«Posso affermare con sicurezza di sapere che
se nulla passasse non esisterebbe un passato;
se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro,
se nulla esistesse non vi sarebbe un presente»
(S. Agostino, Confessioni SantʼAgostino, BUR, Firenze, XI, 15.20)
Il tempo: recinto, limite…ma non solo
La relazione dell’uomo col tempo è difficile: il tempo è una dimensione dell’esistenza che sfugge al nostro controllo e con la quale continuamente ci dobbiamo confrontare.
La dimensione temporale è sempre stata al centro delle riflessione del pensiero umano.
L’etimologia del termine, dal greco tèmno e dal latino temperare, indicano entrambi l’atto con cui qualcosa è diviso secondo ordine e misura.
Platone, nel rappresentare la creazione del mondo1 da parte del Demiurgo, rileva che egli agì come agisce il musico: temperò, e cioè divise secondo ordine e misura il caos che aveva di fronte.
Platone, rispetto ai precedenti pensatori come Pitagora, sposta il piano della discussione da un ambito cosmologico a un ambito psicologico, in quanto basa il suo pensiero sul concetto di anima, non solo l’anima del mondo, ma anche l’anima dell’uomo, che della prima è il riflesso.
Secondo Platone quindi il tempo è ciò in base a cui l’aleatorietà del divenire viene regolata e quindi diventa misurabile.
Il tempo implica i tre tempi: passato presente e futuro. Implica il presente in quanto è soggetto al divenire, ma ugualmente scandisce il movimento, cioè lo misura, in riferimento a ciò che “era” e a ciò che “sarà”.
Aristotele sintetizza così questo concetto: «Il tempo è la misura del movimento secondo il prima e il dopo»2, una definizione che rimarrà punto di riferimento per il mondo classico, fino al Medioevo.
S.Agostino, siamo quindi agli inizi del Medioevo, ribadisce la dimensione psicologica del problema del tempo. Infatti per lui il tempo è la tensione dell’anima in direzione del passato e del futuro. L’anima tende al passato, riattualizzandolo e tende al futuro, anticipandolo. Quindi in realtà non c’è passato o futuro, ma soltanto presente: il presente del passato e il presente del futuro.
La concezione del tempo di S. Agostino è stata ripresa in tempi recenti da Bergson, Husserl e Heidegger.
Il fisico Einstein, con la teoria della relatività, considera che non esiste un presente universale valido per tutti i fenomeni ma che dipende alla posizione di ciascun osservatore. Infatti la relatività spiega che, a seconda del sistema di riferimento, due eventi possono essere simultanei o meno.
Henry Bergson (1859-1941), uno dei più grandi filosofi dell’era contemporanea, ha criticato le idee di Einstein, secondo cui il tempo è una quarta dimensione: il tempo della relatività è astratto e, conclude, nella nuova fisica è necessario distinguere ciò che è reale e ciò che è solo una convenzione.
Il dibattito tra le due posizioni si è alimentata nel tempo ma non si è mai giunti ad un punto d’incontro, diventando una sorta di simbolo del tradizionale conflitto tra scienza e filosofia.
La percezione del tempo e le neuroscienze
Venendo ad ambiti più vicini alla psicologia, un contributo importante alle riflessioni sul tempo sono state date dai neuroscienziati.
Nello studio dei processi cognitivi il tempo ha svolto e svolge un ruolo importante, ma mentre risulta essere sempre più chiaro il contributo di molte diverse regioni del cervello ai calcoli temporali, risultano ancora sconosciuti i meccanismi neuronali correlati alla percezione del tempo.
Il tempo e la coscienza sono diventati intrinsecamente connessi con lo sviluppo di una nuova area di ricerca relativa al concetto di cronestesia, ovvero la “consapevolezza del tempo soggettivo”, concetto elaborato e approfondito da Endel Tulving, psicologo estone che opera in Canada.
Per cronestesia egli intende una forma di coscienza che consente ad ognuno di pensare al tempo soggettivo in cui vive e questa funzione aiuta l’individuo a “viaggiare mentalmente” nel suo tempo. La cronestesia è legata ad alcune funzioni neurocognitive come il ricordo (funzione di memoria), il pensiero del futuro (anticipazione) e la pianificazione (funzione esecutiva) ed è influenzata anche da mediatori chimici interni come la dopamina o da sostanza psicotrope esterne come la cocaina o i farmaci neurolettici.
