«Pensate che il passato, solo perché è già stato,
sia compiuto ed immutabile? Ah no!
Il suo abito è fatto di taffettà cangiante,
e ogni volta che ci voltiamo a guardarlo
lo vediamo con colori diversi»
M.Kundera (1982)
Il tempo della cura analitica è un problema fondamentale per la riuscita della cura stessa, ma anche per la ricerca che ogni analista fa per comprendere la sua stessa pratica clinica, cioè se stesso, psicoanalista, in relazione con i suoi pazienti in analisi.
Freud, per primo, elaborando il concetto di Nachtraeglichkeit, ha introdotto nella teoria della mente una concezione di tempo non lineare, non progressivo, che caratterizza il modo di concepire, psicoanaliticamente, la condizione umana nel suo sviluppo di crescita e cambiamenti affettivi, corporei-sessuali, di personalità e, soprattutto, la condizione di relazione con coloro che incidono sul percorso di sviluppo dell’individuo.
Jung introduce nella psicologia analitica il concetto di “sincronicità”. Una delle sue ultime opere (1952) si intitola Sincronicità come principio di nessi acausali scritta in collaborazione con il fisico premio Nobel, oltre che suo grande amico: Wolfgang Pauli.
Una paziente, durante una seduta, narrò a Jung un sogno le cui immagini contenevano uno scarabeo dorato. Durante questa narrazione sul vetro della finestra Jung udì un battito. La sua attenzione divenne sorpresa quando si accorse che batteva contro il vetro una cetonia, un insetto verde smeraldo dorato. Questo episodio, vissuto in seduta analitica, indusse Jung alle riflessioni che lo portarono, insieme al suo amico Pauli, ad elaborare il concetto di “evento sincronico”.
Bion in Apprendere dall’ esperienza (1962) scrive: «Il termine “fatto scelto” indica un’esperienza emotiva consistente nella sensazione di aver scoperto qualcosa di coerente: esso ha quindi un significato epistemologico e non ci si deve aspettare che il rapporto fra più fatti sia di natura logica» (Op. cit. pp. 129-130, tr. it.). Il termine “evoluzione” viene usato da Bion in riferimento alle operazioni mentali necessarie al realizzarsi del “fatto scelto”. Nell’ annotare le sue riflessioni, poi pubblicate con il titolo di Cogitations (2010), scrive: «Con questo termine (“evoluzione”) designo il collegarsi, mediante un’improvvisa intuizione, di una serie di fenomeni apparentemente slegati tra loro e che, in conseguenza dell’intuizione, hanno assunto una coerenza ed un significato che prima non possedevano» (p.316 tr. it.).
I rimandi teorici a Freud, Jung e Bion stanno ad esprimere come sia difficile trasmettere in linguaggio narrante, sia pure aderente al pensiero scientifico di celebri scienziati la cui ricerca ancor oggi, ispira ciò che accade in percorsi psicoanalitici in cui due persone: un paziente ed un analista, stretti in un legame emotivo di transfert e controtransfert, immersi in un “non luogo” come lo spazio – tempo analitico, diventano artefici di “trasformazione”.
Lo scorrere del tempo è silente ed impercettibile anche nella sua dimensione oggettiva, collettiva, lineare, stabilita da studiosi con elaborati calcoli astronomici e trasmessa ovunque nel mondo attraverso misuratori di precisione. Gli orologi stabiliscono i ritmi delle attività personali e sociali nel mondo, e, per quello che ci riguarda, anche al ritmo temporale di ogni inizio e termine degli incontri analitici. Ma nella seduta la coppia analitica sperimenta, vive, ricorda altre dimensioni temporali, già vissute, ingannevoli, rimosse o dimenticate. I soggetti che operano insieme, in analisi, sono costretti ad affrontare il tempo nei vissuti proposti dalla psiche, nell’ impossibilità di controllarlo. La condizione analitica diviene pertanto una condizione di incertezza, di avanti e indietro nei vissuti temporali del paziente che emergono informi, alla ricerca di confini e di significati trasformativi.
