CENTO DIDATTICO ALETHEIA

NICOLA BASILE

Domande e bagliori di risposte sull’Osservazione nello Psicodramma Analitico

Premessa

Se lo psicodramma, fin dalle sue origini, ha un debito nei confronti del teatro e di alcune forme espressive in generale, cosa è rimasto, oggi, di questo legame, in un’epoca che dedica poche attenzioni alla creatività, alla ricerca interiore e all’interrogazione soggettiva? Se esiste un pubblico, piccolo e raccolto, come lo definisce Gaudé 1, cosa osserva del drama il partecipante al gruppo?
Cosa racconta l’osservatore a quel piccolo pubblico, negli attimi precedenti la conclusione della sessione di lavoro con il dispositivo dello psicodramma, commiato temporaneo?
Tre domande che non troveranno risposte esaurienti ma riflessioni per un lavoro più approfondito.

Partiamo dalla prima.

«Se lo psicodramma, fin dalle sue origini, ha un debito nei confronti del teatro e di alcune forme espressive in generale, cosa è rimasto, oggi, di questo legame, in un’epoca che dedica poche attenzioni alla creatività, alla ricerca interiore e all’interrogazione soggettiva?».

Se vi chiedo da quale teatro siete usciti solo da poche ore, è molto probabile che mi rispondiate che devo aver perso il senso del tempo, perché a teatro di solito ci si va di sera, raramente di pomeriggio ancora meno frequentemente di mattina e poi mai e poi mai all’alba, tranne qualche evento che coinvolge pochi appassionati del teatro greco classico che ancor oggi si organizza dall’alba al tramonto. Quindi siete autorizzati a non rispondermi e a chiedermi di passare ad altro argomento.

Poiché sono piuttosto testardo, la domanda la pongo nuovamente, nella speranza di insospettire l’uditorio con un’ambigua questione: o il relatore è proprio fuori del tempo o ci vuole far pensare a qualcosa che ancora non ha formulato. Bene, dico io, sono assolutamente d’accordo con i due termini dell’opposizione e al posto della “o” vedo una congiunzione. Il relatore è fuori dal tempo e vuole far pensare su qualcosa che pur non avendola chiaramente espressa, l’ha già formulata.

Propongo quindi di pensare che fino a qualche manciata di minuti addietro eravamo tutti, chi più, chi meno, alle prese con la singolare visione di una rappresentazione teatrale di cui ciascuno di noi era sceneggiatore, produttore e regista e solo in taluni casi anche distributore. Eravamo cioè tutti alle prese con la produzione onirica data da quel meraviglioso meccanismo del ciclo circadiano del sonno: di giorno il nostro sistema neuronale immagazzina serotonina, sofisticato neurotrasmettitore, e di notte la smaltisce, grazie appunto al sogno e al sonno.

Quindi si può convenire che solo qualche ora addietro tutti abbiamo assistito a uno spettacolo in cui potevamo essere anche attori protagonisti o semplici spettatori anche se non è detto che lo abbiamo fatto circolare.

Chi lo ha narrato a un compagno, compagna, marito, moglie, figlio, figlia, amico, amica, è anche divenuto distributore della sua produzione onirica.

Vi sarete accorti che finora ho utilizzato il passato prossimo come tempo dei verbi. Se con un piccolo artificio letterario trasformo il tempo dei verbi fin qui utilizzato in presente storico, complico un poco a tutti la vita, ma non di tanto, perché le frasi da poco dette, possono suonare così: «Quindi si può convenire che stiamo assistendo a una rappresentazione in cui siamo attori protagonisti o semplici spettatori anche se non è detto che la faremo circolare. Chi lo narra a un compagno, compagna, marito, moglie, figlio, figlia, amico, amica, diviene anche distributore della sua produzione onirica». Dopo tutto funziona lo stesso.

Nonostante il tempo presente che sto utilizzando apparirà chiaro che mi sto riferendo a un passato con il dubbio che quel passato si faccia sentire ancora in questo stesso istante.

