FABIOLA FORTUNA, ANNA LISA SCEPI, NICOLETTA BRANCALEONI, TIZIANA ORTU, ROSA VITALE
Pensare con i piedi
La lettura rappresenta una delle possibilità di condivisione simbolica di un sistema di segni che mettono in relazione i significanti con i significati. Nelle infinite possibili unioni di segni prendono vita, a livello individuale, parole con le quali possiamo comunicare cose o pensieri.
Da questo gioco millenario di combinazioni sono nati capolavori letterari e testi scientifici che di volta in volta hanno contribuito a cambiare la visione del mondo.
Ci allontaniamo, ma soltanto in apparenza, dalla lettura, intesa come “restituzione” di ciò che si è osservato durante la seduta di psicodramma, semplicemente perché nel nostro stile l’osservazione non è un momento di lettura, ma di rimando dei significanti che sono emersi nella seduta.
La nostra argomentazione è volta a dimostrare che la lettura, sia nelle sedute individuali che in quelle di psicodramma, per noi è strettamente legata all’ascolto e rappresenta un atto analitico.
Nel nostro gruppo di studio e di formazione, portiamo avanti la lettura di molti autori, ma questo testo sarà fondamentalmente riferito alle posizioni teoriche di Jacques Lacan.
È proprio lui che afferma che «l’inconscio è strutturato come un linguaggio» e è ancora lui che, a differenza di tutta la teorizzazione cosiddetta postfreudiana, ha utilizzato la lettura di Freud per dimostrare che questi aveva ben intuito, nonostante «non fosse consapevole della nozione di discorso che la sua teoria e la sua pratica implicavano»1, quanto la rete di parole entro la quale viviamo in realtà ci governi.
E sempre per restare nel tema della lettura ci è sembrato molto bello leggere il testo “straziante” (così lo definisce Lacan) Memorie di un malato di nervi di D.P. Schreber dalla cui lettura Freud ha tratto il quarto dei suoi grandi casi clinici.
Lettura di Lacan che legge Freud che legge Schreber.
Questo uno dei nostri itinerari, densi di discussioni e di riflessioni, talvolta anche di piccoli scontri.
Leggiamo in Schreber: «Dio è fin dagli inizi soltanto nervo, non corpo, e perciò qualcosa di affine all’anima umana. I nervi di Dio tuttavia non sono, come nel corpo umano, presenti solo in numero limitato, bensì infiniti o eterni. Essi possiedono le qualità insite nei nervi umani, ma potenziate in modo che supera ogni concetto umano. In particolare essi hanno la capacità di trasferirsi in tutte le cose possibili del mondo creato: in questa funzione si chiamano raggi […]»2.
Leggiamo in Freud: «Poiché non temo la critica altrui né rifuggo dell’autocritica, non ho ragione alcuna per sottacere una coincidenza che forse potrà nuocere, nel giudizio di molti lettori, alla nostra teoria della libido. I “raggi divini” di Schreber, che risultano composti dalla condensazione di raggi solari, di fibre nervose e di spermatozoi, non sono in fondo che la raffigurazione concreta e proiettata al di fuori di investimenti libici, e conferiscono al delirio di Schreber una impressionante concordanza con la nostra teoria. […] Sarà l’avvenire a decidere se la mia teoria contiene più delirio di quanto io non vorrei, o se il delirio di Schreber contiene più verità di quanto altri oggi non siano disposti a credere»3.
Leggiamo in Lacan: «Potete toccare con mano un esempio sfogliando la mirabile condensazione che Freud ci offre del libro di Schreber di pari passo con la sua analisi. Attraverso Freud potete stabilire il contatto, entrare in questa dimensione»4.
In un piccolo e intenso testo, Presentazione delle Memorie di un malato di nervi (pubblicata nel 1966 nei «Cahiers pour l’Analyse»), che troviamo in Altri scritti, Lacan sostiene «[…] il testo di Schreber è un grande testo freudiano, nel senso che, anziché essere Freud a chiarirlo, è esso a mettere in luce la pertinenza delle categorie forgiate da Freud – indubbiamente per altri oggetti, e da un punto per la cui definizione non basta invocare il genio, a meno che non s’intenda con ciò una disinvoltura lungamente mantenuta nei confronti del sapere»5.
Lacan chiarisce poi che Freud ha avuto coraggio nell’affrontare un testo del genere, a tal punto da non avere paura ad esporsi ad un possibile suo delirare, nel seguire le parole scritte del malato.