La seduta analitica permette di sperimentare nel setting, che funge da organizzatore di un nuovo contesto, una ricontestualizzazione emotiva di eventi psichici. Nel percorso analitico, come hanno ben teorizzato Freud, Jung e Bion, si determinano complesse costruzioni temporali fino a sperimentare l’inversione temporale, che dal presente conduce al passato, per dare forma all’ intrecciarsi caotico di vissuti psico-emotivi mai arrivati alla conoscenza ed al controllo dell’Io. Ma dal “presente-consapevole-reale” queste nuove “forme” di antichi contenuti della psiche spesso si ricollocano nel passato in cerca, forse, di nuove dimensioni più evolute o meno dannose. Un movimento temporale che dal presente si orienta al passato da cui emergono intrecci psico-emotivi inconsapevoli che, nella rassicurante situazione analitica possono essere riconosciuti ed elaborati dal paziente; per poi, eventualmente tornare alla coscienza modificati, compiendo un percorso inverso a quello già accaduto, per poi di nuovo ripresentarsi alla ricerca di ulteriori, progressive elaborazioni.
Il concetto di Nachtraeglichkeit, contiene, infatti, al suo interno questa doppia direzione temporale, affinché un ricordo divenga consapevolmente traumatico soltanto in un tempo più tardo, quando le circostanze lo permettono.
Jung elaborò la teoria dei “Complessi a tonalità affettiva” in seguito alle ricerche condotte presso l’Ospedale Burghölzli di Zurigo negli anni 1904-1906 sul tema delle Associazioni verbali.
In Considerazioni sulla teoria dei complessi (p.113, vol. 8) scrive: «Che cos’è allora in termini scientifici, “un complesso a tonalità affettiva”? È l’immagine d’una determinata situazione psichica caratterizzata in senso vivacemente emotivo che si dimostra inoltre incompatibile con l’abituale condizione o atteggiamento della coscienza. Questa immagine possiede una forte compattezza interna, ha una sua propria completezza e dispone inoltre di un grado relativamente alto di autonomia, il che significa che è sottoposta soltanto in misura limitata alle disposizioni della coscienza e si comporta perciò, nell’ambito della coscienza, come un corpus alienum animato. Il complesso può di solito essere represso con uno sforzo di volontà, ma non eliminato, e quando si presenta l’occasione opportuna riemerge con tutta la sua forza originaria».
Gli esperimenti di Associazioni verbali furono condotti sia con individui psichicamente sani che con individui affetti da patologie psichiche, I risultati portarono Jung ad elaborare la Teoria dei complessi, riconosciuta dallo stesso Freud nella sua utilità conoscitiva. Freud, però dopo la rottura con Jung, dal 1916, fece un uso molto limitato della scoperta, usando la parola “complesso” seguita da un termine che ne cambiava il senso: ad esempio “complesso edipico”.
I risultati degli esperimenti consentirono a Jung di elaborare una descrizione empirica, esprimibile in termini scientifici, dell’inconscio, non solo nel dinamismo manifestato nel rivelare la natura e lo sviluppo dei complessi a tonalità affettiva, ma anche di poter disporre di “risultati sperimentali” comunicabili all’interno della comunità scientifica. Inoltre egli ne intuì l’importanza clinica anche nell’ applicazione del metodo di cura freudiano.
È noto che Jung nel procedere delle sue ricerche e nell’elaborazione delle Opere pubblicate successivamente agli Studi psichiatrici che si riferiscono ai suoi anni di lavoro come psichiatra al Burghölzli, arrivò a concepire un concetto di libido ben diverso da quello di Freud. Jung intese la libido come energia psichica, comprendendo che il modello complessuale a tonalità affettiva con il dinamismo interno ai vari complessi sia inconsci, sia nei confronti della coscienza, conteneva possibilità descrittive ed esplicative delle caratteristiche psicologiche ancora più complete, veritiere e fruibili per una chiara descrizione scientifica, poiché la motilità psichica vi deriva da una energia psichica liberata dai vincoli sessuali che ne rendevano ripetitive le espressioni corporee ed immaginali.
Dalle osservazioni cliniche dei movimenti interni ai complessi a tonalità affettiva, soprattutto inconsci, la dimensione tempo che vi si avverte è quella ciclica delle origini a cui anche la psiche umana ha aderito uniformandosi all’accadere periodico della Natura. Al tempo delle origini, tempo di “participation mistique”, si possono ricondurre gli archetipi e l’inconscio collettivo in cui Jung ha ritrovato nella filogenesi il patrimonio immaginale dell’umanità. Questo patrimonio è presente e attivo non solo nelle menti dei singoli individui ma anche nei riti e cerimonie religiose di società internazionali, in cui si ritrovano manifeste espressioni immaginali e comportamentali riconducibili agli archetipi.