Quindi, in sintesi, secondo Tulving la percezione del tempo è connaturata al nostro sistema neuronale e invecchia man mano che invecchiamo, favorendo quel senso del “tempo che fugge”.
Nell’ambito delle neuroscienze un altro interessante progetto di ricerca che ha per oggetto il tempo è quello condotto dallo psicologo statunitense Philip George Zimbardo.
Zimbardo ha elaborato con il collega John Boyd la teoria della Prospettiva Temporale, secondo cui ognuno di noi sviluppa una particolare prospettiva temporale – orientata al futuro, al presente o al passato (rivissuto in positivo o in negativo) – che si rivela determinante per i nostri atti.
Zimbardo e Boyd sostengono che ognuno di noi “agisce” secondo il proprio orientamento temporale, un orientamento che ci guida nei nostri processi decisionali. Secondo gli autori esistono sei “orientamenti temporali”, in base ai quali si declinano diversi modi di vedere il mondo, prendere decisioni e agire. Facciamo un esempio. Alcune persone sono state tradite così tante volte in passato che scelgono di stare da sole, il che le rende inaffidabili nelle relazioni. Pertanto, possiamo dire che agisce sulla base del passato. Oppure c’è chi sceglie di vivere ogni giorno al massimo e guida le proprie scelte di vita seguendo la propria “sete di cose da fare”, facendo esperienza e vivendo appieno il presente.
Tutti conosciamo la dimensione del tempo: la questione, secondo Zimbardo e Boyd, è quanto siamo concentrati su una particolare dimensione della nostra vita quotidiana e quanto ne siamo, di conseguenza, influenzati nelle nostre azioni.
L’approccio delle neuroscienze alla questione del tempo si basa, ovviamente, sugli aspetti fenomenologici della dimensione temporale ma è con la psicoanalisi che si va al di là di quanto si osserva per analizzare come ogni individuo è implicato in tale dimensione.
Il tempo in psicoanalisi
La “dimensione tempo”, con la visione psicoanalitica, si sposta dalla sfera dei processi coscienti a quella dei più profondi e nascosti processi dell’inconscio.
Secondo Freud, la relazione dell’uomo con il tempo segue la successione cronologica (presente, passato e futuro) soltanto nei processi coscienti: cioè il flusso cronologico del tempo è unicamente frutto dell’attività cosciente e conserva i suoi momenti, distinti l’uno dall’altro, alla superficie della coscienza.
Nel mondo dell’inconscio si viene a perdere l’organizzazione cronologica ed i momenti temporali emergono dall’inconscio mescolati insieme e contestualmente presenti: cioè presente, passato e futuro, nel passaggio da un momento all’altro, non hanno successione cronologica.
Un concetto particolare della teoria freudiana riguarda proprio il tempo e Freud per esso ha coniato uno specifico vocabolo: Nachtraglichkeit, composto da nach (dopo) e tragen (portare) e che letteralmente significa “attirare verso un effetto successivo”.
In italiano è stato tradotto con la locuzione “a posteriori”, mentre in francese con “aprés coup”.
Questo vocabolo compare nella descrizione della teoria del trauma: indica un processo psichico inconscio che collega un evento traumatico, la sua rimozione, e la successiva attivazione con manifestazioni variabili, che hanno il carattere di prodotti psichici sostitutivi.
Secondo Freud quindi un evento è traumatico soltanto “a posteriori” nel momento in cui l’evento stesso assume un significato traumatico, precedentemente rimosso.
Il fattore tempo quindi, per Freud, incide sulla realtà psichica del soggetto causando una discontinuità tra la causa e l’effetto. Compito dell’analisi è di effettuare una lettura a ritroso di quanto successo, una lettura che ha effetto sul presente e sul futuro del soggetto.
Lacan si discosta dalla visione di Freud, considerando l’inconscio sì atemporale ma che si manifesta come un fenomeno imprevisto.
Nel Seminario XI rileva: «L’inconscio si manifesta sempre come ciò che vacilla in un taglio del soggetto, da cui ricompare all’improvviso una trovata che Freud assimila al desiderio […]».3
L’inconscio risulta quindi come una pulsazione, una intermittenza.
Compito dell’analisi è cogliere quell’istante che l’analista deve saper provocare; sta infatti all’analista provocare l’attesa, la sorpresa e la conclusione: l’apologo dei tre prigionieri descrive questa scansione.
Il famoso “apologo dei tre prigionieri” viene descritto da Lacan nel saggio, Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata (1945).