Freud vuole a tutti i costi «introdurre il soggetto come tale», non misurando la sua follia né i suoi deficit e le sue dissociazioni.
«Tuttavia – prosegue –è proprio qui che il genio, se consiste in questa facoltà, non basta ancora. Infatti per costruire il soggetto, com’è opportuno, a partire dall’inconscio, è di logica che si tratta. Basta sfogliare un libro di Freud per accorgersene, ciò nondimeno siamo stati i primi a fare questa osservazione».
«Sfondare una porta aperta (in questo caso, quella della psicosi) non significa affatto sapere su quale spazio essa apre»6. Queste letture, un po’ come un motto, ci accompagnano lungo la strada dell’imparare ad ascoltare: non basta che la porta sia aperta per riuscire a sapere cosa c’è, aldilà.
«Tocca a voi essere lacaniani, se volete. Io sono freudiano».
Così Lacan, con queste parole un po’ altisonanti, nel Seminario di Caracas del 1980, lascia un testamento spirituale, un anno prima della sua morte.
Io sono freudiano
«…Bisogna dirlo: ciò che Freud ha disegnato con la sua topica, detta seconda, non è senza goffaggine. Immagino che l’abbia fatto per farsi intendere dai limiti del suo tempo. […] Prendiamo in considerazione il sacco floscio che è presentato come legame dell’Es nel suo articolo dal titolo – Das Ich und das Es. Il sacco sarebbe il contenitore delle pulsioni. Che strana idea averlo schizzato così! Si spiegherebbe solo se si considerassero le pulsioni come biglie da espellere probabilmente dagli orifizi del corpo, dopo averle ingerite. […] Infine due barre delineano con la loro giuntura la relazione di quest’insieme barocco con il sacco a biglie. Ecco che cosa è designato come rimosso»7.
Ma come? A proposito del caso di Schreber, Lacan ci dice che Freud è un genio ed ora? È diventato un suo avverso critico?
Ebbene, da come afferma egli stesso poche righe prima: «Ho pensato opportuno dirvi qualcosa a proposito del dibattito che intrattengo con Freud, e non da poco tempo», vediamo che la posizione è ben altra.
Lacan, in realtà, ha dedicato tutta la sua vita allo studio dell’enorme impianto freudiano e il modo talvolta critico e perplesso con cui affronta il testo ci apre a tanti interrogativi.
Tocca a voi essere lacaniani, se volete
E sì, noi vorremmo, seppur in mezzo a tante difficoltà essere lacaniani (in mezzo all’essere uomini, donne, psicoanalisti, psicodrammatisti, madri, padri, italiani …) perché Lacan è veramente un buon faro, quando si affronta la clinica.
Ma con quale atteggiamento possiamo leggere Lacan? O meglio, quale posizione etica ci permette di essere coerenti e rispettosi di una teoria senza assumere un’etichetta condizionante e acefala?
In fondo è proprio questo il percorso che Lacan ha scelto di perseguire leggendo il testo freudiano, il testo di colui che ha aperto in modo sistematico lo studio dell’inconscio.
Il testo dell’inconscio
Testo è una parola che rimanda all’azione di leggere, è importante, ai fini del nostro lavoro, considerare l’etimologia della parola “testo”. In latino textus significa intreccio, trama, tessuto. Il terapeuta nel lavoro di analisi e in psicodramma si trova di fronte alla lettura degli intrecci dell’inconscio che tendono a ripetersi nel tempo.
La lettura di un testo è un processo complesso, per quanto si tratti di decodificare combinazioni di segni che costituiscono le parole, va da sé che la comprensione del senso di quanto si legge coinvolge competenze e propensioni di altra natura.
Infatti, se è vero che la lettura è una abilità strumentale che si apprende, nello stesso tempo è un lavoro di scoperta e di ricerca continua di significati.
Allo stesso modo «la funzione analitica svolta nello psicodramma dal terapeuta è frutto di una scoperta, non di un apprendimento»8.
Nello psicodramma «le rappresentazioni non fanno che raccogliere il dramma, proiettarlo sulla scena e rivelarne il pretesto. Spetta all’osservatore rimandarlo ai protagonisti e al “coro”. Facendo così non risponde alla domanda (non c’è interpretazione, né consolazione, né soddisfazione narcisistica, né attacchi, né riduzioni di nessun tipo). Egli rinvia soltanto un’immagine analizzata “linguisticamente”»9.