Sembrerebbe che la dimensione temporale: “tempo ciclico” entri pienamente attiva nella seduta analitica attraverso l’energetica complessuale. Si apprende dalle descrizioni delle sedute di psicoanalisti esperti che spesso accade alla coppia analitica di ritrovare a fatica la dimensione mentale di tempo cronologico dopo averla “dimenticata” in seguito ad analisi di sogni o ad intensi vissuti emotivi che emergono nel paziente il cui l’I riesce a tollerarli poiché si sente “sotto tutela”, protetto nella relazione analitica e può, perciò, sostenere il contatto con aspetti dell’inconscio mai frequentati. Perdere e ritrovare il tempo lineare sembrerebbe una capacità analitica che fa emergere alla coscienza contenuti appartenenti a dimensioni complessuali inconsce, che perciò conservano l’aspetto inconscio della atemporalità collettiva. La dimensione spazio-temporale dell’analisi si caratterizza anche come spazio-tempo interiore, vissuto dal paziente come dimensione cronologica lineare nella ritmicità delle sedute che si svolgono a scadenze concordate in giorni e tempi con l’analista sin dall’inizio dell’analisi e si ripetono nello scorrere del calendario che fa parte della costruzione del setting analitico, che, proprio perché ripetitivo diviene rassicurante, protettivo, contenitivo e permette con queste sapienti caratteristiche l’uscita ed il rientro nel tempo cronologico della dimensione analitica.
Trascorsero anni e molte ricerche condotte anche in collaborazione con Pauli prima che Jung pubblicasse nel 1952 con il titolo La sincronicità come principio di relazioni a-causali, apparsa in un volume pubblicato con Pauli dal titolo: “Spiegazioni della Natura della Psiche” nella cui prefazione Jung stesso dichiara che non si tratta di un’opera esaustiva, ma «unicamente uno studio per sollevare il problema».
Gli avvenimenti sincronici sono caratterizzati dalla coincidenza dell’accadere di un fenomeno reale, oggettivo e fisico, con un avvenimento psichico senza che se ne possa individuare una ragione, un nesso o una determinazione causale. Questi fenomeni sono di difficile comprensione ed anche di difficile descrizione e comunicazione ad altri. La qualità numinosa degli avvenimenti sincronici rende necessaria una prova diretta, personale che ne riveli l’esperienza; esperienza forse rara, ma sembra di poter affermare non così rara in analisi. Spesso “avvenimenti sincronici” accadono nelle prime sedute di un percorso analitico, quando una qualche forma di accadere sincronico si riferisce ad un complesso affettivo, soprattutto inconscio, dominante del paziente (forse dovremmo rilevare: dominante nella seduta).
Nelle cure psicoanalitiche che sperimentiamo con i nostri pazienti è affascinante riflettere sulla dimensione tempo che stiamo attraversando. Jung ripete spesso nei suoi scritti: «[…] Io sono un empirico». Che significa? Vuole certamente affermare che egli si attiene ai “fatti” alla concretezza degli accadimenti senza lasciarsi condurre dalle fantasie in mondi lontani dall’accadere scientifico.
Molti analisti sono convinti che il tempo cronologico non esiste, ma è proprio così?
J. Newton scrisse nei Principia Matematicae che i concetti di spazio e tempo dovevano considerarsi “universali” e come due entità distinte ed assolute; questi concetti dominarono la cultura scientifica fino a quando A. Einstein rese nota la teoria della relatività. Spazio e tempo diventarono, perciò, concetti dipendenti dai sistemi di riferimento culturali e mentali degli osservatori. Quindi per capire davvero la dimensione temporale dobbiamo osservare il nostro mondo interiore. J. Krishnamurti afferma che «Il pensiero nasce dall’ esperienza e dalla conoscenza, che sono inseparabili dalla concezione del tempo». Sant’ Agostino, in anni molto lontani da quelli attuali, descrive il tempo come: “Tempus distensio animae” quasi ad affermare che abbiamo una percezione del tempo diversa a seconda delle situazioni mentali ed emozionali che viviamo.
La filosofia, la matematica, la fisica, la meccanica quantistica ci propongono concezioni e forme temporali che rivelano come “il tempo” possa diventare soggettivo oppure episodico a seconda delle situazioni vissute. Anche la psicoanalisi possiede un tempo lineare – sociale ed un tempo emotivo – empatico – emozionale, sintonico tra analista e paziente che può contenere episodi sincronici significativi.
Jung ci descrive situazioni analitiche in cui “contemporaneamente” paziente e analista fanno esperienza di un tempo soggettivo ma comune in cui il presente analitico contiene il futuro del passato.
Il rimando a Bion diviene qui un obbligo. Egli scrisse un’opera, una trilogia: Memoria del futuro composta di tre saggi: Il sogno, Presentare il passato, L’ alba dell’oblio.