Sono perciò dichiaratamente fuori del tempo almeno da quello prettamente storico, quello dell’orologio, del calendario. Il dio Chronos, tanto per intenderci, non è il solo padrone del tempo e la sua supremazia è insidiata da Kairos con il quale i greci solevano indicare il tempo continuo, quello che dall’antenato si congiunge al contemporaneo per puntare al futuro senza discontinuità.

Ma sia Chronos che Kairos convivono sempre e comunque in uno spazio che oggi anche noi celebriamo: lo spazio teatrale. Immersi nella luce del palco, avvolti dalle parole degli attori noi precipitiamo in un tempo senza frattura così da poter esser chiamati a incontrare il dramma di Eschilo come la drammaturgia di Pirandello per interrogare l’oggi con l’arte di Jerzy Grotoswski.

Ma c’è ancora un teatro che non richiede un vero e proprio biglietto di ingresso, che non chiude per ferie e le cui repliche sono infinite: il sogno. In quella particolarissima messa in scena Chronos è chiamato a fare la sua parte solo nel racconto durante la veglia: quella che ho chiamato distribuzione e che nessuno di noi dovrebbe sottovalutare nella sua importanza. Nel teatro del sogno l’oggi e il passato non hanno da rincorrersi, sono l’immediato e il passato dall’uno all’altro, non si attestano sul presente e sul futuro ma sono su un piano di continuità.

Seconda domanda.

«Se esiste un pubblico, piccolo e raccolto, come lo definisce Gaudé, cosa osserva del drama il partecipante al gruppo?».

Un vero incendio che avvenne a seguito di una catastrofe naturale nella storia degli uomini, si colloca nel sogno dopo la caduta di un campanile, che nella storia degli uomini cade dopo l’incendio per opera dell’uomo. È il tempo del sogno raccontato da una giovane donna durante una seduta individuale.

I pelouche della propria stanza di bambina possono mettersi finalmente a parlare, guardandoli dal buco di una parete. Quei pelouche non sono proprio quei simpatici animaletti che ornano le pareti dei nostri bambini, perché da quel buco appaiono minacciosi ed enigmatici proprio come devono essere i genitori. Sogni, narrati in setting di psicodramma analitico 2.

Il teatro del sogno ci apre quindi alle infinite possibilità di ricomporre in forma creativa quel che Chronos ha fermato nel tempo: incendio, caduta del campanile, in un luogo che è stato cancellato dagli eventi; pelouche di una stanza che non esiste più, rendendo il ricordo cronaca senza significato, testimonianza congelata nella storia, graffito di un tempo da risignificare con un lavoro archeologico.


Mario Botta (2023) Sacro e Profano, Maxxi Roma

Gli animali parlanti possono essere così interpretati, e lo saranno, nella coppia genitoriale abbandonica e nel transfert diretto alla coppia degli psicodrammatisti della giovane sognatrice che narrò il sogno in un gruppo di psicodramma3 l’incendio e la caduta del campanile sono il riaffiorare sul palcoscenico del teatro della memoria del ricordo di un evento naturale traumatico a cui la sognatrice ha partecipato ma di cui afferma tutt’oggi di non avere memoria.

Lo spettacolo del sogno ammette che lo sceneggiatore possa essersene dimenticato ma non che non lo possa rappresentare perché il sogno, come il gioco dello psicodramma analitico, trascura il principio di non contraddizione che farebbe impallidire la tragedia Aristotelica. Per potenziare la capacità creativa del sogno ogni settimana è possibile il suo racconto tra i veglianti che parteciperanno ai gruppi di psicodramma. Con l’uso della drammatizzazione il sogno si ripropone tra coloro che partecipano del tempo di Chronos affinché Kairos non venga escluso da quella parte della giornata a cui si arriva affannati. Chi proverà a ripresentare nella forma del gioco drammatico il suo discorso, scoprirà che ciò che apparteneva al passato, può precipitare nel presente, rivitalizzandolo e offrendo una capacità di lettura nuova anche di ciò che si immagina di dover affrontare nel futuro. Un poco come il lievito madre che attende mani esperte per tornare a crescere, respirare e infine morire nelle fornaci odorose di una cucina, fucina.

