«È così che l’inconscio si articola con ciò che dell’essere viene al dire. Ciò che del tempo gli fa da stoffa non è tratto dall’immaginario ma piuttosto da un tessile in cui i nodi non direbbero niente se non dei buchi che vi si trovano.» (J. Lacan, Radiofonia, in Altri Scritti, p. 423)
Il tempo è il correlato fondamentale dell’esistenza dell’umanità, essere e tempo vanno insieme e definiscono le varie modalità dell’essere nel mondo su cui da sempre indagano i filosofi, gli scienziati e anche gli psicoanalisti nella pratica clinica che incontrano.
Sin dall’antichità i greci usavano quattro termini per definire il tempo, Cronos per misurare la successione degli istanti, Kairos “il tempo nel mezzo” che denota il momento opportuno, quello che accade nell’istante della contingenza, Aion il tempo assoluto, eterno, sede della forza vitale che corrisponde al tempo vissuto, mentre Eniautos è un tempo fisso, dalla durata definita, per esempio un anno in particolare.
Queste quattro definizioni, che colgono la complessità del rapporto dell’essere umano con il tempo, ci portano direttamente nel campo della nostra esperienza clinica.
È noto come Freud avesse colto subito che il tempo del soggetto dell’inconscio non corrisponde al tempo cronologico che si può misurare su una linea stabilita dal discorso dell’Altro, dai ritmi e dalle esigenze dell’epoca, in cui in successione si scandiscono il passato, il presente e il futuro che fanno la Storia.
Fin dall’inizio della sua pratica clinica, Freud si accorge che il rimosso riaffiora alla coscienza con la stessa intensità dell’istante passato in cui è avvenuta la rimozione, come un eterno presente.
Allo stesso tempo le fantasie diurne, proiettate in un tempo a-venire, futuro, sono vissute come reali e sostitutive del presente che non soddisfa. La percezione soggettiva del tempo è correlata al fantasma che fissa il soggetto a un momento preciso nonostante la successione degli avvenimenti, se il discorso comune stabilisce l’età cronologica in base allo scorrere degli anni, si può dire che il soggetto freudiano ha l’età del fantasma, mentre quello lacaniano ha l’età del desiderio.
Il passato, il presente e il futuro si articolano al desiderio e alla sua soddisfazione, ma non sempre il soggetto dell’inconscio riesce a seguire il ritmo del discorso dell’Altro, si crea uno scarto che il sintomo mette in luce come difficoltà di adattamento che Freud riassume nel conflitto fra principio di piacere e principio di realtà: il sintomo fa obiezione al discorso prestabilito, il discorso dell’Altro.
Quando un soggetto arriva in analisi è perché percepisce una distanza fra il tempo soggettivo e il tempo degli altri che ha un ritmo che scorre che non si riesce più a seguire. Se il nevrotico non è mai al tempo giusto, sempre troppo presto o troppo tardi, lo psicotico è così fuori dal discorso dell’Altro che solo il delirio gli consente di tenere il ritmo dell’esistenza, mentre il perverso è fissato nella ripetizione dell’unico tempo della scena del suo godimento.
Se per un verso il sintomo segnala che l’armonia si è rotta, allo stesso tempo è un punto di arresto in cui può aprirsi una domanda. Se pensiamo alla clinica borromea, possiamo vedere il tempo cronologico del discorso dell’Altro, il tempo vissuto e il tempo contingente, come tre anelli che non sono più annodati, dove il sintomo segnala che il soggetto non riesce più a procedere nella vita, a fare storia.
Quello che prima annodava i tre tempi, portando quel minimo di soddisfazione che Freud definisce come l’omeostasi dovuta al principio di piacere, non funziona più e il soggetto comincia a parlarne in analisi. Il tempo marca sempre la differenza, non solo come punto di arresto nella continuità, ma anche come inizio, svolgimento e fine dell’analisi che diventa quindi un’opportunità di creare una nuova articolazione, un nuovo annodamento. Il ritmo diventa allora quello della catena significante, che nel corso delle sedute si articola, un significante dopo l’altro, nel movimento di apertura e chiusura dell’inconscio che può essere inteso come una temporalità1.