Durante la seduta si va verso «[…] una clinica del leggibile e dell’udibile […]»10 in cui il discorso del soggetto, che ha origine nei suoi riferimenti simbolici, è trasferito in una dimensione di operatività, il gioco.
Dell’inconscio sappiamo che è un’ipotesi suscettibile di variazioni, come dice J.A. Miller11, il quale ci ricorda il pensiero di Freud e Lacan in proposito. L’uno sostiene che l’inconscio è il risultato di una deduzione, l’altro, secondo la sua lettura del primo, precisa che il soggetto dell’inconscio è un soggetto supposto, ipotetico e in quanto tale non reale. Si tratta per Lacan di un desiderio di essere più che di un essere. Sia il soggetto che l’inconscio non hanno essere.
Non si può ricorrere ad una lettura filologica, ma si potrebbe cogliere quella che Wittgenstein definì “rappresentazione perspicua”. Una rappresentazione che «…designa…il modo in cui vediamo le cose…»12 e non scaturisce da un metodo, ma è l’effetto di intuizioni. Si tratta di scegliere e dare un ordine a significanti noti e leggerli ricercando in loro una significazione o un fuori senso da porgere a chi ascolta.
Il terapeuta si trova a leggere l’inconscio sia dal versante simbolico, sia dal versante del reale. Nella prima dimensione è presente un sapere che non sappiamo di sapere che guida la nostra vita seguendo una trama/textus che si ripete in circostanze diverse. Nella seconda dimensione è presente un sapere che si deve ancora scoprire e realizzare, siamo di fronte al trauma della trama simbolica13. In questo caso il Reale agisce e interrompe il flusso dei significanti ripetuti ponendo la necessità di avviare il processo di simbolizzazione di quanto resta fuori senso.
Lettura: atto analitico
Tutta questa premessa per dire, e dirci, ancora una volta, che la nostra lettura si posiziona nel campo della psicoanalisi lacaniana anche quando ci mettiamo ad ascoltare-leggere il discorso dell’inconscio che gira tra i partecipanti di un gruppo di psicodramma.
Scriviamo, più o meno nel rispetto delle nostre singole modalità, ma la restituzione non è letta. È parlata, dopo un ascolto analitico che a sua volta passa per una nostra lettura molto approfondita dei testi di Elena Croce che ha conosciuto i testi dei Lemoine, che hanno basato la creazione dello psicodramma sulla loro lettura di Lacan che a sua volta ha letto con ossessività gli scritti di Freud … una struttura ad anello, che ci riconduce a questo nostro discorso.
Nel nostro stile di lavoro quello dell’osservazione, momento in cui viene riproposto il senso delle parole pronunciate durante la seduta e “caricate” di nuovo senso, non è contrassegnato da una lettura, come affermato all’inizio di questo testo, intesa nel senso letterale del leggere un testo scritto, ma piuttosto è un discorso in cui ad emergere sono significanti che vengono punteggiati e interrogati al fine di risultare veri e propri tagli, intesi nel senso analitico.
Secondo i Lemoine, il “testo” che si offre all’ascolto-lettura è un ippogramma, un testo sotto il testo, che non è celato e viene comunque rappresentato. Non sempre, però, la lettura risulta agevole e proprio «lo scarto tra ciò che appare dell’ippogramma e ciò che rimane confuso è già significativo e costituisce l’oggetto di una valutazione che non vuole essere né moralistica, né didattica, né interpretativa, ma mero intervento [analitico]»14.
Il lavoro che portiamo avanti nel nostro Centro Didattico si muove da sempre a partire anche dagli insegnamenti di Elena Croce che è arrivata, nel corso della sua esperienza di elaborazione del pensiero freudiano e lacaniano, a credere vieppiù nel valore dello strumento psicodrammatico.
In un suo articolo del 1994 affronta la questione dell’atto analitico nello psicodramma15: «Non sono in grado di dire, per ora, se e quanto l’atto psicodrammatico possa essere paragonato e tanto meno omologato all’atto psicoanalitico […]. Lo stesso Lacan ha dichiarato “Poiché è chiaro che se ogni atto non è che una figura più o meno completa dell’atto psicoanalitico, non ve n’è alcuno che possa superarlo. Una proposizione non è un atto di secondo grado ma nient’altro che l’atto psicoanalitico che esita, che è ancora in corso” […]. Queste parole mi fanno pensare che anche l’atto psicodrammatico, pur nella specificità del suo contesto, possa giovarsi di qualche riferimento all’atto analitico».