In un bellissimo racconto 4 che trae origine da miti degli indiani del nord America, ambientata in California, il mondo è stato creato da un potente stregone Lucertola che insidia, durante tutto il mito, un gruppo eterogeneo di animali che deve andare a trovare Nonno Tartaruga, vegliardo che ha partecipato alla distruzione del mondo, causata dalla rabbia dello stregone Lucertola.

Il mito è una straordinaria macchina narrativa in cui l’antenato è davanti il viaggiatore e non alle sue spalle contemporaneamente al passato che è anche futuro che non disdegna il presente. Il viaggiatore del mito deve prestare particolare attenzione a quando scendono le tenebre, poiché deve aiutare la propria ombra a staccarsi da lui, affinché essa possa liberamente girare per il mondo. Altrettanto meticoloso dovrà essere al mattino l’errante, quando canterà alla sua ombra perché essa trovi la strada del ritorno, pena severa malattia. I personaggi di questo mito sono un’intera famiglia e, senza dire come il racconto si concluda, ci tengo a sottolineare che uno di loro sperimenterà la perdita dell’ombra e il potere del sogno per ricercarla e trovarla. I bambini a cui ho narrato questo mito non si sono domandati perché Lucertola abbia distrutto il mondo mentre Tartaruga può raccontare ai suoi nipoti che vivono su quel mondo distrutto da Lucertola, perché sono disposti a vivere Kairos e il principio di non contraddizione. Se li alleniamo a questo, se ci formiamo a questo, il loro e il nostro viaggio futuro avrà più racconti e spazi di pensiero per un mondo in cui anche gli animali possono dire la loro.

Il teatro dello psicodramma accompagna ciascuno di noi in questa ricerca che richiede coraggio e fantasia creativa affinché Chronos continui a mangiare i propri figli e i figli a scrivere di poesia con Kairos.

Terza domanda e libere associazioni in merito.

«Cosa racconta l’osservatore a quel piccolo pubblico, negli attimi precedenti la conclusione della sessione di lavoro con il dispositivo dello psicodramma, commiato temporaneo per intrecciare il presente con il futuro, passando per il passato?».

La domanda si è già data una risposta. L’osservatore, servo del padrone, negli attimi precedenti la conclusione della sessione di lavoro con il dispositivo dello psicodramma, offre un commiato temporaneo per intrecciare il presente con il futuro, passando per il passato.

Mettendomi dalla parte dell’osservatore, e sono ormai venticinque anni che vesto quel ruolo ogni settimana, se non due volte a settimana, direi che sono il servitore cieco del desiderio inesprimibile, servitore della cecità piuttosto che della vista, ascoltatore di note fuori spettro uditivo, memoria della parola dell’assente, piuttosto di quella espressa soltanto la settimana precedente nel gruppo di psicodramma analitico.
Eppure una parola scorre sul
block notes magico5, in virtù dell’eredità con nonno Freud, scorre una storia parallela, in cui il desiderio di vita, quello che porta a esplorare i bambini le loro potenzialità, richiede una continua trasformazione, e una pratica di domanda su ciò che non permette trasformazione.

La trasformazione non è in questo testo accezione di cambiamento, poiché nell’inconscio nulla può cambiare se non esiste un prima e un dopo. La trasformazione è poter leggere lo stesso racconto iniziando dalla fine, è poter riporre per milioni di volte la fotografia della vittima, che, come trofeo, guarda, rammentandoti che sei vivo mentre lei è morta. L’osservatore narra questo frammento che l’animatore ha evidenziato in una drammatica messa in scena, affinché lo sguardo cessi di essere il capitalista che invoca consumo e il padrone lodi l’ascolto del servo, offrendo baratto.

