CENTRO DIDATTICO NEOARCHÈ

L’osservazione “LA MAL NOMINATA”

L’inizio

Questo scritto è il risultato di un lavoro corale del nostro centro didattico Neoarchè.
Lavorare in gruppo intorno al tema dell’osservazione ha permesso di realizzare una condizione molto speciale di reciproca osservazione, ascolto, confronto; tutto questo è avvenuto attraverso la produzione di un proprio scritto da parte di ciascuno. Ancora una volta, dunque, come nell’esperienza del Cartel, lo scrivere soggettivamente e l’ascoltarsi reciprocamente ha dato vita ad una relazione creativa, di conoscenza e di cambiamento per ciascuno di noi. Questa seconda esperienza, nata dalla parola del grande Altro (la casa madre SIPsA), ha permesso così di ricreare questa positiva modalità di essere e fare gruppo, a partire dalla produzione di una propria parola scritta.
Sono quindi stati raccolti i contributi scritti da ognuno e poi, con un lavoro di tessitura, di scarto, di sintesi e di riscrittura, ha preso vita questo unico scritto.

Dell’osservazione

L’osservazione, la mal nominata, caratterizza specificatamente la nostra pratica dello psicodramma analitico, è una pratica della parola, in particolare della parola scritta che la instituisce in quanto tale, e ciò che la fonda è l’ascolto.
L’osservazione è l’incarnazione della rappresentazione, è il ritorno alla necessità della narrazione, indirizzata a tutti e a ciascuno del gruppo.
L’osservazione riafferma il primato della parola sul significante, lo relativizza, arriva in finale come un contraccolpo.
L’osservazione è al cuore della nostra pratica perché scandisce, seguendo un filo logico, la temporalità della seduta: il tempo di vedere, il tempo di comprendere, il tempo di concludere.
Etimologicamente osservare è composta da ob = davanti e servare=preservare, salvare, rispettare, custodire.
Osservare, come dice Gaudé, è un oscillare fra guardare e vedere per approdare ad un vedere che possa rimandare ad un sapere.
L’osservatore è, dunque, colui che si prende cura del gruppo mettendosene al servizio, attraverso uno sguardo che vede, per cogliere e servire a fine seduta le tracce della catena dei significanti del discorso circolato, in modo creativo e trasformativo, restituendo non un discorso definitivo, ma una traccia sia del detto che del non detto, sia del giocato che del non giocato.
Questa realtà di ciascuno perderebbe di valore senza la restituzione che offre, come uno sbarramento, l’osservazione.
Di fatto l’osservazione è essa stessa una parola, sottomessa alle leggi del linguaggio, divisa tra l’enunciato e l’enunciazione. Laddove prevale l’enunciato si rimane nel riassunto, nella spiegazione, nella traduzione, cioè sul suo testo manifesto. Se invece è l’enunciazione che si fa strada, l’osservazione può essere intesa come un invio ad un soggetto ed apre ad un possibile spazio transferenziale.
Osservatore è colui che raccoglie queste singolari narrazioni in un quaderno che «rappresenta un posto in cui sentirsi a proprio agio, sicuro, ma anche scomodo, un luogo prezioso da custodire» dove il detto e il non detto si depositano per poi essere riordinati, smembrati e rielaborati per giungere alla parola finale che dovrebbe contenere, non solo ciò che può continuare a risuonare in ognuno, fuori della stanza della terapia, ma le domande che si aprono e le questioni che si intravedono, attraverso hypogrammi (Lemoine) che racchiudono i fonemi conduttori, lasciando ad ognuno la libertà di portarsi via ciò che si vuole o ciò che si può, accettando di perdere qualcosa.
Anche la posizione dell’osservatore si potrebbe dire che è una posizione in perdita in quanto dovrà accettare lo scarto tra ciò che ha scritto e ciò che andrà a dire al termine della seduta, quando la sua voce si staccherà da sé per essere ascoltata e diventerà traccia mnestica che si depositerà nell’altro e quindi si perderà.
La posizione dell’osservatore è davvero tutta da scoprire: se l’animatore è lì, dentro e fuori al cerchio libidinale, sul limite, con il suo corpo pulsionale, attivo nella conduzione e nell’ascolto del gruppo; la situazione dell’osservatore è davvero perturbante: è seduto, fermo, silente, al di fuori del cerchio libidinale del gruppo. Posizione scomoda, ma in quanto tale, l’essere fuori da quel cerchio gli consentirà di evitare l’effetto colla, di essere fuso, un tutt’uno con il gruppo.