E più avanti: «Quando si tratta dei pazienti più gravi e compromessi ci sono altri tipi di intervento che si limitano a sfiorare più o meno da vicino l’atto ma possono conseguire, nella maggior parte dei casi risultati più adeguati ed economici dell’atto stesso, come ad esempio il contenimento dell’angoscia o di un’agitazione irrefrenabile o di una jouissance che deborda, facendo recuperare la possibilità di mantenere almeno un abbozzo di discorso e un minimo di legame sociale, anche se non si verifica nessun cambiamento profondo e durevole per il soggetto»16.
Le coordinate simboliche, all’interno della quali si realizza l’atto analitico e/o psicodrammatico, permettono di cogliere la discontinuità nelle catene significanti che l’atto provoca e che permettono di iniziare un discorso nuovo. In questo momento di sincope il soggetto si perde, non riesce più ad appoggiarsi sui significanti che lo hanno rappresentato e si trova quindi ad assumere una posizione diversa della quale, mano a mano, diverrà consapevole. L’atto analitico è frutto di una simbolizzazione ben riuscita.
L’atto analitico è sostanziato dal ben dire e dal saper leggere, dimensioni proprie della funzione analitica e «nel corso dell’analisi occorre che dire bene e saper leggere si trasferiscano all’analizzante»17.
Il ben dire è ciò con cui, fin dall’inizio di qualsiasi percorso terapeutico si confronta il paziente che incontra le resistenze e la frustrazione dello scarto tra ciò che potrebbe e ciò che riesce a dire. Si genera così una distanza in cui si apre la strada al saper leggere-ascoltare del terapeuta.
«L’atto analitico non può consistere in una risposta in termini di sapere, non potrà consistere neppure in una risposta a partire dalla verità, nella misura in cui lascia l’oggetto nella supposizione in cui esso trova riparo, quella dell’amore stesso in cui esso trova riparo»18.
Sappiamo anche, però, che ci sono modi diversi di leggere-ascoltare i discorsi che emergono via via. Analisti diversi, così come psicodrammatisti diversi, sanno rilevare parole e agganciare significanti in modo diverso.
Può esistere una lettura univoca?
La risposta va da sé … c’è, ovviamente, nell’ascolto, il desiderio dell’analista!
E questo è un fattore da non trascurare per evitare il rischio che si possa ipotizzare una lettura “oggettiva” di una seduta individuale o di psicodramma che sia. La lettura vera è solo quella del paziente stesso, di quanto poco o tanto riesce a cogliere del suo desiderio inconscio.
C’è un tempo, quello delle sedute, in cui, se ci fermiamo a pensare … ecco là che abbiamo perso l’ascolto del paziente. E perdiamo il suo testo da leggere attraverso il nostro ascolto!
«Voi immaginate che il pensiero stia nel cervello. Non vedo proprio perché dovrei dissuadervi. Io sono sicuro – sono sicuro, così, è una faccenda mia – che stia nei muscoli pellicciai della fronte, nell’essere parlante esattamente come nel riccio. Adoro i ricci, quando ne vedo uno me lo metto in tasca, nel fazzoletto. Naturalmente piscia. Lo porto poi sul prato, nella mia casa di campagna, e qui adoro vedere riprodursi quella pieghettatura dei muscoli pellicciai della fronte. Dopodiché, proprio come noi, si appallottola su se stesso. […] Insomma, se potete pensare con i muscoli pellicciai della fronte potete anche pensare con i piedi. Ebbene proprio qui vorrei che qualcosa entrasse, visto che dopotutto l’immaginario, il simbolico e il reale sono fatti proprio per coloro, di questo assembramento, che mi seguono, per aiutarli ad aprirsi un varco nel cammino dell’analisi»19.
Eccoci dunque a concludere ribadendo che per noi la lettura non è affatto qualcosa, e scusate il gioco di parole, da intendersi in senso letterale, ma piuttosto la posizione etica che ci piace assumere. Il nostro studio continuo e la sua elaborazione clinica ci portano a costruire un “canovaccio interno”, che ci accompagna attraverso l’ascolto del/dei pazienti la lettura dei testi che vengono fuori dal loro dire, anche pensando con i piedi.