L’enigma consiste nel fatto che il direttore presenta ai tre prigionieri tre dischi bianchi e due neri e promette la libertà a chi saprà dire di che colore è il disco sulle sue spalle seguendo un ragionamento logico.
Sulle spalle dei tre prigionieri vengono applicati tre dischi bianchi.
I prigionieri sanno che non esistono tre dischi neri e ciascuno vede sulla spalla degli altri due dischi bianchi. Questo momento è cruciale: si passa dall’istante di vedere al tempo di comprendere.
Ognuno dei prigionieri ragiona così: «Se io fossi nero, l’altro vedendomi nero, penserebbe che se fosse nero, il terzo potrebbe uscire, sicuro di essere bianco, perché ha visto due neri. Ma questo non avviene. C’è esitazione tra noi. Nessuno si muove perché tutti sono incerti. Questo vuol dire che sono bianco».
Dall’incertezza si passa quindi alla certezza.
Dal comprendere che anche gli altri non comprendono arriva il tempo di concludere, sincronicamente uguale per tutti. E tutti si avviano contemporaneamente verso l’uscita.
Il passaggio dall’incertezza alla certezza avviene a livello collettivo, e infatti Lacan conclude il suo saggio con le parole: «Le collectif n’est rien, que le sujet de l’individuel» (se c’è un sapere, questo è originariamente collettivo in tutti)4.
Nell’apologo dei tre prigionieri il tempo è scandito in due tappe: l’istante di vedere e il momento di concludere a loro volta separate da una sospensione, il tempo per comprendere. E l’atto finale (l’atto di uscire) dipende dall’Altro.
Nell’analisi il transfert permette di scandire questi momenti e far accedere l’analizzante al tempo di sapere.
Secondo Lacan in analisi il tempo è un fattore fondamentale; egli lo definisce “tempo logico” per sottolineare il fatto che l’esperienza analitica non consiste in una successione cronologica di momenti ma di istanti, di “lampi di sapere” su cui si basa il lavoro dell’analista.
La seduta a tempo variabile proposta da Lacan è la diretta conseguenza di questa concezione dell’analisi, in quanto agevola e condensa il tempo stesso della cura: l’analista ascolta il discorso del paziente, ne sottolinea gli elementi significanti affinché il paziente stesso sia in grado di avviarne l’elaborazione.
Il tempo nella clinica/1
Pretendere il tempo
Durante una seduta di gruppo di base di qualche mese fa, Emilio esordisce portando una sua questione.
Emilio, un uomo di circa cinquant’anni, affermato professionista, descrive spesso una relazione problematica col mondo femminile.
«Da poco tempo ho conosciuto una donna in occasione di una riunione di lavoro» racconta «e dopo aver fatto due chiacchere dopo la riunione le ho proposto di sentirci e ci siamo scambiati il numero di telefono».
«Ho deciso di chiamarla la prossima settimana … ma poi mi sono chiesto perché aspettare? Che cosa voglio rimandare?»
Lasciato in sospeso questo interrogativo, interviene Claudio che, a proposito del tempo, descrive una discussione avuta con la sua compagna, Giovanna. La ragazza lo critica perché è poco presente: il lavoro, il figlio, lo tengono occupato parecchio e, secondo lei, ha sempre poco tempo per lei. Claudio, di contro, pensa di fare il possibile per starle vicino e nello stesso tempo dedicarsi al figlio e al lavoro. La tensione è progressivamente aumentata fino a sfociare in una discussione per telefono.
Decido di far giocare questa telefonata.
Per la parte di Giovanna, Claudio sceglie Milena, una signora che nelle ultime sedute ha manifestato spesso la sua insofferenza verso il marito che, a suo dire, non l’aiuta abbastanza nella gestione della casa. Claudio la sceglie perché “insofferente”, come vede attualmente Giovanna.
Nel gioco Claudio, quando interpreta se stesso, è silenzioso anche se la Giovanna interpretata da Milena non è affatto insofferente, anzi appare affettuosa e desiderosa della vicinanza del compagno. Viceversa, nel cambio di ruolo, Claudio prende “animo” e si mostra molto severo verso se stesso interpretato da Milena. L’A solo finale suggella questo atteggiamento dicendo «Da lui voglio sempre di più».
Tra le riflessioni di chi ha osservato il gioco mi colpisce quella di Giulio: «Soffro di non aver tempo per soddisfare le richieste di altri».