Così una giovane donna che ha urlato al vento il suo dolore, può far entrare nel sogno un semplice gesto: riporre nel cassetto quella fotografia da cui non può distogliere lo sguardo. Riponendo la fotografia nell’oscurità di un cassetto, custodisce nella rimozione il suo dolore, e la rimozione si fa metafora di un luogo dove trovare energie per far oscillare il desiderio verso eros.

Se Lucertola sta prima di Tartaruga, se Tartaruga assiste all’incendio del mondo causata dalla rabbia di Lucertola ma l’una è all’origine dell’altra senza distinzione, gli animali parlanti possono divenire non oggetti persecutori ma materiale creativo per i processi onirici del diurno6.

Dunque, mi azzardo a dire che l’osservatore sogna e attraverso il proprio stile narrativo, legato all’oralità o alla lettura di una scrittura preconscia, trasforma il senso cronologico degli eventi del gruppo in direzione di Kairos. Se l’osservatore riesce a far suo ciò che è dell’altro, altro per cui serve, il sintomo, congelamento del discorso e al tempo stesso espressione del desiderio, senza parola ma con un proprio linguaggio, potrà essere barattato tra i partecipanti del gruppo, nessuno escluso. Il baratto lo intendo come scambio tra alfa e omega della vita. Il baratto si sa richiedeva che la merce non fosse visibile e avveniva con dei testimoni che avevano cura della merce stessa. Proprio l’osservatore, in quanto unico esterno allo spazio del gruppo, non vedente e sordo, è il garante di un processo economico paritario, a lui è demandata la possibilità di far immaginare, porta del simbolico, il prossimo incontro.

Qui sarebbe da esaminare anche quali forme trovi il testo dell’osservazione. Per quanto ho sperimentato in questi decenni, trovo che pensare in prima persona, favorisca la navigazione tra le onde del desiderio che si fa a volte vita come noia mortale. Il testo non deve essere perfetto, report ossessivo di quanto è accaduto, deve anzi poter perdere, dimenticare per poter cadere nell’onirico. Potrà essere letto o semplicemente espresso, disancorandolo dal testo scritto, sempre da un cieco e sordo che desidera che il sogno venga raccontato ai bambini7.

«Mi fa vedere cosa c’è scritto?”» mi chiede un sornione uomo che sa cosa sia la psicosi.
«Non ho mai visto le pagine dei quaderni degli analisti con cui ho attraversato la mia domanda» rispondo.

Eppure adesso che scrivo, sottraggo alla rimozione, la grafia di alcuni, taglio sulle pagine di quaderni a volte molto spessi eppure leggeri.

Devo a Elena Croce, Wilfred Bion, Jaime De Angulo, Sigmund Freud, Serge Gaudé, Luisa Mele, Raimon Panikkar, Rainer Maria Rilke, molti contenuti di questo scritto.

Se qualcuno vuole sapere da dove li ho estratti, glielo dirò di persona!

Nicola Basile
Responsabile CD Aletheia
nibasile@libero.it

Note

1 S. Gaudé (2015), Sulla rappresentazione. Narrazione e gioco nello psicodramma, Roma, Alpes.
2 Basile N., Preziosi G. (2016), in Il romanzo familiare – «Quaderni di Psicoanalisi & Psicodramma Analitico», anno 8 numero 1-2.
3 Ibidem.
4 J. de Angulo (1973), in Racconti indiani, Adelphi, Milano.
5 S. Freud (1925), Nota sul notes magico in Opere, vol. X, Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
6 J.de Angulo, op. cit.
7 R. Panikkar (1981), in Simbolo e simbolizzazione – «Quaderni di psicoterapia infantile», Vol. 5, Roma, Borla.

Bibliografia non citata

Croce Elena B. (1990), Il volo della farfalla, Borla
Bion W., (1967), Notes on memory and desire, in «Psycho-analytic Forum», vol. II, n. 3.
Freud S. (1895), Progetto di una psicologia, in Opere, vol II, Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
Rilke R. M. (1978), Storie del buon Dio, Rizzoli

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