La cura analitica esige un tempo logico necessario per la messa in atto della realtà sessuale dell’inconscio, sogni, lapsus, atti mancati che tessono la trama di un discorso in una “strana temporalità” in cui si apre e si chiude il discorso inconscio. Se dal lato dell’intenzione cosciente l’atto mancato è fallito, dal lato incosciente invece risulta riuscito, perché il fallimento produce una fessura, una beanza in cui l’inconscio si rivela in un istante:
«Ciò che è ontico nella funzione dell’inconscio, è la fessura attraverso cui quel qualcosa la cui avventura nel nostro campo sembra così breve viene, per un istante, portato alla luce – per un istante perché il secondo tempo, che è di chiusura, dà a tale presa un aspetto evanescente.» (Lacan J., Il Seminario libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, p. 26)
L’apertura e la chiusura dell’inconscio sono le funzioni del tempo logico che Lacan nel sofisma dei tre prigionieri sintetizza in tre modi, l’istante di vedere, equivalente all’esperienza dell’insight, il tempo di comprendere e il momento di concludere, per dimostrare come la scansione temporale produce un effetto di decisione.1
La scansione temporale nel corso dell’analisi, sarebbe quindi il quarto anello che tiene gli altri tre, il tempo cronologico, il tempo vissuto e il tempo della contingenza, permettendo così il passaggio dall’inibizione, punto di arresto, al sintomo.
Se il sintomo può considerarsi un atto2, anche l’angoscia è un tempo di attesa e confronto col desiderio dell’Altro, che rivela la paura di un pericolo che viene dall’interno, il mondo pulsionale, o dall’esterno, il discorso dell’Altro.
Durante il confinamento della pandemia un analizzante dice che il Covid-19 lo fa sentire disorientato: «Sono fermo, ho perduto il nord, ho perduto la mia velocità», lo specifica in francese: «J’ai perdu ma vitesse», dicendomi che vitesse indica le marce dell’automobile. Osservo che la vitesse ha anche a che fare con la velocità, una dimensione del tempo, «è come se volessi andare a 100 all’ora ma mi ritrovo sempre in prima, quindi è impossibile, è tutto fermo». Il tempo determina anche un orientamento spaziale dove l’immobilità rivela un reale impossibile, in cui tutto è fermo e quindi tutto è uguale e senza distinzioni, è possibile attivare solo la prima marcia, che ferma il soggetto al primo istante di vedere un reale generalizzato, quello della pandemia, uguale per tutti. Parlando in analisi si percepisce come diviso e avvia la traversata del fantasma, motore del discorso analitico, e comincia a distinguere la ripetizione dalla rimemorazione e dall’elaborazione come Freud già aveva osservato nel suo saggio del 1914 3.
La funzione logica del tempo è quella che permette la messa in forma significante del reale pulsionale. Nel corso della seduta il taglio è la scansione temporale che ferma la catena significante in un punto che sospende il giro di ripetizione che la pulsione mette in atto, cioè la posizione inconscia in cui si trova il soggetto che si esprime nella forma attiva, passiva e riflessiva rivelando la struttura grammaticale e quindi temporale della pulsione stessa, ad esempio per la pulsione scopica: vedere, essere visto, vedersi essere visto4.
Guardando il grafo del desiderio potremmo figurare il taglio della seduta nella parte alta del grafo sulla linea che va dal matema del fantasma, $<> a verso d, il desiderio. Comprendiamo che il taglio della fine della seduta, produce un effetto solo quando si è instaurato il transfert, cioè solo quando dopo la fase preliminare il soggetto passa dalla domanda transitiva a una forma intransitiva di domanda sul desiderio, come illustra il grafo.