Bion, di origini indiane, studiò medicina e fu paziente e allievo di Melania Klein al cui pensiero possono essere rinviate alcune sue scoperte teoriche o metodologiche ad esempio la rêverie.
Sonia Neves Langlands (2003) ritiene che Bion può essere considerato un pensatore della complessità che si caratterizza dal non-riduzionismo, dal non-determinismo, non-equilibrio e non-linearità. Da ciò ne deriva la non facile comprensione ed applicabilità clinica del suo pensiero, a ciò contribuisce la circolarità dei concetti il cui procedere corrisponde ad una immagine a spirale dei concetti stessi, la comprensione di ogni concetto passa attraverso la comprensione di altri concetti. Bion scrive di “Costruzione in analisi” non per ricostruire la storia del soggetto, ma di costruzione nel senso di interazione creativa. La psicoanalisi di Bion si avvale di un transfert che non è quello teorizzato da Freud nel senso di qualcosa di storico, di già esistente che si manifesta, ma di una transienza di qualcosa che è in transito ma che l’individuo non si è, ancora, mai trovato ad attraversarlo nel passato sia prossimo che remoto, uno stato che si sta sperimentando o vivendo per la prima volta.
Il tempo di cui teorizza Bion, nel senso di tempo mentale, attraversa tutto il suo pensiero e la sua teoresi che come scopo primario ha la ricerca della verità, la verità legata alla realtà psichica che segue un tempo interiore diverso dal tempo legato alla realtà esterna (Bion, 1973). Il tempo interiore appartiene alla seduta analitica come continuo “presente” a permettere l’accadere di fenomenologie psichiche, anche duali, che riguardano entrambi i soggetti coinvolti: analista e paziente. La seduta analitica vive e si nutre di presente.
Bion scrive in Il gemello immaginario (1967) che mediante una improvvisa “Intuizione” può avvenire il collegamento di una serie di fenomeni apparentemente slegati tra loro ma che attraverso l’ “intuizione” assumono coerenza e connessioni, assumendo così un significato che “prima” (dell’intuizione) non vi si riconosceva. Connessioni e coerenza, appartenenti, con certezza, al discorso del paziente. In seguito Bion chiamò questo l’avvenimento psico-emotivo: “fatto scelto” (prendendo a prestito l’espressione da H. Poincaré che nel 1908 la usò per comunicare come si manifesta un pensiero creativo durante una ricerca in matematica). Lo scopo della creazione di un “fatto scelto”, che riguarda ed appartiene al paziente ma è reso possibile dall’atteggiamento “rilassato” dell’analista, è rendere evidente e percettibile senso e legame di eventi significativi che avvengono nella relazione analitica e potrebbero funzionare per esprimere fatti emotivi significativi che altrimenti non si rivelerebbero in altra espressione. Il fatto scelto è un fatto sincronico, una costruzione psico-emotiva che si modula all’interno della cura analitica contemporaneamente nei due soggetti coinvolti, quindi un fatto unico soggettivo ma duale che avviene in una dimensione di legame analitico atemporale.
La caratteristica a-temporale “vissuta” dalla coppia analitica permette il discorrere inconscio di eventi drammatici, dolenti e senza voce che, silenziosamente si esprimono nel connubio transfert-controtransfert che davvero rende viva ogni storia di vita che si declini nel percorso psicoanalitico. Un gioco di emozioni, immagini, riflessi numinosi, impressioni che appaiono e scompaiono di nuovo nella dimensione archetipica da cui emergeranno mutate. Si crea così la possibilità di conoscere e riconoscere pensieri ed emozioni che emergono dal passato ma che si dimostrano futuro nella trasformazione simbolica che già vi si intuisce; parti del passato prive di parole, non riconosciute ed elaborate possono emergere alla consapevolezza come possibilità del futuro. Poeti come Keat, Rilke, nella loro scrittura fanno emergere segmenti dell’esistere, che si avviano verso imprevedibili percorsi d’ arte poetica. Quando l’Io non controlla le parole e le storie di una vita non sono narrabili perché troppo dolorose, il prevalere dell’“arte” analitica diventa più evidente. Nella stanza di analisi, bottega d’ arte o laboratorio alchemico, i pazienti ed i loro analisti si rendono protagonisti dell’invenzione del futuro possibile, che emerge dalla trasformazione dell’inconoscibile ed invivibile per l’Io del paziente, in capacità relazionale con la realtà interiore ed esterna, sostenuta da affettività e speranza.