Vediamo dunque come la questione del tempo ricorra frequentemente nei discorsi dei pazienti: c’è un tempo da aspettare, c’è un tempo da dare, c’è un tempo da ricevere … ma cos’è dunque questo elemento inafferrabile ma imperante che influenza così tanto la vita di ognuno?
Come abbiamo sottolineato agli inizi dell’articolo il concetto di tempo è strettamente legato, anche dal punto di vista etimologico, alla misura, al contenimento. Quindi non deve sorprendere che ognuno di noi debba continuamente fare i conti con una dimensione della propria soggettività che viene condizionata inevitabilmente dal fattore tempo.
Il tempo e il limite
Tempo quindi come dimensione della nostra esistenza ma fuori dal nostro controllo, che ci segna fin dalla nascita e condiziona le nostre aspettative: mettere il tempo al nostro servizio appare un traguardo irraggiungibile, anche se a chiederlo, a volte pretenderlo, siamo noi stessi o, come nel caso di Claudio, l’altro.
Cosa ci chiede l’altro quando ci chiede tempo?
Riprendiamo le osservazioni di Freud, a proposito del superamento del complesso edipico: il momento fondamentale per lo sviluppo psicosessuale del bambino è il momento in cui il complesso di Edipo “subisce un tracollo”. Freud individua una contrapposizione tra i due sessi per quanto riguarda il complesso di Edipo:
«Mentre il complesso edipico del bambino crolla a causa del complesso di evirazione, il complesso edipico della bambina è reso possibile e introdotto dal complesso di evirazione»5.
Il destino del complesso di Edipo è comunque segnato per entrambi i sessi, ma, mentre per il maschio «esso si sfracella letteralmente sotto lo shock della minaccia di evirazione»6, per la femmina, viene abbandonato solo molto lentamente per effetto della rimozione.
Il bambino, in entrambi i sessi, comincia a fare i conti con l’impossibilità di avere potere assoluto su l’altro, a cominciare dalla madre.
Che relazione possiamo cogliere tra la richiesta del tempo dell’altro con il complesso di Edipo?
Nel momento in cui l’altro chiede/pretende il nostro tempo, è come se chiedesse/pretendesse una parte di noi, una parte significativa di noi. Rinunciarvi può risultare quindi difficile, se non impossibile.
Tornando alla questione di Claudio, la richiesta della compagna sembra animata non tanto dalla logica del desiderio, quanto piuttosto dalla logica del bisogno. Non sembra esserci dunque, ascoltando il discorso di Claudio, possibilità di una alternativa: Giovanna chiede il tempo di Claudio come se chiedesse una parte di lui.
Naturalmente, come terapeuta, non posso che stare al discorso portato dal paziente, ma l’impressione avuta nell’ascoltare il discorso di Claudio è stata confermata dallo svolgimento del gioco.
Nella parte dell’altro (nella parte di Giovanna) Claudio era deciso, determinato: non c’era possibilità di una “contrattazione”. E’ risultato evidente che una parte interna di Claudio non potesse concedere a Claudio stesso una minima possibilità di manovra: la richiesta di tempo era perentoria e senza possibilità di alternative.
Infine, le parole di Giulio, che hanno fatto eco al gioco, «soffro di non aver tempo per soddisfare le richieste degli altri», hanno confermato questa dimensione interna autoritaria, a tratti persecutoria: la mancata soddisfazione dell’altro si può scontare solo con la sofferenza.
Vediamo dunque come la dimensione del tempo assuma un ruolo cruciale non solo a livello relazionale, ma anche, e direi soprattutto, a livello intrapsichico. Il tempo può essere una trappola (pensiamo ad esempio a chi dedica tante ore al lavoro) ma con la sua intrinseca caratteristica di limite, può consentire a ciascuno di noi di fare i conti con le nostre pericolose illusioni di onnipotenza.
Il tempo nella clinica/2
Una paziente che non ha tempo.
Anche nella esperienza analitica il soggetto deve affrontare l’impossibilità a controllare il tempo, e anche nel contesto “di cura” questo confronto è cruciale per il raggiungimento della maturità psichica.
In una seduta di supervisione dello scorso anno Daniela, una psicoterapeuta, porta il caso di una sua paziente che sembra avere una grossa questione con il tempo.