Se il soggetto dell’inconscio freudiano è sempre confrontato al desiderio e alla sua soddisfazione, Lacan osserva che nel binomio soddisfazione-insoddisfazione rimane sempre un resto irriducibile e che l’incontro con il reale determina sempre la stessa risposta, cioè il soggetto risponde sempre nella stessa maniera agli accadimenti contingenti. La ripetizione mostra che l’articolazione fra necessario e contingente lascia un resto irriducibile causato da una originaria perdita di godimento. A partire dal seminario del 1959-60 sull’Etica della psicoanalisi, Lacan parla di una perdita originaria di godimento dovuta all’entrata del soggetto nel mondo del linguaggio: il reale patisce del significante (Lacan, J., Il seminario libro VII, L’etica della psicoanalisi, 1959-60, 27 gennaio 1960).
Questo Altro preistorico, indimenticabile, che cerchiamo di ritrovare, resta irraggiungibile. L’Altro come das Ding è un luogo di godimento interdetto, luogo e tempo mitico come la scena di soddisfazione originaria di cui ci parla Freud nel VII° capitolo dell’Interpretazione dei sogni.
«Ciò che troviamo nella legge dell’incesto si situa come tale a livello del rapporto inconscio con das Ding, la Cosa. Il desiderio per la madre non può essere soddisfatto perché sarebbe la fine, il termine, l’abolizione della domanda, che è quel che struttura più profondamente l’inconscio nell’uomo. È proprio in quanto la funzione del principio di piacere è di far sì che l’uomo cerchi sempre ciò che deve ritrovare ma che non può certo raggiungere, che l’essenziale sta proprio qui, in questa molla, in questo rapporto che si chiama la legge dell’interdizione dell’incesto» (Lacan, J., Il seminario libro VII, L’etica della psicoanalisi, 1959-60, p. 84).
L’Altro esistito forse in un tempo mitico originario, interdice la soddisfazione dell’essere parlante, sia nel linguaggio che nel corpo. Se l’Altro, il tesoro dei significanti, è barrato, vuol dire che mancherà sempre un significante per parlare del godimento localizzato nel corpo proprio o nel corpo del simile nel momento dell’atto sessuale5. Ma se il godimento è interdetto è anche vero che si trova tra- i-detti, cioè è detto tra le righe delle formazioni dell’inconscio, dei lapsus, degli atti mancati, dei fallimenti dell’Io cosciente6.
Nel tempo della cura, cioè nel tempo del maneggiamento del transfert, l’analisi può decifrare i godimenti singolari, gli interdetti propri a ciascuno, e trasformare il carattere ineluttabile della ripetizione del sintomo. L’analizzante che all’inizio della cura pensa di “essere destinato a”, alla fine dell’analisi può arrivare ad identificarsi con il resto irriducibile e non ulteriormente decifrabile che ha trovato nel corso della cura, in un nuovo annodamento del suo tempo vissuto, con la contingenza di quello che accade nello scorrere del tempo cronologico, quello che Lacan chiama “il godere della vita”, nella lezione del 10 dicembre 1974 del seminario inedito RSI, a partire da una rilettura dello scritto di Freud Inibizione, sintomo e angoscia.
Del resto è proprio la questione del maneggiamento del transfert e del tempo variabile della seduta, che porterà Lacan ad essere allontanato definitivamente dalla S.F.P., la Società Francese di Psicoanalisi, e quindi dall’I.P.A., l’Associazione Internazionale di Psicoanalisi, nel 1963.7
In seguito alla direttiva del 13 ottobre 1963 in cui si decide l’esclusione di Lacan dalla lista degli psicoanalisti didatti, come condizione necessaria per affiliare la S.F.P. all’ Associazione Internazionale di psicoanalisi, il 20 novembre 1963 Lacan terrà la prima e unica lezione del seminario I nomi del Padre, seminario interrotto. Nel gennaio 1964 riprenderà il suo seminario con una svolta decisiva rispetto al suo insegnamento, basato non solo sulla lettura e sul commento dei testi di Freud, ma arricchito di nuovi concetti derivati dalla sua esperienza clinica, tanto che nel giugno del 1964 fonderà la sua Scuola L’E.F.P. e nell’ottobre del 1967 farà la Proposta sullo psicoanalista della Scuola, sempre nell’intento di scardinare i paradigmi standardizzati dell’insegnamento freudiano, per riportare la pratica e la teoria analitica all’esperienza originaria e autentica di scoperta.
