idee e idee in parole, traduciamo persino, a volte, prigionieri da un carcere all’altro. E se il linguaggio è una gabbia che ci arresta, solo traducendo possiamo forzare le sbarre ed essere liberi».1

Il tema scelto per questa Giornata di Studio è in continuità con quanto iniziato con il “Prendersi cura delle parole”, trattato nel Convegno Nazionale dello scorso anno. La novità di questo lavoro di ricerca, da parte dei Centri Didattici SIPsA, sta nell’aver lavorato, questa volta, anziché su un singolo testo, su un argomento che riguarda nello specifico l’osservazione come processo e l’uso che se ne fa nello Psicodramma analitico freudiano.

Ho incentrato l’apertura della giornata focalizzandomi principalmente sulla traduzione e sulla composizione come processi trasformativi sottostanti al lavorio dell’osservazione.

Vorrei partire dall’assunto che, come la rappresentazione che viene messa in scena nello Psicodramma analitico freudiano fornisce il paradigma di ogni ‘sollecitazione a interpretare l’esperienza’, attraverso un taglio che ha valore di atto analitico, così l’osservazione e il suo processo fornisce il paradigma di ogni ‘sollecitazione a comprendere’ quello che avviene nel vissuto sensoriale delle immagini e delle parole ascoltate.

Quando scriviamo l’osservazione siamo un po’ come ‘le api dell’invisibile’ richiamando il titolo di una raccolta di lettere di Rilke2, coloro che costruiscono la trama di un testo attingendo da ciò che non è visibile.

In questo senso la scrittura dell’osservazione è assimilabile ad una esperienza di traducibilitá (ma anche di intraducibilità) di quanto viene ascoltato, non solo la sua rappresentazione sotto forma di linguaggio, perché sarebbe una semplice tra-scrizione, ma la traduzione di ciò che non è immediatamente visibile. Quindi avremo sia una scrittura come fissazione dell’articolato del linguaggio orale, ovvero una scrittura dell’enunciato, sia una scrittura dell’enunciazione come scrittura del “soggetto del l’inconscio”.

Tale scrittura si può intendere come un movimento di andata e di ritorno, come il freudiano «fort-da», un movimento di assenza e di presenza trasformato in gioco attraverso l’ausilio di un rocchetto. Rimanendo sulla traduzione, Benjamin in un articolo del 1921 dice: «Il senso del testo originale non è tanto un irraggiungibile ideale, ma che, una volta raggiunto, si perde, qualunque sia la traduzione. Il compito del traduttore è allora unicamente determinato: reinventare e riproporre un nuovo senso ogni volta, in ogni nuova traduzione» 3.

Il processo di scrittura dell’osservazione è una palestra in cui si pratica il sapere dell’immagine che viene tradotta in parola, e della parola che viene tradotta in immagine, una sorta di ingegneria ludica capace di aprire altri varchi e interstizi.

Anche in questo caso, le formazioni dell’inconscio si presentano sempre in una forma enigmatica e nel loro carattere irriducibile. Freud aveva in questo senso già segnalato i limiti dell’interpretazione e Lacan aveva ripreso il tema dicendo che il motto di spirito si fonda appunto sul non senso. Infatti la psicoanalisi, come lo psicodramma analitico che vi si riferisce da un punto di vista epistemologico, è una pratica che apre al reale e che lascia sempre aperta la possibilità del legame con l’altro. «Aprirsi al reale vuol dire tenere conto delle sue manifestazioni, ma anche sostenere che l’illeggibile ha una portata. Lacan, ad esempio, ha sostenuto il carattere di illeggibilità della scrittura di Joyce. É illeggibile perché è aperta a tutti i sensi, la sua scrittura non ha un senso comune […]: forse in quanto non evoca in noi nessuna simpatia» 4. Questo aspetto non nega l’efficacia dell’illeggibilità poiché abbiamo a che fare con l’efficacia di scrivere precisamente là dove c’è un ostacolo. La scrittura non cancella la discontinuità, ma evita la rottura.

Ancora parafrasando Izcovich 5 potremo dire che la scrittura dell’osservazione non andrebbe intesa tanto come interpretazione, quindi come atto analitico, ma come posizione in cui l’inconscio è taglio in atto. Quindi non propriamente l’inconscio inteso solo come discorso dell’Altro. In questa direzione, il taglio non è la catena significante ma è ciò che appare nell’intervallo tra i significanti. L’interpretazione raggiunge la sua vera efficacia non nel deciframento, ma soprattutto negli effetti sul programma inconscio.

I livelli di percezione sensoriale coinvolti nella osservazione sono quello uditivo e quello scopico. Del primo ci occuperemo, nello specifico, nella prossima Giornata di Studio di quest’anno in riferimento alla lettura dell’osservazione, il secondo si riferisce allo sguardo e all’immagine e quindi alla scrittura come dispositivo mediale.