«Vorrei parlare di una mia paziente che qualche mese fa mi ha prospettato, al telefono, problemi organizzativi per venire alle sedute. È infermiera e a volte deve fare doppi turni. La scorsa settimana non si è presentata alla seduta e mi ha telefonato dicendo che aveva lavorato tutto il fine settimana, e che sarebbe venuta la settimana successiva».
Nelle ultime sedute l’argomento principale è che il suo tempo è occupato tutto dal lavoro e quindi non riesce a dedicarsi ad altro, compresa la sua terapia. L’ultima seduta si è svolta al telefono proprio perché lei è impossibilitata ad andare allo studio.
Si gioca questa ultima telefonata.
Per il ruolo di Giuseppina, la paziente, Daniela sceglie Rossella.
Nella prima parte del gioco Daniela appare in difficoltà di fronte alla continua lamentela della paziente, che non ha tempo …
Nella seconda parte Rossella, come terapeuta, offre diverse soluzioni per consentire alla paziente di proseguire la terapia, poi, all’improvviso, si ha un repentino cambio di “direzione”, quando con un doppiaggio Clelia chiede cosa stia succedendo attualmente nella vita della paziente. Una domanda che spiazza la paziente, interpretata da Daniela, e che ha il potere di interrompere la sua nenia lamentosa.
L’A-solo finale ci presenta una paziente da una parte più tranquilla, perché è stata ascoltata nella sua “vera” questione, che non era certo la mancanza di tempo, ma anche inquieta a causa proprio di un interrogativo aperto e che la costringeva a fare i conti con una questione latente, ancora non emersa.
Il gioco di Daniela ci offre la possibilità di osservare come spesso il fattore tempo diventi una strategia di difesa per evitare l’incontro con l’angoscia, per evitare la decisione, la scelta, la presa di posizione, e, perché no, per evitare il lavoro terapeutico.
Una difesa che, a ben vedere, sembra riguardare non solo la paziente ma anche la terapeuta: per entrambe, infatti, la questione del tempo sembra essere centrale.
ll gioco, con l’improvviso doppiaggio, ha avuto il potere di mettere in crisi la rigidità di entrambe.
Lo psicodramma ci consente di vedere all’opera “l’apologo dei tre prigionieri”, cui abbiamo accennato prima a proposito della teoria lacaniana: dopo l’istante di vedere (la lamentela sul tempo), la domanda consente di arrivare al tempo di comprendere e, quindi, il momento di concludere, il momento in cui si prende consapevolezza che la questione del tempo è una falsa questione; la sorpresa, il piccolo imprevisto autorizza la paziente ad uscire dall’incastro ed essere un po’ più viva. Analogamente, la terapeuta potrà verificare come il discorso sul tempo l’avesse ammaliata e, in qualche modo, bloccata: grazie alla sua capacità di ascolto sarà in grado di smascherare il “bluff” e consentire alla paziente di lavorare per sé, per iniziare ad accedere al suo sapere.
Riflessioni finali
I brani clinici proposti rilevano come la questione del tempo, in ogni sua declinazione, possa rappresentare un ostacolo e una opportunità nel lavoro analitico.
Ostacolo perché spesso le questioni relative al tempo (poco tempo, troppo tempo, tempo perso, ecc.) mascherano la posizione del soggetto nei confronti delle proprie questioni, le potremmo definire un sintomo sui cui, però, non ci si può fermare.
Opportunità perché proprio nel momento in cui i discorsi del paziente si concentrano sul tempo, possono essere un segnale di “allarme” per il terapeuta, e rendere il suo ascolto particolarmente attento.
Questo paradosso è soltanto apparente, e in sintonia con le caratteristiche del concetto “tempo”, un entità misurabile ma al tempo stesso impalpabile: una «Successione di istanti, intesa sempre come una estensione illimitata, ma tuttavia capace di essere suddivisa, misurata, e distinta, in ogni sua frazione o momento»7 come recita l’Enciclopedia Treccani.
Penso che proprio questa intrinseca contraddittorietà (entità con estensione illimitata ma misurabile e distinta) renda il tempo un elemento perturbante e difficile da comprendere in pieno.
Fabiola Fortuna
Psicoanalista, Psicodrammatista, Direttore Centro Didattico di Psicoanalisi e Psicodramma analitico-Roma SIPsA, Membro della SEPT, Past President S.I.Ps.A., Didatta e Membro del Comitato Scientifico S.I.Ps.A., Membro Forum Lacaniano Italiano, Socio Analista del CIPA con funzioni didattiche, di docenza e di supervisione.
fabiolapsiche@gmail.com