Marie Noelle Gaudè dice nel suo articolo sulla “mal nominata” cioè sull’osservazione, che la funzione dell’osservatore, essendo fuori del campo dell’agire è tutta concentrata sul linguaggio, sulla parola; l’osservazione è tutto udito e il suo intervento finale è un atto che nell’apres coup trasforma la seduta in discorso, in narrazione.
È fondamentale considerare anche l’importanza che nell’osservazione ha la parola scritta e la modalità con la quale ciascuno ha fatto propria questa componente costitutiva e complementare del proprio ascolto, rielaborazione, rilancio e restituzione, attraverso la parola “scritta” che si anima, tagliata dalla conclusione della seduta perché, a sua volta, ha una funzione di taglio su quanto narrato, rappresentato, giocato.
Momento di sospensione, carico di pathos, di attesa, quello nel quale la propria bocca si apre per lasciare fluire la propria voce che comincia ad articolarsi per divenire discorso, per assumere su di sé la funzione di osservatore, di soggetto parlante, di “parlessere”.
Così l’osservazione o come preferiamo dire la restituzione, è un atto complesso a cui partecipano entrambi i terapeuti e tutti i partecipanti; nella elaborazione collettiva avvengono processi di trasformazione e di sintesi. Una co-creazione che viene dalla creatività primaria riattivata dall’esperienza in cui ognuno ritroverà se stesso ma arricchito, trasformato dall’esperienza condivisa.
Non uno svelamento ma un atto per un nuovo inizio.

Pluralità di voci e stili di osservazione
Osservazione delle osservazioni

«Nel recuperare le osservazioni da me fatte nel corso di vari anni mi sono imbattuta in due strade: quella digitale e quella cartacea».

Della prima poche tracce confuse di quanto osservato, della seconda un faldone conservato nella mia libreria che mi ha restituito tutti i quaderni di anni di conduzione di gruppi, da sola e poi con Marisa Davy.
Emozionante è stato ritrovare nei quaderni condivisi con lei traccia della sua scrittura, dei suoi appunti, delle sue taglienti annotazioni.
Nello scorrere delle pagine e delle tracce, sempre più chiaro emergeva in me come negli anni si sono andate costruendo le mie osservazioni.
Punti, appunti, niente di più che i significanti che in un’attenzione fluttuante e un po’ sorniona andavo cogliendo nel corso della seduta.
Il piacere sottile di non essere in gioco, ma in quel fuori gioco disinteressato che mi permetteva di stare al mio gioco.
Lasciarmi andare sull’onda associativa nell’idea infantile che l’altro psicodrammatista fosse lui al lavoro io potevo permettermi anche di sonnecchiare.
Sonnecchiare? Mi torna in mente il ricordo di Paul Lemoine, sempre sonnecchiante mentre Gennie conduceva il gruppo, poi apriva un occhio, scriveva una parola sul taccuino e riprendeva a sonnecchiare.
Poi il tempo scorre, la seduta sta per terminare. Che dire? Come inanellare i significati e significanti, disarticolati colti e accolti durante la seduta?
È il tempo di concludere, sì perché, anche nell’osservazione ritorna secondo me qualcosa del tempo logico. C’è un tempo per vedere, un tempo per comprendere ed un tempo per concludere, ma cosa ho visto? Cosa ho compreso? Ogni volta fino all’ultimo mi sembra di non saperlo, finché lo sguardo del conduttore mi dai il la e allora mi sembra che, come in una nuova rappresentazione, la mia osservazione va in scena.
I significanti colti nel tempo della seduta cominciano ad articolarsi in un discorso e mi sorprendono ed io mi sento parlata dalla mia osservazione. Mi osservo declinare la mia osservazione. Sono io che osservo o sono osservata?

L’importanza della scrittura

Per me quella della scrittura è una questione complessa ed intrigante, piena di buchi e di interrogativi: scrivere e riportare i discorsi ed i giochi che si concatenano nel fluire della seduta, cercando quel filo, quella parola significante in grado di un rilancio, di un’apertura che squarcia il buio della ripetizione o prediligere l’ascolto fluttuante, in una posizione del lasciarsi andare a questa funzione attiva, pur nella sua apparente passività?

Ma c’è sempre un pericolo in agguato: quello di perdersi o di lasciarsi tirare troppo dentro, ecco che la parola scritta diviene allora, io penso, quell’operazione di taglio che il terapeuta agisce innanzitutto su se stesso, che lo riporta lì dove deve osservare, ma in una modalità, che sarà poi il suo stile, che dovrà sempre richiamarlo alla sua divisione strutturale e al suo poter rischiare lì, sul limite, di afferrare qualcosa dell’indicibile che gira nelle parole e nel discorso del gruppo.