La visuale dell’osservatore è un angolo, un punto di vista, una prospettiva che inquadra il reale ma che è anche un punto cieco perché non può guardare se stesso mentre si guarda come aveva già detto Wittgenstein 6. C’è quindi sempre qualcosa di invisibile in ogni regime di visibilità a partire dalla posizione del corpo. Dentro ogni sapere c’è il nostro esservi implicati, non solo come occhio che vede ma come corpo preso nella stessa trama del visibile e dell’invisibile, dell’evidente e del latente, trama dalla quale emerge un nocciolo di reale: l’immagine aperta designerebbe, quindi, non tanto una certa categoria di immagini quanto piuttosto un momento privilegiato, un evento di immagine” prodotto appunto da un contatto con un reale 7.

Nel testo Le tecniche dell’osservatore 8, J. Crary coniuga il Benjamin della teoria dei media con il Foucault dei dispositivi e dei regimi discorsivi e mette in evidenza come l’osservatore sia insieme colui che guarda un’immagine ma anche colui che osserva nel senso di osservare una regola, colui che obbedisce.

Risalendo agli anni ’20 a Panofsky 9, troviamo, nel suo saggio sulla prospettiva come forma simbolica, che la prospettiva è una costruzione che impone una certa posizione all’osservatore/spettatore di fronte ad una immagine, che deve obbedire alle regole che l’immagine gli impone.

Se traduciamo l’immagine in parola si riesce a trasmettere quello che non è costitutivamente “immagine dell’immagine” ma è quello che dell’immagine si presta ad essere ritradotto in un altro medium, appunto la parola scritta. L’energia della parola scritta manifesta così la genealogia delle immagini. Altra questione ancora è quella della funzione dell’immagine poiché essa costituisce le “località temporali dei transfert”. Se partiamo dal negativo che sempre attraversa l’immagine, possiamo concepirla dopo la sua disimmaginazione «Cioè la sua capacità di disfare dalla sua interpretazione ogni allusività semiologica imitativa […], ciò che Freud chiamava Zerrbild: lacerazione dell’immagine» 10. Inoltre, le immagini sono come esseri fantasmatici che confondono l’andamento del racconto e turbano il rappresentabile ritornando sotto forma di pathosformel 11, la formula di una tensione che si fa scena, formule che sopravvivono in quanto reminescenze. Con Freud sappiamo che si tratta del ritorno del rimosso nell’immagine, fino ad arrivare ad una regressione del pensiero simbolico che può anche andare oltre il rimosso, verso “immagini sensoriali” la cui rappresentazione ritorna alla sua “materia prima”.

La scrittura nell’osservazione è come se fosse una topografia dell’inestricabile, scrittura del “luogo del l’inconscio” che avviene nel tempo della seduta e che scandisce tempo e luogo dell’accadere psichico. «E tale scrittura del luogo, come ‘avere luogo’ dell’evento, non può essere disgiunta da un atto di rimemorazione che a sua volta è la sua finita e non trascendentale condizione di possibilità: la cronotopografia è di per sé un atto di memoria con cui l’evento sarà stato inscritto, istituito e così conservato» 12.

Tale inscrizione del testo ha luogo nella lingua, risulta quindi come «l’esperienza di una soglia che non è mai assicurata, là dove tale soglia unisce il lembo della parola con quello dell’immagine» 13. La scrittura è «un’esposizione radicale di sé e una sempre possibile sovversione del sapere». La lezione di Benjamin sulle “immagini di pensiero” si contrappone alle cartografie che riducono il mondo alla sua rappresentazione.

L’immagine svolge un ruolo di cerniera tra spazio e tempo, diviene così “un’immagine dialettica”. Ci si allontana per approssimarsi e viceversa. Come in una danza. Nel quattrocento dai teorici della danza viene introdotto il termine fantasmata per indicare un arresto improvviso tra due movimenti della danza. Tale arresto dava il segno della “misura” dell’intera sequenza coreografica. Come se fosse un “fermo immagine” un phantasma che potesse dare memoria alla sequenza stessa 14.

Entriamo così nella questione dello stile e nella messa in figura del testo stesso, ovvero come l’osserva zione viene composta nella struttura spaziale, formale e nel contenuto in modi diversi: c’è chi la fa sue due colonne, chi fa disegni, inserti, ricami, cancellature, c’è chi ne fa una Dicthung, condensato inestricabile di parole, o una Dichtung intesa come poiesis, chi cerca di dare un senso e chi il senso lo sovverte. Traspaiono oltre modo ciò che le strutture simboliche della famiglia e della società hanno fatto di noi.