Anche la proposta della passe va intesa in questo senso, perché è il tentativo di trasmettere quella “strana temporalità” del desiderio, il momento di passaggio che porta colui che analizza, cioè l’analizzante, a voler occupare il posto dell’analista, ed è propriamente un atto che procede dal dire contingente che avviene in analisi: «Diciamo innanzitutto che l’atto (l’atto tout court) ha luogo da un dire, e con questo esso cambia il soggetto. Ma è atto solamente se procede perché non solo si dice “procede”, o anche “stiamo procedendo”, ma perché in esso si verifica anche che “io ci arrivo”» (Lacan, J., L’atto psicoanalitico, Resoconto del seminario del 1967-1968, p. 369.)
L’atto è sia dal lato dell’analizzante che dal lato dell’analista, procede da un dire in cui lo psicoanalista figura come qualcuno a cui l’analizzante fa segno attraverso il sintomo e le formazioni dell’inconscio, è per questo motivo che è necessario un tempo logico:
«Questo tempo logico non ha altro In-sé che nella scelta per rilanciare l’offerta al masochismo8. È a questo che lo psicoanalista supplisce figurandovi come qualcuno. All’ “occorre il tempo” egli fa da supporto abbastanza a lungo perché a chi viene lì a dirsi non occorra ormai nient’altro che rendersi istruito del fatto che c’è una cosa che non è trascurabile: quella appunto con cui egli fa segno a qualcuno» (Lacan, J., Radiofonia, in Altri Scritti, p. 423).
L’atto della passe è il momento in cui dei congeneri, cioè altri psicoanalisti della Scuola, i passeurs e poi il Cartel della passe, riconoscono il passant come “qualcuno” e quindi conferiscono il titolo di analista di Scuola, AE.
Quindi al tempo della cura, necessario per lo svolgersi dell’analisi, si aggiunge un tempo della Scuola necessario per la formazione degli analisti che devono stare al passo del tempo, in risonanza con il discorso dell’epoca, con il reale del sintomo che ogni epoca presenta in modo diverso da quelle precedenti, basti pensare alla recente pandemia, o al discorso della fluidità dei generi sessuali impensabile all’epoca di Freud che parlava di bisessualità.
La domanda che ci poniamo è questa: come può la psicoanalisi contrastare il reale del sintomo dell’epoca che, in analogia a quello che accade al soggetto, impedisce che le cose funzionino?
«Il senso del sintomo dipende dall’avvenire del reale, e dunque dalla riuscita della psicoanalisi. Ciò che le si chiede è di sbarazzarci sia del reale che del sintomo. […] Il bello sta nel fatto che negli anni a venire l’analista dipenderà dal reale e non il contrario. L’avvento del reale non dipende assolutamente dall’analista. Egli ha la missione di contrastarlo» (Lacan, J., La terza, in La psicoanalisi n. 12, pp. 20-21).
La posta in gioco è alta, perché la formazione dell’analista e la Scuola che la garantisce hanno come obiettivo la questione dell’atto e della responsabilità dell’atto, a cui si giunge alla fine dell’analisi che mira alla destituzione soggettiva, in altri termini al dis-essere.