Un solo psicodrammatista

La Mia difficoltà è di essere dentro e di dover essere fuori. Quindi mi è più volte capitato di sentirmi orfana di quel ruolo che permette di essere alla giusta distanza e di non essere situata nel campo dello sguardo.

E se è vero che ciò che guida la pratica della parola è l’ascolto, è essenziale, stando a quanto ci hanno insegnato i nostri maestri e a quanto abbiamo creduto in loro, chiedermi che psicodramma io abbia fatto finora.

Il mio desiderio di essere Psicodrammatista, anche se senza osservatore, ha escogitato, su suggerimento di una collega, di invitare i componenti del gruppo ad esprimere con una parola il tema della seduta.

Queste le parole espresse dai componenti di un gruppo alla fine di una seduta:
1) Comprensione
2) Svelamento
3) Ritorno al passato
4) Solitudine
5) Ineluttabilità
6) Pazienza

Io ne faccio una piccola narrazione:
Cammino in cammino
per svelare e
comprendere l’ineluttabile,
torno e ritorno,
solitudine
Ma ritorno ai miei soliti
perché
mancanza, perdita,
mi perdo………
Pazienza…….Ritornerò

Psicodramma online

Io penso che l’osservazione si debba modulare in base al setting in cui lo psicodramma avviene e alle persone che vi partecipano.
Ad esempio nell’esperienza da me fatta di psicodramma online, spesso mi sono ritrovata a produrre osservazioni più lunghe (o troppo lunghe).
Mi sono chiesta se questo non sia venuto in risposta alla necessità avvertita di tenere insieme le parti e sottolineare il senso di continuità della seduta, data la continua minaccia avvertita delle impreviste frequenti scomparse e ricomparse della “connessione” dei membri del gruppo.

Osservazioni brevi

Sono solito prendere appunti al di fuori di quel cerchio. Scrivo per fissare essenzialmente ciò che mi colpisce seguendo la linea del significante o dei significanti che sono circolati nella seduta. Per quanto possibile, il mio è un ascolto proteso all’ascolto dell’inconscio del gruppo che non segue la logica del ragionamento.

Sono osservazioni brevi le mie, anche se non preferisco riconoscermi né in una né in un’altra forma, tutto è calibrato in base alla seduta e a quanto sento di scrivere. Per questa ragione le mie osservazioni sono piene di cancellature, di frecce che rimandano al rigo di sopra, a volte ritorna una successione di parole apparentemente slegate. È come se avessi a che fare con un continuo lavoro di cucitura, di taglio, di ritaglio.

Parlo di osservazioni “brevi” solo per sottolineare che una osservazione non deve essere mai “troppo piena”, ma è come se dovesse avere a che fare con la mancanza, condizione indispensabile perché dentro i pazienti si attivi un movimento interno, movimento di desiderio, di curiosità, di ricerca. L’osservazione deve mettere in moto tutto questo. Senza quell’effetto “sorpresa” non può se non ripetere ciò che il paziente sa già di sé e quindi non produce cambiamento.

E infine…

Ma quale osservazione può davvero restituire la complessità e l’intraducibilità dell’inconscio, quella specificità ed unicità proprie di una relazione analitica, tra quell’analista-psicodrammatista e quel soggetto che, a sua stessa insaputa e sotto lo sguardo del gruppo, mette in gioco il suo vuoto a perdere?

Osservare è e rimane qualcosa d’incompiuto, d’irraggiungibile, che apre piccoli squarci di luce, sfiorando le ombre e le tenebre dell’indicibile. Rimanda sempre e comunque alla posizione dell’analista o psicodrammatista, nel nocciolo della sua funzione di ascolto, dove il guardare e l’osservare rappresentano innanzitutto la sua capacità e il suo desiderio di “essere in gioco”, di accogliere e di prendersi cura della relazione stessa.

Centro Didattico Neoarché Bari

Bibliografia

Cecchetti P. (a cura di) (2013), Terre contigue: Psicoanalisi e Educazione. Il ruolo dell’Osservazione, Edizioni Borla, Roma.

Cecchetti P., Tagliaferri C. (2018), Analisi Incompiute: l’analista in gioco con lo Psicodramma Analitico, Alpes Italia, Roma.

Gaudè S. (2015), Sulla rappresentazione, edizione italiana a cura di Fabiola Fortuna, Alpes Italia, Roma.

Articoli:

Gaudè M. N., L’Osservazione, la mal nominata.

Lemoine G., L’Osservazione, in «Bulletin della Sept», n.19, 1970

Bourdariat P., L’Osservazione nello Psicodramma

Minnucci A., L’Osservazione nello Psicodramma Freudiano.

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