Riguardo alla composizione del testo vorrei menzionare Derrida che, nel 1974, produce un testo che si chiama Glas che vuol dire “campana che suona a morto”, opera aperta che non si chiude, è un’opera che si compone su due colonne: una in cui tratta la biografia di Jean Genet, l’altra il pensiero di Hegel. Ciò che risulta interessante, al di là dei contenuti che meriterebbero un approfondimento, è il processo di scrittura che trova forma in un layout di pagina al di là dei canoni. Si presenta con una serie di note, appunti, spazi lasciati in bianco a dimostrare una forma di costruzione interrogante. Il testo, così, si fa figura, si spostano le gerarchie e, attraverso questi inserti, sono evidenziati giochi di livello e di struttura.

Infine, vorrei concludere con il concetto di traduzione intesa come extra-dizione: «Un’estradizione di quel senso che ha finito per ritrovarsi in un luogo a cui non appartiene più, e che più non gli appartiene; […] Estradare significa allora extra-dare, dare di più, riconoscere che nel passaggio dal non morto a non ancora vivo si perde certo qualcosa ma si guadagna tanto altro. Il trasferire modifica gli spazi, gli agenti, accresce arricchisce, attraverso sottrazioni e lasciti, i referenti. E li trasforma in qualcosa di diverso. Ma a volte il diverso sono versi, per quanto in prosa. E i versi non sempre tollerano versioni» 15.

Stefania Picinotti, Psicoanalista, Psicoterapeuta, Didatta e Presidente SIPsA.

Docente Coirag, Socio in CAOA di IAGP

Studio: Via Fidenza, 15 -00182 – Roma – Italy

picinotti.stefania@psypec.it

Ph: +39 3498021834

Note

1 E. Terrinoni, Oltre abita il silenzio, Il Saggiatore.

2 R.M. Rilke, Noi siamo le api dell’invisibile. Lettere da Muzot, selezione curata da Franco Rella.

3 W. Benjamin, Il compito del traduttore, p. 64 e seg.

4 L. Izcovich, I marchi di una psicoanalisi, Franco Angeli, p. 372.

5 Ibidem, p. 484.

6 L. Wittgestein, Tractatus logico-philosophicus, Feltrinelli.

7 G. Didi Huberman, L’immagine aperta. Motivi dell’incarnazione nell’arte visiva, Mondadori, pp. 1-9.

8 J. Crary, Le tecniche dell’osservatore, Einaudi, pp. 102-142.

9 E. Panofsky, La prospettiva come forma simbolica,

10 P. Fédida, Disimmaginare l’immagine, ovvero l’opera d’arte deformata, Borla, pp. 153-154.

11 Come le aveva definite Alby Warburg pur non avendo mai conosciuto Freud.

12 R. Kirchmayr, Spazi per pensare. Topografia e immagine in Warburg e Benjamin, p. 93.

13 Ibid., p. 93

14 G. Didi-Hubermann, L’immagine insepolta, Bollati Boringhieri.

15 Terrinoni E., Oltre abita il silenzio, Il Saggiatore, 2019, p. 200.

Bibliografia

BENJAMIN W. (1921), Il compito del traduttore, in «Aut-Aut, Compiti del traduttore», 2007, n. 334 aprile giugno, Il Saggiatore.

CRARY J. (1990), Le tecniche dell’osservatore, Piccola Biblioteca Einaudi, 2013.

DERRIDA J. (1974), Glas, Bompiani, 2006.

DIDI HUBERMAN G. (2007), L’immagine aperta. Motivi dell’incarnazione nell’arte visiva, Mondadori, 2008. – (2002), L’immagine insepolta, Bollati Boringhieri, 2006.

FÉDIDA P. (1991), Disimmaginare l’immagine, ovvero l’opera d’arte deformata, in Crisi e controtrasfert, Borla, Roma 1997.

KIRCHMAYR R. (2010), Spazi per pensare. Topografia e immagine in Warburg e Benjamin, in «Aisthesis, pratiche, linguaggio saperi dell’estetico», rivista online, n.2, www.aisthesisonline.it

IZCOVICH L. (2013), I marchi di una psicoanalisi, Etera Edizioni, 2002.

PANOFSKY E. (1927), La prospettiva come forma simbolica, Abscondita, 2013.

RILKE R.M. (2002), Noi siamo le api dell’invisibile. Lettere da Muzot, De Piante Editore. TERRINONI E. (2019), Oltre abita il silenzio, Il Saggiatore.

WARBURG A. (1929), Mnemosyne. L’atlante delle immagini, Aragno, Torino, 2002. WITTGESTEIN L. (1922), Tractatus logico-philosophicus, Feltrinelli, 2022.

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