Se l’analisi è quel tempo necessario che occorre al soggetto per adeguarsi all’essere9, cioè alla singolarità che causa l’essere in un certo modo piuttosto che in un altro, la fine dell’analisi, il momento di autentica conclusione comporta il dis-essere: «Nel ricorso da noi privilegiato del soggetto al soggetto, la psicoanalisi può accompagnare il paziente fino al limite estatico del “Tu sei questo” in cui si rivela la cifra del suo destino mortale: ma non sta al solo nostro potere di esperti in quest’arte il condurlo al momento in cui comincia il vero viaggio» (Lacan, J., Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io, p. 94).
L’analisi portata a termine e quindi non più interminabile, come la definiva Freud usando un termine che rimanda a un tempo indefinito, assoluto, giunge a conclusione nel momento in cui si è disposti a perdere anche l’ultima identificazione a cui lentamente si è arrivati. Momento di perdita in cui l’inizio coincide con la fine, dato che i primi passi dell’analisi nel mondo cominciano da un:
«[…] io perdo. “Io perdo il filo” là comincia quello che ci interessa […]».
(Lacan, J., L’acte psychanalytique, Séminaire 1967-1968, Éd de l’ALI, Publication hors commerce, leçon du 6 décembre 1967, p. 62 )
Paola Malquori
Psicologa, membro della Scuola di psicoanalisi dei Forum del Campo Lacaniano, dottore in psicopatologia dell’università di Tolosa-Le Mirail, dirige da cinque anni il Laboratorio di psicoanalisi sull’alterità a Roma e online, con regolari incontri di studio e dibattito sull’insegnamento di Lacan. Esercita la psicoanalisi a Roma.
Note
1 «Per cogliere cos’è il tempo logico, bisogna partire dal fatto che, all’inizio, è data la batteria significante. Su questa base bisogna introdurre due termini, resi necessari, come vedremo dalla funzione della ripetizione- Wullkür, l’arbitrario, e Zufall, il caso.» (Ibidem, p. 39)
2 «Se partiamo dal riferimento che ho fornito poc’anzi, cioè che la prima forma dell’atto che l’analisi ha inaugurato per noi è stato l’atto sintomatico, di cui possiamo dire che esso non ha mai così tanto successo come quando è un atto mancato. Quando l’atto mancato è supposto, è controllato, esso si rivela per ciò di cui si tratta: indichiamolo con questa parola su cui ho già insistito abbastanza, la “verità”, in modo che esso ne risulti ravvivato». (Lacan J, L’acte psychanalytique, Séminaire 1967-1968, 6 dicembre 1967, inedito, traduzione mia).
3 Freud lo analizza nel saggio del 1914, Ricordare, ripetere e rielaborare.
4 Lacan, J., Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, p 820
5 «Io sono nel posto da cui si vocifera che “l’universo è un difetto nella purezza del Non-Essere”. […] Questo godimento la cui mancanza rende l’Altro inconsistente, è dunque mio? L’esperienza prova che ordinariamente mi è proibito, e non soltanto, come penserebbero gli imbecilli, per un cattivo accomodamento della società, ma, io direi, per la colpa dell’Altro se esistesse: ma poiché l’Altro non esiste, non mi resta che prendere la colpa su Io, cioè credere a ciò cui l’esperienza ci porta tutti, Freud per primo: al peccato originale.» (Ibidem, p. 823.)
6 «Ciò cui bisogna attenersi è il fatto che il godimento è proibito a chi parla come tale, od anche che per chiunque è soggetto della Legge il godimento può solo essere detto fra le righe, perché la Legge trova fondamento in questa proibizione.» (Ibidem, p. 825)
7 Alessandra Guerra (a cura di), Il rapporto Turquet, 2015, Edizioni ETS.
8 «Ce temps logique n’a pas d’En-soi que ce qui en choit pour faire enchère au masochisme», ho fatto una mia traduzione libera, rispetto alle traduzioni ufficiali, per non perdere l’assonanza e il gioco di parole fra En-soi e en choit, per sottolineare che il tempo logico porta a una scelta, a una decisione, come nell’esempio che ci porta Lacan del sofisma dei Tre prigionieri.
9 Lacan, J., Radiofonia, p. 423.